Libertà o dominio, opportunità o nuove forme di schiavitù. Vanni Codeluppi, Professore ordinario di Sociologia dei consumi dell’Università degli Studi di Modena e Reggio Emilia, nel suo libro I 7 tradimenti del digitale (Editori Laterza) indaga le contraddizioni e le false promesse che hanno accompagnato la rivoluzione digitale. L’evoluzione è arrivata a un “punto di inciampo”? Le “magnifiche sorti progressive”, che il “paese Internet”, oggi popolato da 5 miliardi di Internauti, ci aveva fatto intravedere hanno di fatto consegnato le nostre vite al controllo di poche e potenti aziende private?
Professore, il suo agile e inteso saggio ci ricorda che viviamo “nella rete in una dimensione omeopatica”, per usare una celebre definizione di De Kerckhove. È per questa ragione che sta venendo meno quel distacco tra “soggetto” e “oggetto” che permette di sviluppare una critica ragionata della “ragione informatica” invocata nel suo scritto?
L’importante mediologo canadese Marshall McLuhan raccontava spesso una storiella che parlava di due giovani pesci i quali incontravano un pesce più anziano. Questi li salutava e poi diceva: «Salve ragazzi! Com’è l’acqua oggi?». I due giovani pesci proseguivano per un po’ e poi uno guardava l’altro e si domandava stupito: «Acqua? Che cos’è l’acqua?». Per McLuhan questa storiella esprimeva l’idea che un pesce non sa cos’è l’acqua finché non scopre l’esistenza dell’aria. Secondo lo studioso, noi siamo un po’ come questi pesci: siamo totalmente immersi nell’ambiente mediatico digitale e proprio per questo facciamo un’enorme fatica a osservare e comprendere tale ambiente. Eppure, dobbiamo sforzarci di vederlo dall’esterno, per ristabilire quella giusta distanza che possa consentirci di sviluppare un’adeguata riflessione critica.
“I 7 tradimenti del digitale” evocano i sette vizi capitali?
Dando alle stampe questo lavoro il mio obiettivo era di sviluppare un’analisi critica dell’ideologia che sostiene attualmente lo sviluppo di Internet dal punto di vista industriale e commerciale. Un’ideologia che evidentemente non ha portato i benefici promessi sia ai singoli individui sia alla società nel suo complesso. È indubbio che il mondo digitale abbia assicurato notevoli vantaggi agli utenti, in quanto consente di mettere a disposizione elevati livelli di facilità e comodità d’uso, ma negli ultimi decenni si sono progressivamente evidenziati anche i suoi limiti. L’ideologia del web basa il suo funzionamento su sette concetti chiave, a ciascuno dei quali è stato dedicato all’interno del libro uno specifico capitolo. Ogni capitolo affronta un concetto importante di tale ideologia cercando di analizzarlo e di smontarlo.
Quale rivoluzione?
Nel volume vengono ripercorse le tappe evolutive del digitale. È possibile riassumere i tratti salienti di una trasformazione che, soprattutto nell’ultimo ventennio, ha investito l’uomo e la società con una capillarità che non si era mai verificata nella storia di altre pur decisive rivoluzioni scientifiche e tecnologiche?
Credo che sia importante riflettere su quel processo di trasformazione che il mondo digitale opera costantemente sulla nostra realtà sociale. Il mondo digitale, infatti, ha successo perché è un sistema estremamente efficace nel convertire qualsiasi cosa esista nell’universo ‒ come, ad esempio, i suoni o i dipinti ‒ in un dato numerico quantificabile e calcolabile e pertanto in qualcosa che può essere facilmente stoccato, modificato e diffuso. Ciò spiega perché tutto oggi tende a essere progressivamente trasformato mediante un processo di digitalizzazione. Gli strumenti digitali però non sempre riescono a registrare tutte le infinite sfumature di ciò che esiste nel mondo fisico. Dunque, la traduzione digitale semplifica e fa sì che inevitabilmente tenda a perdersi una seppur limitata porzione del mondo.
Nella prima parte del volume si parla dell’insegnamento e della lezione di Steve Jobs. Cosa rimane di quell’esperienza?
L’invenzione di una tecnologia in un garage da parte di un gruppo di giovani “nerd” è una mitologia che numerosi autori hanno dimostrato essere palesemente falsa. Detto questo, è evidente che Steve Jobs, Steve Wozniak e tanti altri geniali giovani americani sono stati in grado di dare vita a un mondo tecnologico innovativo e originale. Ma, bisogna soprattutto ricordare che tale mondo non esisterebbe se la ricerca scientifica delle aziende e delle università non fosse stata massicciamente sostenuta dall’esercito e dello Stato americano attraverso importanti quantità di denaro. È grazie a tali investimenti che abbiamo avuto aziende come Apple, con i suoi prodotti di successo. Un’azienda naturalmente che, dopo la scomparsa di Jobs, non possiede più quella capacità di innovare che esprimeva in precedenza, anche se rimane comunque una delle realtà tecnologiche più avanzate nel panorama internazionale.
