La spesa comunitaria in Sicilia fa registrare una nuova battuta d’arresto. A tre mesi dalla scadenza annuale, il rischio oggi è che oltre 700 milioni di risorse europee – una vera e propria manna dal cielo per il bilancio regionale e per le spese destinate allo sviluppo e alle imprese – possano ritornare alla casa madre. Rimane cosi paralizzata la spesa dei fondi europei che ad oggi fa registrare l’impiego di soli 6 milioni e 380mila euro. Una inezia.
Il quadro generale non è per nulla confortante, se si considera che entro 90 giorni la regione siciliana dovrà utilizzare oltre 700 milioni se non vuole incorrere in penali, ed è per questo che, negli uffici preposti che si occupano della materia, è scattata una vera e propria corsa contro il tempo. A ciò si deve aggiungere che, in caso di mancato raggiungimento dell’obiettivo, l’Ente non potrà ricevere neanche il bonus previsto che ammonta a 273 milioni. Quella del mancato utilizzo dei fondi comunitari non è una novità per la macchina regionale: tra le cause del flop, che risale già al Governo Lombardo, ci sono la mancata predisposizione di una “task force” con competenze adeguate e la mancanza di una programmazione della spesa e dei progetti. Poco è stato fatto negli anni per rimediare a questa situazione e la notizia della paralisi della spesa comunitaria non può certo rappresentare una sorpresa.
Va precisato che l’Unione europea, per il periodo compreso tra il 2014-2020, ha messo a disposizione della Sicilia 4 miliardi e mezzo, fissando degli obiettivi a medio termini da raggiungere. Un modo per facilitare il percorso, ma non sembra essere servito. Il primo di questi traguardi è proprio quello del 31 dicembre 2018: entro questo termine, infatti, dovranno essere certificati 719 mln di euro.
L’ultimo report sulla spesa risale al 31 luglio, quando è stato fatto un esame complessivo, ed il dato ottenuto è appunto di 6 mln e 400mila euro. Pochissimo. Dario Tornabene, dirigente generale della Programmazione, non tradisce preoccupazione ma rimane sereno: «Entro settembre avremo molti più dati, e potremo capire cosa sta accadendo e in che modo intervenire. La realtà è che scontiamo ritardi del passato e che il settore della Programmazione è in sofferenza, come negli anni passati, ma stiamo lavorando duramente per riuscire a raggiungere gli obiettivi prefissati».
Le responsabilità della mancata spesa – è bene chiarirlo – non possono essere addebitate alla sola Regione, perché anche le imprese beneficiarie devono produrre la relativa documentazione, ma i ritardi che si registrano nella fase di erogazione delle somme sono quelli più onerosi e condizionano il percorso in tutte le sue fasi successive.
E proprio dal mondo delle imprese arriva una risposta sul tema. Alessandro Albanese, vicepresidente di Sicindustria, non ci sta, ed indica un orizzonte diverso: «Basta con la politica dello scaricabarile. Il nodo centrale è il credito: il vero problema non è spendere, ma la qualità degli impieghi. Occorrono fideiussioni ed in questa prospettiva il ruolo delle banche rimane centrale». La critica di Albanese vuole essere costruttiva: «Gli imprenditori chiedono tempi certi. Se la Regione non riesce a portare a termine i bandi, crei una “task force” od affidi le istruttorie all’esterno, anche perché le corse contro il tempo inseguono solo la rendicontazione e non la qualità della spesa».
Una proposta interessante è quella lanciata dall’assessore regionale alle Attività produttive, Girolamo Turano, per il quale «le imprese farebbero bene a chiedere il 40% di anticipazione dei finanziamenti a bando, in modo da avviare subito gli investimenti. In questo modo aumenterebbe la spesa certificata, un passaggio cruciale perché indica il reale utilizzo delle somme». Sicindustria vede di buon occhio questa proposta ma chiede l’intervento di banche ed assicurazioni con fideiussioni o assicurazioni sull’investimento. Per Alessandro Albanese (Sicindustria) «il problema principale è rappresentato dalle lentezze e dai ritardi burocratici e dal numero insufficiente di personale addetto alla materia dei fondi comunitari, ma non è meno importante avviare una concertazione tra la Regione e il sistema delle imprese, per individuare insieme obiettivi e strumenti, anche e soprattutto perché l’obiettivo non può essere quello della rendicontazione, ma lo sviluppo del territorio».
Anche il Ministro per il Sud, Barbara Lezzi, ha manifestato il suo particolare interesse al tema: «C’è la massima attenzione da parte del Ministero ed anche la piena consapevolezza di come non è possibile che risorse così importanti per la Sicilia possano essere perse. Proprio per questo il ministero ha messo a disposizione supporto tecnico e negoziale oltre che risorse umane». Per il ministro Lezzi, inoltre, «occorre che le regole sui fondi europei cambino, perché troppo punitive per le regioni del Sud. Andrebbe fatta una profonda opera di semplificazione: le proposte avanzate da Bruxelles sullo snellimento delle procedure, sono troppo timide e certamente insufficienti, per segnare una vera svolta. Ho anche ribadito la territorialità dei fondi: in caso di riprogrammazione, i fondi devono comunque essere destinati al territorio, che potrà così rimodularli».
Tra gli esperti della materia si consolida la convinzione, dunque, che sino ad ora sia mancata una vera collaborazione tra le parti chiamate in causa, e che ognuna di esse, ancora oggi, proceda in assenza di una intesa con le altre. Quello dei fondi comunitari è, infatti, un comparto che richiede competenze, sintesi e collaborazione, perché dalle attività di un soggetto dipende il buon esito, nei tempi e nelle modalità, delle attività poste in essere da un altro soggetto. Regione, imprese, banche, enti locali, sono proprio per questo chiamati ad un lavoro di squadra, nel rispetto delle prerogative e delle responsabilità di ognuno, per il raggiungimento dell’obiettivo finale che è rappresentato dalla ricaduta positiva sul territorio – in termini di crescita e di occupazione – delle ingenti somme messe a disposizione da Bruxelles.