L’economia del mare e il turismo: lo sviluppo sostenibile di un comparto che, nonostante le difficoltà, continua ad essere un asset strategico per il nostro Paese. Ma anche le prospettive che derivano dagli investimenti e dal nuovo interesse dei paesi BRICS per il bacino del Mediterraneo. Ne abbiamo parlato con Giosy Romano, Presidente della CISE (Confederazione Italiana per lo Sviluppo Economico), Ente fondato dai Consorzi Asi di Napoli, Asi di Caserta e dal Consorzio Industriale del Sud Pontino, con il supporto scientifico dell’Eurispes e dell’Universitas Mercatorum, nato con l’obiettivo di sostenere le imprese nel processo di internazionalizzazione.
Presidente Romano, l’economia del mare è rappresentata da un settore che dal 2011 è cresciuto di oltre il 10% con circa 200mila imprese attive. Eppure l’Italia non sembra riuscire a sfruttare tutte le potenzialità offerte dal territorio e da una posizione geografica unica al mondo. Quali sono le carenze più evidenti, anche dal punto di vista delle politiche attuate fino ad oggi?
Le carenze più evidenti del settore sono, a mio avviso, quelle infrastrutturali in senso ampio. Mi riferisco a tutte quelle carenze che non consentono di sfruttare appieno l’importante vantaggio che la nostra posizione geografica ci offre.
Aree portuali poco o mal collegate con aree produttive, industriali e commerciali retrostanti, ad esempio; ma anche alle infrastrutture immateriali, in particolare alle risorse umane incapaci di comprendere che non si può ancora ragionare nel nostro Paese per compartimenti stagni, ma che al contrario occorre fare sistema, occorre mettere in campo tutte le sinergie possibili per determinare condizioni ottimali e concorrenziali di crescita. Dispiace prendere atto che siamo rimasti ancorati a vecchie logiche di divisione territoriali, compartimentali, distinzioni tra industria, logistica e commercio anche al fine del riconoscimento di benefici. Un modo di intendere lo sviluppo economico arretrato, che non ci permette di crescere e che, al contrario, ci mette in secondo piano rispetto all’area mediterranea, e non solo.
Il turismo marino esprime quasi due terzi della blue economy. I flussi turistici, anche quelli indoor, sono destinati a crescere. Dal punto di vista dell’accoglienza, sarà necessario regolamentare un sistema che è fatto soprattutto di piccole realtà, molte delle quali a conduzione familiare? E come potremo salvaguardare le nostre coste?
Il turismo marino, una vera risorsa attrattiva delle nostre coste, va incentivato e tutelato attraverso una ricetta semplice, per certi versi anche banale. L’attrazione va determinata ponendo chi offre i servizi nella logica di poterli offrire ad un prezzo concorrenziale, incidendo in maniera importante sulla tassazione. Proprio la presenza di attività fondate sulla conduzione familiare dovrebbe spingere a cercare di far allargare quel contesto di offerta con l’ausilio di professionalità competenti, che però non siano una sottrazione di risorse economiche, ma al contrario siano in grado di generare ulteriori proventi. Incentivi fiscali che potrebbero favorire gli investimenti ed aumentare l’offerta. Le coste vanno salvaguardate ponendo in essere misure ambientali tali da trasmettere a ciascuno di noi, ma a maggior ragione agli operatori del settore, quel senso di responsabilità che li e ci consenta di fungere da sentinella del territorio, impedendo in maniera ferma ogni degrado ambientale determinato in larga parte dalla noncuranza. Ogni danno al territorio è un attentato alla vita della popolazione, ma anche un attentato alla propria offerta di servizi turistici che attraggono solo grazie alla bellezza e salubrità delle nostre coste.
Le prime sentinelle dovrebbero essere proprio quegli operatori che si attiveranno per il miglior sviluppo sostenibile delle nostre aree costiere.
Da tempo ormai si parla delle autostrade del mare all’interno delle politiche dei trasporti dell’Unione europea. A che punto siamo? E che cosa pensa Lei a riguardo?
Le autostrade del mare non dovrebbero essere solo uno slogan ma diventare una concreta possibilità di sviluppo del trasporto acqueo, occorre però metterci mano e non continuare a demandare l’applicazione pratica di concetti teorici. Non vedo allo stato attuale raggiunto né il risultato economico né quello ambientale che il concetto di autostrada del mare dovrebbe generare.
Il ruolo dell’Italia nel Mediterraneo è un ruolo cruciale in ragione della posizione geografica strategica. Siamo la culla del Mediterraneo, dovremmo pertanto cominciare ad aspirare a fare da guida, e non già a subire delle politiche imposte e spesso rigide, attraverso le sinergie fra operatori del settore, ascoltandoli e cercando di creare un sistema interconnesso che ci consenta di essere il fulcro del trasporto acqueo nel Mediterraneo e un ponte verso gli altri paesi.
A margine dell’evento internazionale Med Blue Economy, che ha già toccato 5 nazioni – Italia, Malta, Tunisia, Brasile e Russia – e si concluderà con otto giorni di convegni a Gaeta dal 24 aprile al 1°maggio, Lei ha lanciato l’idea di creare una Zona Economica Speciale integrata che comprenda le province di Napoli e Caserta e l’area Sud Pontina. Vuole spiegarci meglio questo progetto?
L’idea è proprio quella che parte dalla mia critica iniziale, creare un concetto di Zona economica speciale che superi le logiche dei rigorosi confini economici territoriali e compartimentali. Nel caso di specie, la necessità dell’istituzione di una ZES più ampia muove dalla volontà di tenere legati territori accomunati da realtà simili e da problematiche di sviluppo e di crescita, per consentire loro di superare quel gap che attualmente li divide dalle altre parti del Mediterraneo al fine di renderlicompetitivi. Ovviamente senza andare contro il principio comunitario che vuole la ZES ricondotta in un ambito territoriale delimitato, ma accedendo invece a quel concetto di ambito distinto e distante da quello dei confini meramente provinciali e o regionali, inglobandolo in quello di sistema di sviluppo economico globale.
Un ambito accomunato da caratteristiche morfologiche e geografiche e da esigenze di sviluppo economico analoghe, che possa divenire finalmente competitivo e attrattivo rispetto alle altre “zone franche” o economiche speciali presenti nel Mediterraneo. Abbiamo avviato, a mio avviso, un progetto che ci consentirà di diventare un modello di sviluppo in un settore strategico per il nostro Paese. Il Med Blue Eonomy vuol far comprendere questa nuova visione che stiamo concretizzando attraverso la sinergia tra tutti gli operatori economici del settore.