Coronavirus, lo spettro del disagio sociale e il ruolo dell’intelligence

Durante la Seconda Guerra Mondiale Winston Churchill affermò «È l’ora più buia». Per similitudine, oggi potremmo affermare che «È l’ora più chiara». Infatti, di fronte ad una situazione inedita e sottovalutata, stanno diventano evidenti tutte le contraddizioni della globalizzazione, dell’Unione europea e del sistema nazionale. Appunto per questo, potrebbe essere utile riflettere sulle reali conseguenze di quanto sta accadendo in funzione del prossimo futuro in una prospettiva di intelligence.

L’interesse nazionale e l’intelligence
L’Italia ha definito i suoi fattori di potenza nella legge 124/2007 sulla riforma dei Servizi di Intelligence individuandoli negli aspetti politici, militari, economici, industriali e scientifici. Appunto per questo, la Società Italiana di Intelligence – che si propone di far riconoscere questa disciplina nelle Università del nostro Paese – ha redatto uno studio per analizzare le ricadute della pandemia in atto nell’arco di un anno. La chiave di lettura è, appunto, quella dell’intelligence, intesa come capacità di interpretare la realtà e prevedere i futuri possibili. Sostenere le scelte pubbliche con adeguate informazioni è determinante, poiché è interesse dello Stato evitare che i decisori pubblici gestiscano la crisi come opportunità per loro stessi e non come problema della collettività. Non per nulla, l’intelligence deve cercare di cogliere i segnali deboli che non vengono adeguatamente percepiti. Infatti, per comprendere quello che ci circonda è fondamentale selezionare le informazioni rilevanti e contestualizzarle in profondità, unendo i punti. Circostanza non semplice, poiché la dismisura della disinformazione crea un corto circuito cognitivo nelle persone, allontanandole dalla sempre difficile comprensione della realtà.

Il fantasma del disagio sociale
All’attenuarsi dell’emergenza sullo sfondo si intravede, abbastanza prossimo, il fantasma del disagio sociale. L’aspetto centrale è questo: la tenuta sociale del nostro Paese dipenderà dall’equilibrio che si determinerà tra le persone che diventeranno indigenti e quelle che manterranno un pur ridotto benessere. Pertanto, il disagio sociale sarà la conseguenza più probabile e più grave e si accompagnerà all’ulteriore invadenza delle mafie, le quali utilizzeranno questa altra crisi – così come quella del 2008 – per infiltrare ulteriormente le attività economiche. Di fronte a uno scenario non semplice sarebbero necessari interventi strutturali, a cominciare da quelli sui costi della politica (compresi quelli dell’alta burocrazia statale e regionale). Compensi che non corrispondono a nessuna utilità sociale, nessuna ragionevolezza e nessun confronto con il resto del mondo. Si tratta di somme che incidono poco sul bilancio complessivo dello Stato, ma significano molto per avvicinare le élite ai cittadini. In questa prospettiva, l’intelligence ha il compito primario di monitorare il disagio sociale che può rappresentare non solo un’area di reclutamento per la criminalità, ma che si può trasformare anche in un problema di ordine pubblico, in una preoccupante questione di sicurezza nazionale che può compromettere la stabilità e la credibilità delle Istituzioni democratiche.

Il rischio della secessione del Nord
Questa crisi accentuerà sicuramente i divari territoriali, fino al punto che le aree più sviluppate – che coincidono con quelle più colpite dalla pandemia – potrebbero presto essere tentate di riprendere l’idea di un’autonomia più accentuata rispetto al Sud. Tendenza che si aggiunge alla percezione dell’Unione europea, in questo momento considerata ostile rispetto alle necessità nazionali. Infatti, gli italiani sembrano accarezzare una Italexit: secondo SWG solo il 27% “ha fiducia” nell’Europa e secondo Euromedia Research l’Unione europea così com’è “non ha più senso” per il 59% degli intervistati. Questa crisi, inoltre, sta facendo emergere la necessità di un riequilibrio dei poteri tra Stato e Regioni. A prescindere dai risultati che si stanno ottenendo in questo momento in Veneto, va rilevato che il 70% dei bilanci regionali sono collegati alla sanità e i risultati dimostrano che di fronte a uno stress non riescono a reggere neanche i sistemi più efficienti. Inoltre, le politiche che si stanno approntando potrebbero rappresentare un non ottimale spreco di risorse, poiché non si interviene sui nodi strutturali, ma esclusivamente sull’emergenza che, una volta terminata, potrebbe produrre maggiori squilibri nel diritto alla salute dei cittadini. Questo tema richiama direttamente la ridefinizione dei poteri tra Stato e Regioni che, alla luce delle evidenze, vanno nuovamente riformulati. Anche su questo terreno l’azione interpretativa e predittiva dell’intelligence è fondamentale.

