Divorzi all’italiana: consensuali vere o false?

La percentuale di separazioni consensuali nel 2012 è stata dell’85,4%. Questo potrebbe indurre qualcuno a pensare che la presunta conflittualità nel momento della separazione non esista e che ci sia una contraddizione fra le lamentele dei padri separati e questi dati che, da vent’anni a questa parte, ogni anno si discostano pochissimo da quelli dell’anno precedente. In realtà queste cifre sono vere, naturalmente, ma non rispecchiano la realtà.

Il fatto è che la separazione consensuale ha le sue indubbie attrattive: richiede molto meno tempo (in media 150 giorni contro gli 891 di una separazione giudiziale) e costa meno in termini di denaro, ma soprattutto in termini di stress. Dietro quelle “consensuali” non c’è un vero accordo, una reale condivisione di vedute, una raggiunta convinzione. C’è piuttosto la stanchezza di un percorso che è appena cominciato e già si presenta irto di difficoltà e di tensioni, lungo e costoso. C’è la voglia di mettere al più presto la parola fine a una vicenda che suscita dolore, rabbia, sconforto. Molti si fermano lì, raramente soddisfatti ma ripagati per essere almeno usciti dalle aule del Tribunale: avevano iniziato una separazione giudiziale, ma hanno capito che il prezzo da pagare era troppo elevato. Altri erano partiti con una consensuale, ma dopo un anno o due maturano la convinzione di essere stati vittime di una ingiustizia, oppure non sopportano che l’ex partner si faccia beffe delle disposizioni del giudice e riesca regolarmente a eluderle (frequenti le difficoltà sopraggiunte nella frequentazione dei figli) o ancora vogliono far presente al giudice che è sopraggiunta una circostanza nuova. Ed eccoli così di nuovo in Tribunale, con un ricorso che trasforma la separazione da consensuale in contenziosa. Nel 2010 il 12,7% delle separazioni e il 14% dei divorzi si è chiuso con un rito diverso da quello di apertura. Più frequente è il passaggio dal rito giudiziale al consensuale che non viceversa.

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