I costi per la salute dell’essere in Rete, con riferimento a quello che il sociologo Marco Fasoli definisce “stato di benessere digitale”, possono spingersi a configurare forme patologiche rispetto al binomio presenza in Rete e ricerca di materiali sulla salute.
Cosa significa cybercondria?
La cybercondria viene definita come una dipendenza digitale che porta gli individui a fare autodiagnosi cercando sul Web la risposta a sintomatologie comuni, fisiche o psicologiche, ed evitando di ricorrere ad un consulto medico-specialistico. Gli psicologi McElroy e Shevlin, nel 2014, hanno creato una scala specifica, la Cyberchondria Severity Scale (CSS) – già sottoposta a varie revisioni negli ultimi anni – per misurare l’intensità di questo disturbo. Il fenomeno è certamente correlato alla massiccia disponibilità di informazioni presenti in Rete, che sta progressivamente modificando la relazione di cura tra medico e paziente, in una prospettiva di autonomia. In altri termini, si sta diffondendo l’idea che il paziente sia in grado di prendere decisioni indipendenti rispetto al proprio stato di salute, utilizzando la scienza medica in una fase successiva, come fonte di informazioni di maggior dettaglio. L’autodiagnosi, spesso approssimativa e imprecisa, che ne deriva, polarizza l’atteggiamento degli utenti che enfatizzano o, al contrario, trascurano i sintomi che accusano. Del resto, a fronte di molti vantaggi che scaturiscono dalla grande disponibilità di informazioni mediche in Rete – la facilità di accesso all’informazione, l’anonimato, la possibilità di fare ricerche senza imbarazzo, l’economicità e l’empowerment degli utenti –, gli svantaggi sono legati, principalmente, alla scarsa alfabetizzazione medica degli utenti che non consente una reale autonomia nella valutazione della qualità delle fonti, dei contenuti e delle informazioni. Tuttavia, secondo i dati Eurobarometro, più della metà dei cittadini europei effettua ricerche in tema di salute su Internet, e per il 70% degli utenti la Rete è la prima fonte che viene consultata in caso di problematiche di salute. Il dato è ancora più significativo se si considera che, secondo uno studio realizzato dal Pew Research Center (più di dieci anni fa) il 35% degli adulti statunitensi cercava di effettuare una autodiagnosi utilizzando la Rete.
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Una nuova malattia digitale
Il termine cybercondria, utilizzato per la prima volta nel 1996 dal giornale inglese Business Wire, è entrato nell’uso specialistico e popolare solo di recente e nella sua definizione più accreditata individua «an excessive or repeated search for health-related information on the Internet, driven by distress or anxiety about health, which only amplifies such distress or anxiety» (Starcevic, Berle, 2013). Se da un lato gli studi sul tema degli ultimi quindici anni si sono interrogati, senza peraltro raggiungere una posizione comune, se si trattasse di una manifestazione “digitale” del disturbo ipocondriaco – i cui sintomi sono riconducibili al disturbo da ansia di malattia –, oppure di un nuovo disturbo psicologico, dall’altro è evidente che si tratti di un fenomeno che mostra quanto, nell’epoca contemporanea, la cultura diffusa, ovvero la percezione della popolazione, si collochi in una posizione a volte molto distante dalle conoscenze e dalle evidenze della scienza medica. Lo scarto tra la scienza medica e la cultura medica diffusa è infatti aumentato, e ha messo in evidenza la reciproca incapacità di dialogare e di trovare un punto di contatto tra universi simbolici e di significato differenti.
La ricerca compulsiva di informazioni sulla rete, un fenomeno crescente
L’impatto del crescente ruolo della Rete, come fonte primaria di informazione, sui comportamenti degli utenti in tema di salute è ancora non pienamente definito, poiché si tratta di un fenomeno relativamente recente. La ricerca di informazioni sulla salute in Rete rischia di produrre un atteggiamento compulsivo e una crescente ansia negli utenti, rendendo di fatto residuali i vantaggi che Internet produce in termini di conoscenza, empowerment e potenziale rassicurazione, e trasferendo la responsabilità della gestione della salute e della cura dal medico al paziente. In ogni caso, è evidente che l’interazione tra uomo e macchina nell’ambito della diagnosi e della cura sta producendo effetti significativi sulla relazione medico-paziente, che in condizioni ottimali dovrebbe essere caratterizzata da un’alleanza terapeutica frutto del rispetto reciproco, e dall’esercizio della scienza medica. Studi recentissimi, raccontano anche che, laddove il medico accolga gli stimoli del paziente, magari ripercorrendo insieme il suo percorso fatto nella Rete, e fungendo da “medium” esperto in grado di restituire in modo scientifico e corretto quelle conoscenze acquisite “profanamente”, si ristabilisce una condizione di fiducia e comfort per entrambi. Ciò deve portare a comprendere che il problema non è tanto “Dottor Google” e le sue diagnosi spesso incompetenti e fake, quanto la necessità di ridefinire equilibri, linguaggi, ma anche competenze relazionali, sia da parte degli esperti sia da parte di chi esperto non è, ma è alla ricerca di ciò che più assomiglia alla verità.
PER APPROFONDIRE
Fasoli M., Il benessere digitale, Il Mulino, 2019.
Fox S., Jones S., The social life of health information, Pew Research Center, 2009.
Huisman M., Joye S., Biltereyst D., “Searching for Health: Doctor Google and the Shifting Dynamics of the Middle-Aged and Older Adult Patient–Physician Relationship and Interaction”, Journal of Aging and Health, 2020, 32(9), pp.998-1007.
Loos A., “Cyberchondria: too much information for the health anxious patient?”, J. Consum, Health Internet, 2013, 17(4): 439-45.
McElroy E, Shevlin M., “The development and initial validation of the cyberchondria severity scale (CSS)”, J Anxiety Disord, 2014 Mar; 28(2):259-65.
Starcevic V., Berle D., “Cyberchondria: towards a better understanding of excessive health-related Internet use”, Exp Rev Neurother, 2013, 13(2): 205-13
*Simona Totaforti – Professore ordinario di Sociologia dell’ambiente e del territorio (Unistrada).
*Fiammetta Pilozzi – Ricercatrice in Sociologia dei processi culturali e comunicativi (Unistrada).