Che fare?
Per tutelarci a livello economico e industriale occorrerebbe, nell’immediato, aggiornare la normativa del golden power, impedendo, in questa fase, la vendita delle aziende strategiche. Sebbene sia complesso, ma necessario, andrebbero create le condizioni sia per il ritorno delle attività italiane delocalizzate all’estero sia per il rientro delle sedi fiscali delle aziende. Aspetti importanti che investono le politiche industriali, del lavoro e la stessa organizzazione amministrativa e burocratica del Paese.
A livello scientifico, occorre proteggere i nostri asset nei settori dell’innovazione industriale, del farmaceutico, della ricerca universitaria, dell’intelligenza artificiale. Infine, va sottolineata l’emergenza educativa che può ulteriormente indebolirci nella competitività globale, accentuando il solco, già vasto, tra Nord e Sud. Infatti, sono milioni gli studenti, nelle scuole e nelle Università, che non hanno potuto seguire le lezioni on line, a prescindere dalle effettive ricadute di questa trasmigrazione forzata dei processi educativi sulla Rete, stanti i limiti organizzativi, tecnologici e, soprattutto, della formazione degli insegnanti.
Sono tutti temi rilevanti e non certamente semplici ma, forse, in condizioni di emergenza, si potrebbero affrontare i nodi strutturali del Paese. In tale quadro, occorre fronteggiare una crisi che, se non ben governata, rischia di acuire sempre di più le disuguaglianze e le contraddizioni nazionali, fino a una possibile implosione sociale, politica e istituzionale. Appunto per questo il decisore pubblico deve essere messo in condizione di attuare scelte tempestive e adeguate al fine di garantire il benessere e la sicurezza nazionale, richiedendo e utilizzando informazioni di intelligence. Quello della sicurezza nazionale è un tema che precede e consente l’esercizio di tutti gli altri diritti. Per tali motivi, in questa precisa fase storica, a mio parere dovrebbe essere seguito da un responsabile politico esclusivamente dedicato a questa materia (Sottosegretario o Ministro). Al momento le funzioni sono in capo, come la legge prevede, al Presidente del Consiglio, il quale ha una pluralità di settori di intervento a cui provvedere, e che, su questo lato, potrebbe non prestare la necessaria attenzione.

Conclusioni
In definitiva, il Coronavirus sembra far emergere tutti i nodi irrisolti degli ultimi decenni del nostro Paese. Occorrerebbe, pertanto, una strategia ampia che abbia come riferimento la sicurezza e l’interesse nazionale. Compito, appunto, delle Istituzioni politiche e burocratiche, attualmente fiaccate da una selezione che, probabilmente, non sta selezionando, facendo emergere i migliori.
Il Governo è tenuto a decidere (e lo sta facendo, tra qualche fondata polemica); il Parlamento dimostra una funzione principalmente formale (ne è testimonianza che chi lo rappresenta è individuato con meccanismi elettorali assai discutibili); le regole costituzionali rimangono sulla carta (quello che incide è la loro pratica attuazione e dipende, appunto, da chi rappresenta le Istituzioni); la Comunità dell’Intelligence segue gli indirizzi della politica (pur rappresentando il deep state che prescinde dell’alternarsi delle maggioranze parlamentari).
Questo insieme di fattori e di attori richiama l’importanza fondamentale non solo dell’intelligence – in quanto capacità di interpretare i fenomeni del presente e intravedere gli scenari del futuro – ma anche della complessiva formazione e selezione delle élite, che rappresenta un aspetto cruciale della modernità, poiché la competizione globale avverrà sempre di più sull’efficienza dei sistemi di governo.

Mario Caligiuri è Professore ordinario di pedagogia della comunicazione all’Università della Calabria; Presidente della Società Italiana di intelligence; Componente del Comitato Scientifico dell’Eurispes

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