Se tutto è gratis, come le multinazionali che hanno in mano il web vogliono farci credere, il valore in Rete dove va ricercato?
È noto come nel mondo digitale non ci sia nulla di gratuito. Se non c’è una tariffa da pagare, il valore economico viene prodotto dalle aziende sfruttando il tempo e le informazioni che riguardano la vita degli utenti. Nei primi anni, sembrava che Internet potesse dare vita a un mondo nuovo in grado di realizzare quello spirito di libertà che era stato rivendicato dai movimenti giovanili californiani negli anni Sessanta. Quest’idea ha comportato che ogni richiesta di pagamento dei servizi offerti dalle imprese venisse sistematicamente rifiutata da parte degli utenti, ma tale situazione non poteva essere sostenibile da un punto di vista economico e non a caso si è determinato il fallimento di tutti i servizi di informazione all’epoca lanciati sul mercato.
Quali sono state le conseguenze di tutto questo?
Il fenomeno ha reso necessaria un’apertura a forme commerciali di scambio, le quali hanno rapidamente assunto però una forma di tipo capitalistico. Una forma legittimata da un modello ideologico neoliberista che ha permesso una grande libertà d’azione alle aziende, alcune delle quali, proprio grazie a tale libertà, hanno assunto delle posizioni di tipo monopolistico. Ciò è stato reso possibile anche da quel processo di crescente “mediatizzazione” che caratterizza le società ipermoderne e, all’interno di tale processo, dal ruolo svolto dalle marche aziendali, che operano come veri e propri “ambienti” dove è possibile stabilire una connessione costante tra produttori e consumatori. E dove le marche accumulano pertanto valore sfruttando le conoscenze, i modelli culturali e le innovazioni che vengono prodotte dagli individui e dalla società. Ciò, in generale, tende a produrre un processo di “fluidificazione” che annulla le differenze culturali e sociali. La società si fa liquida e apparentemente più omologata.
Il virtuale nuova categoria dell’essere
Pierre Levy in un celebre saggio considerava una categoria dell’essere che si aggiunge alle tradizionali categorie elencate da Aristotele e nella modernità da Kant. Quali prospettive si aprono per la riflessione teoretica?
Credo che il concetto di realtà virtuale sia abbastanza sopravvalutato. Gli artisti hanno sempre cercato di costruire dei mondi di finzione alternativi rispetto a quelli quotidiani. Hanno utilizzato a tale scopo diversi strumenti espressivi, come il linguaggio orale, la parola scritta e la scrittura alfabetica. E a volte la funzione esercitata sul piano sociale dalle diverse forme di scrittura è stata affiancata dall’analogo ruolo svolto dalla rappresentazione teatrale. Quando è arrivata la stampa, tale invenzione ha spinto ulteriormente in avanti questo processo. E così è successo per i media successivi. Via via, dunque, le persone si sono abituate a una forma di conoscenza che è in grado di assumere un carattere autonomo rispetto al contesto sociale all’interno del quale agisce. La realtà virtuale è soltanto più potente, ma va considerato che la sua diffusione incontra ancora diversi ostacoli.
La vetrinizzazione sociale è il titolo di un suo celebre scritto. Nel gioco degli specchi generato dal “metaverso” stiamo aprendo “il laboratorio dell’uomo immortale”?
Credo si possa dire che anche il metaverso sarà uno spazio nel quale gli individui dovranno “vetrinizzarsi”. Anche in questo caso ci sono ancora diversi ostacoli da superare sul piano tecnologico, se però entreremo nel “mondo del metaverso”, questo non potrà che essere anch’esso “vetrinizzato”. Già oggi il profilo personale che ciascun utente è in grado di costruirsi all’interno dei social media richiede agli individui di raccontarsi e presentarsi al meglio. Si dà così vita a una vera e propria vetrina virtuale personalizzata. E si riducono pertanto i contatti “faccia a faccia”, nei quali ci si incontra fisicamente con gli altri, mentre aumentano le possibilità di manipolare la propria identità personale da “dietro le quinte” dello schermo di una qualche vetrina digitale. Grazie alle possibilità tecniche offerte dai social media, tutti sono dunque costantemente impegnati oggi nel definire l’immagine personale che desiderano e nel cercare di gestirla attivamente. E lo saranno probabilmente sempre più in futuro.