La prime vittime italiane dell’Isis davanti e dentro il Museo del Bardo di Tunisi hanno ovviamente monopolizzato da mercoledì scorso l’attenzione dei media. Dopo tanti allarmi lanciati e gridati in prima pagina, l’attacco di terroristi non è avvenuto propriamente in territorio italiano, ma ha colpito turisti in buona parte nostri concittadini nell’area dello storico museo arabo che contiene fondamentalmente reperti dell’antica Roma. Dei 24 morti 4 sono italiani, mentre i feriti sono 11. Le tv hanno seguito mercoledì gli spari di Tunisi con speciali, corrispondenti e lunghe dirette così come il blitz delle forze di sicurezza, mentre la conta dei morti e dei feriti si è precisata solo giovedì.
Nulla da eccepire, dunque, sul conto dei media: hanno svolto il loro compito dignitosamente. Quello che in più ci si poteva aspettare, e che invece è mancato, è un picco di attenzione da parte dei pubblico ed in particolare dei teleutenti che immancabilmente ogni giorno vengono “contati” e fotografati da Auditel. Chi scrive non è patito di cabala e non stravede per Auditel, ma lo strumento matematico ha pur sempre un valore e i numeri degli ascolti per i Tg di prima serata dei giorni scorsi ci hanno in qualche misura sorpreso e anche allarmato. Abbiamo già proposto nella quotidiana rubrica dell’Osservatorio Tg i dati essenziali: mentre nel caso di recenti attacchi terroristici come quello parigino a Charlie Hebdo i teleutenti attaccati ai Tg serali erano aumentati quasi del 20% ( 22 milioni di teleutenti) rispetto alla media di gennaio, e mentre la pubblicazione totale o parziale dei video sanguinari del Califfato ha prodotto sconcerto, dibattito ma certamente un’altissima attenzione, come mai di fronte alle prime vittime italiane le terrorismo targato Isis gli ascolti sono rimasti “inchiodati”, se non addirittura scesi?
18.747.000 lunedì, 18.530 martedì (le giornate precedenti all’attentato). 19.650 mercoledì (giorno dell’attentato); 17.461 giovedì (bilancio definitivo con le 4 vittime); venerdì, 17.381. Mentre i feriti sono in parte ancora a Tunisi e le salme sono appena rientrate, e malgrado la corretta attenzione riservata dai media anche nello scorso weekend, l’assalto al Museo del Bardo non ha fatto incetta di ascolti.
Abbiano già scritto che è fuori luogo ipotizzare una sorta di inconfessabile cinismo da parte degli italiani che ”se ne fregherebbero” dei concittadini colpiti perché, erano in vacanza in aree comunque pericolose. Si può allora ipotizzare un’ “assuefazione” alla minaccia terroristica, così ripetutamente – a ragione o a torto – veicolata da media negli ultimi mesi? Neanche questa tesi ci sembra calzante. Si deve allora investigare il livello dell’offerta iconografica che ha caratterizzato l’ultima stagione della comunicazione “del” e “sul” terrorismo. Le tecniche hollywoodiane dei video del Califfato hanno creato uno standard per il quale il rapporto tra violenza reale e sua rappresentazione senz’altro pende a favore di quest’ultima. Le immagini dell’Isis non sono solo brutali, ma studiate nei minimi dettagli per produrre terrore per un verso, e spirito di emulazione per l’altro. Tecniche e marketing pubblicitari, dunque, e sappiamo quanto efficace sia la pubblicità.
Quando l’informazione riprende e rilancia – acriticamente o meno – i prodotti parapubblicitari dell’Isis inconsapevolmente crea uno standard a cui non sempre può essere adeguata quando produce le “sue” immagini. Quelle da Tunisi sono state inevitabilmente scarse, sbiadite e “vere”, ovvero non manipolate. In assenza delle dirette davanti allo store ebraico di Parigi o del “documento eccezionale” rimandato centinaia di volte in cui un terrorista “fredda” l’agente davanti a Charlie Hebdo, le telecamere della realtà sono, sì, più oneste, ma risultano meno efficaci nell’attrarre pubblico. Analisi certo non confortante, che rimanda ad altri interrogativi sulle responsabilità del media mainstream, ma anche al loro peso reale nella costruzione della sensibilità pubblica.