“C’è del marcio nel piatto”. Il cibo svelato da Caselli e Masini

Un mercato stimato attorno ai 270 miliardi di euro, che coinvolge 2,5 milioni di persone. L’agroalimentare è un “pilastro” dell’economia nazionale che genera business, ma anche “appetiti”, esercitati da organizzazioni criminali senza scrupoli, pronte a sfruttare un vento così favorevole. Il settore non ha risentito, infatti, della crisi, garantendo interessanti fatturati. È un comparto, come si dice nel gergo, “freddo”, in grado di superare le peggiori congiunture perché, potrà sembrare cinico, ma è un dato di fatto: mangiare si deve!

Il saggio, C’è del marcio nel piatto! (ed. Piemme, pagg. 212, E. 17,50) scritto a quattro mani da Stefano Masini, docente di Diritto Agroalimentare presso l’Università di Tor Vergata e da Gian Carlo Caselli, Presidente del Comitato Scientifico dell’Osservatorio della Criminalità nell’agricoltura e nel sistema agroalimentare con un passato da procuratore impegnato in prima linea da Palermo a Torino nel contrasto alle mafie e al terrorismo, con lo stile narrativo delle fiabe, fatte di un linguaggio immaginifico, ci svela gli aspetti drammatici di un fenomeno che interessa tutti. Pinocchio ci introduce nel mondo delle etichette, che di bugie ne raccontano ancora tante, Aladino – col genio della lampada che esaudisce i suoi desideri – richiama il problema della pubblicità, che di desideri ne suscita tanti ma ne soddisfa pochi, Alice è lo specchio degli alimenti che non sono quel che appaiono; i capitoli scorrono rapidi e fanno riflettere.

Il lettore viene condotto per mano dagli autori che, con dovizia di dati e grande capacità di analisi, alzano il sipario sul mondo dei cibi al veleno, «un mondo senza etica, senza regole, fatto – spiega Caselli – di “agropirati”, nuovi draghi della tavola. Le uniche regole che valgono sono le loro, quelle che si danno per nascondersi nell’economia legale, sporcare la filiera alimentare creando un prodotto mediocre, ma allettante per il consumatore. Questi criminali agiscono sofisticando le confezioni per poi rimetterle sul mercato a larga scala, con etichette posticce che declamano eccellenze italiane o qualità inesistenti». Il “marcio nel piatto” che mangiamo si sostanzia di sofisticazioni, false etichettature, sfruttamento della manodopera, caporalato, un mix esplosivo che si rafforza e cresce nella totale violazione dei diritti fondamentali. «Gli agropirati sono i “colletti bianchi” dell’industria alimentare che, subdolamente, magari senza troppo nuocere ai consumatori, immettono nei cicli trasformativi materie prime di più bassa qualità merceologica, spacciandoli per genuini o per eccellenze full made in Italy».

Non c’è comparto che si possa ritenere immune: vino, formaggi, pasta, pesce, spumanti: tutto ciò che è commestibile ed ha un brand italiano può esser piratato, eludendo il più delle volte i controlli ufficiali, anche grazie alle nuove tecnologie. Ed è proprio sul web, non più solo sullo scaffale del supermercato, che si compiono i peggiori misfatti. In testa ai sequestri di falsi cibi e bevande disponibili on line, troviamo il prosecco, il parmigiano, conosciuti, amati nel mondo e perciò imitati, con tanti saluti alla reputazione e alla qualità costata, agli imprenditori veri, anni di investimenti in innovazione. I tanti kit propagandati su Internet, quali wine kit e cheese kit, fattibili in casa – con inquietanti alambicchi e strane polverine – per produrre Barolo, Montalcino, mozzarella, pecorino taroccati (l’elenco potrebbe continuare), danno l’idea di quanto floride siano le attività illecite.

«La sicurezza alimentare è il tema centrale e ha a che fare in prima battuta con l’informazione. Sicurezza e verità dovrebbero camminare insieme – commenta Stefano Masini – tenuto conto che le insidie si annidano ovunque e sono alimentate dalla pubblicità ingannevole, da marchi smodatamente elogiativi, oltre che da false promesse. Non bastano le norme, devono mutare i nostri comportamenti altrimenti non possiamo sperare che la favola possa avere un lieto fine». Esempio concreto: fare la spesa, azione necessaria ma non banale. «Ricordiamoci – continua Masini – che il patrimonio valoriale della nostra qualità alimentare va oggi difeso, innanzi tutto cercando di riannodare i prodotti alla terra alla loro vera origine, alle stagioni, insomma alla matrice autentica. Il topino Remy sogna i sapori di un tempo, le zuppe, le minestre della nonna, sapori semplici, autentici. Con la vendita diretta nei mercati questo è un’utopia possibile». I mercati di “Campagna amica” sono circa 1.200 e coinvolgono 18 milioni di consumatori. Non si tratta di una quota residuale: sono infatti tanti i consumatori che stanno cominciando a capire che dietro prezzi apparentemente vantaggiosi si nascondono reati contro l’ambiente e, da qualche parte del mondo, contro l’umanità. Controllare i rapporti di filiera, facendo in modo che non prevalgano solo le regole di un mercato selvaggio, sarà necessario, anche per comprendere l’evoluzione delle dinamiche dei prezzi e le strategie dei player internazionali. «Produrre cibo non è come fare bulloni, vuol dire generare biodiversità, bellezza, in una parola fare scelte socialmente utili».

Purtroppo, il sogno purista di Remy è destinato a cozzare con la quotidiana spietatezza delle mafie, altro terribile capitolo, con cui bisogna fare i conti. «L’ultimo Rapporto sulle agromafie, curato da Eurispes e Coldiretti ha calcolato – per difetto – precisa Caselli – in quasi 22 miliardi di euro il “fatturato” agromafioso, con un incremento annuo che è pari al 30%. Significa che si sta profilando, anche sul versante agroalimentare, una economia parallela. Una “mafia liquida” che come l’acqua si infila un po’ dappertutto dallo scaffale alla tavola, condizionando il mercato, stabilendo i prezzi dei raccolti, gestendo i trasporti e lo smistamento, controllando intere catene di supermercati. Come se non bastasse, le nuove mafie sono, inoltre, le prime responsabili della produzione dell’ ”Italian sounding” (altro fenomeno inquietante), nella ristorazione sono già di casa, mentre hanno maturato le conoscenze per captare cospicui flussi dei finanziamenti europei».

Toccherà insomma al legislatore aiutare Robin Hood a fermare lo scempio della tavola, perché la “gara del tiro con l’arco” è ancora in corso. L’approvazione del disegno di legge sui reati agroalimentari è un primo importante passo, altri ne dovrà fare la XVIII legislatura, la posta in palio è troppo alta, passi falsi e superficialità non potranno più essere ammessi.

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