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Europei, il calcio come modello di un Paese che vuole ripartire

di
Alfonso Lo Sardo

«Il calcio è la cosa più importante delle cose meno importanti» diceva Arrigo Sacchi, allenatore del Milan e della Nazionale. Come dargli torto? Sarà per questo che per tutta la notte, milioni di italiani si sono riversati in strada a fare festa, a suonare il clacson ebbri di gioia, ad abbracciare degli sconosciuti, a urlare ritornando bambini? È proprio quello che è successo un minuto dopo la parata plastica, aerea di Gianluigi Donnarumma, portiere azzurro. Sì, perché cinquantatré anni dopo – era il 1968 l’anno della vittoria a Roma contro la Jugoslavia – l’Italia vince i campionati Europei di calcio e lo fa in una serata indimenticabile, battendo l’Inghilterra sul suo terreno, a Wembley, nel modo più crudele e apparentemente fortunoso che il gioco conosca, ai rigori. Un sistema che solo i più sprovveduti definiscono “lotteria”.

Gli Europei di calcio riportano il nome dell’Italia nella cronaca sportiva mondiale

Per gli inglesi, che questo torneo non lo hanno mai vinto, la beffa di vederselo sfuggire dopo avere mantenuto il vantaggio per oltre 67 minuti e aver creduto ad una storica vittoria. Per i giocatori di Roberto Mancini, il mister degli azzurri, è invece il coronamento di un percorso esaltante che li ha visti dominare già dalla fase di qualificazione. Il nome dell’Italia ritorna ad imporsi nella cronaca sportiva mondiale, dopo quindici anni di sconfitte e umiliazioni tra cui la mancata qualificazione ai Mondiali del 2018 tenutisi in Russia.

Non c’era modo migliore per iniziare l’estate del 2021, quella che dovrebbe portarci finalmente fuori dal dramma globale della pandemia da Covid-19 che tutto ha cambiato e trasformato e che per diciotto mesi ci ha costretto a guardare al futuro con occhi diversi, tra paure nuove e antiche, facendo vacillare le certezze consolidate e le coordinate di un futuro che pensavamo di poter gestire e dominare. Ritorna a vincere qualcosa di importante l’Italia, che prova a ritrovare la fiducia e l’unità, dinnanzi al sorriso composto del Presidente Sergio Mattarella, presente sugli spalti per rassicurare e rappresentare il Paese.

Mancini chiamato a innovare e a dare spazio a giovani talenti

E se dallo sport è possibile trarre degli spunti utili e vincenti, in grado di servire anche per leggere e interpretare la realtà economica e sociale, mutuandone schemi e modelli positivi, rivelativi, vincenti, allora dall’esperienza vittoriosa della formazione italiana a Wembley si può facilmente concludere che tutto nasce da un progetto che venne affidato nel 2018 ad un allenatore di grande esperienza come Roberto Mancini, con il compito di ricostruire e di rinnovare, dopo cocenti delusioni, in un Paese come il nostro che, come pochi altri, del calcio ha fatto una religione laica ma non meno totalizzante. Un incarico che, in un Paese che conta milioni di allenatori di calcio, nessuno voleva, per gli ostacoli e le trappole; un incarico meno remunerativo di altri incarichi perché non può competere con i budget dei ricchi club. Un compito difficile e rischioso in cui era facilissimo deragliare. Mancini era tra l’altro chiamato a innovare e a dare spazio a giovani talenti, togliendo spazio e posto a vecchi senatori della squadra.

Ecco perché la vittoria contro gli inglesi, in uno tra i campionati europei più agguerriti degli ultimi tempi, assume un grande valore: si partiva dalle macerie, dalle retrovie, dalla rifondazione. Una situazione che fa il paio con quella che il Paese è chiamato ad affrontare sul lavoro e l’economia, con il dovere della ripartenza e della ricostruzione dopo le lacerazioni causate da quello tsunami che è stata, e che è, la pandemia, la quale ha fatto traballare rendite di posizione, chiavi di lettura apparentemente buone per tutte le stagioni e paradigmi che ritenevamo inossidabili.

Il calcio come metafora di una ripartenza fondata sul gioco di squadra

E, se è consentito appropriarsi di ricette sportive da esportare nella politica e nella organizzazione della società, perché non prendere ispirazione dalla meritocrazia di questa Nazionale di calcio, dall’entusiasmo di giovani ambiziosi e di talento affiancati da compagni di grande esperienza? Perché non prendere a modello un allenatore che ha messo da parte i successi conseguiti da giocatore e da selezionatore per affrontare una sfida nuova in cui aveva tutto da perdere? Perché non riflettere sulla capacità di un gruppo in cui ognuno ha un suo ruolo e una sua funzione e in cui non esistono privilegi, capi e capetti, ma solo diverse mansioni nell’interesse generale? Ma sì, diciamolo senza remore: questa vittoria, al di là della sua dimensione sportiva, può servire da lezione anche in altri àmbiti, per una ripartenza che si fondi sulla concretezza e sul gioco di squadra, sul raggiungimento di obiettivi importanti e sulla capacità di sacrificarsi senza risparmiare fatica e impegno. Perché lo sport per alcuni è solo uno sport, ma per molti altri è mettersi in gioco ed avere un progetto, coltivarlo e dedicare ogni energia per conseguire la vittoria. E, in questi casi, lo sport è realizzazione personale, confronto con gli altri, vita.

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