Intelligenza Artificiale e divario di genere: nuove sfide per inclusione sociale e parità di opportunità

Fra polemiche, speranze, potenzialità e dubbi, continua l’inarrestabile avanzata dell’Intelligenza Artificiale. Lo sviluppo di funzionalità sempre più precise ne amplia continuamente i campi di applicazione e, in numerosi ambiti, l’AI è divenuta un supporto irrinunciabile al lavoro quotidiano. L’umanità si trova oggi di fronte alla sfida di sfruttare le potenzialità offerte da questa nuova tecnologia, cercando di arginarne gli effetti negativi attesi: perdita di posti di lavoro, sicurezza informatica, violazione della privacy, sono solo alcuni dei temi che fin dal loro esordio, accompagnano la crescita delle Intelligenze Artificiali. E mentre tutti ci mostriamo preoccupati per la possibilità che l’AI si sostituisca all’uomo nello svolgimento di numerose funzioni, l’Ocse lancia un ulteriore allarme: in assenza di adeguate politiche e interventi mirati la diffusione dell’AI può contribuire ad acuire le disparità di generealimentando il fenomeno del “digital gender gap”. Una disparità subdola, spesso sottovalutata specie in paesi come l’Italia dove l’accesso ad Internet può apparire un fatto ormai consolidato e disponibile a tutti. Se infatti risulta piuttosto scontato comprendere come la diffusione dell’AI possa inasprire le differenze e le opportunità di genere nelle economie emergenti e nei paesi in via di sviluppo, meno evidenti possono essere gli effetti sulle economie avanzate, dove le disparità di genere fanno silenziosamente da sfondo a quasi tutti gli ambiti della società. In generale, sottolinea l’Ocse, in tutto il mondo le donne percepiscono stipendi più bassi, occupano meno posizioni dirigenziali, partecipano meno nei campi della scienza, della tecnologia, dell’ingegneria e della matematica (STEM), ricoprono posizioni più precarie e dedicano più tempo a lavori non retribuiti di assistenza all’infanzia, agli anziani e ai lavori domestici. Altrettanto ben documentato è il divario digitale di genere: con ovvie differenze regionali, a livello globale le donne hanno meno probabilità rispetto agli uomini di accedere ad Internet e di possedere le competenze digitali necessarie per utilizzare efficacemente le tecnologie avanzate.

Solo il 43% delle donne italiane possiede competenze digitali di base, contro una media europea del 52%

In questo contesto non è purtroppo una sorpresa constatare che la performance italiana in tema di parità di genere nel settore digitale non sia delle migliori. Secondo i dati forniti dalle valutazioni WiD (Women in Digital) che valuta annualmente le prestazioni degli Stati Membri Ue nell’inclusione delle donne nell’uso di Internet, nelle competenze digitali e nelle carriere e imprenditorialità digitali, nel 2022 l’Italia si è collocata al ventunesimo posto su ventotto paesi, con risultati particolarmente scoraggianti per quanto riguarda le competenze digitali(ventiquattresima). Solo il 43% delle donne italiane possiede competenze digitali di base, contro una media europea del 52% e il 20% ha competenze avanzate rispetto alla media del 25% in Europa. Tali dati sono supportati dalla percentuale di laureate nelle discipline STEM, che continuano a rappresentare una porzione minima del totale: solo una donna su sei in Italia ha conseguito una laurea in aree disciplinari scientifiche e tecnologiche(16,6%%), mentre per gli uomini si sale a uno su tre (34,5%)[1] e, le specialiste nel settore ICT (Tecnologia dell’Informazione e della Comunicazione) sono l’1,5% contro il 5,7% di uomini. Il fatto che le donne siano sottorappresentate sia negli ambienti formativi che in quelli lavorativi dell’ambito STEM non ha nulla a che vedere con le attitudini maschili e femminili, ma riflette piuttosto la permanenza di fattori socio-culturali che ne ostacolano l’accesso e la permanenza. Fra i laureati STEM, le ragazze terminano gli studi con votazioni mediamente più alte e sono più regolari nel completamento del ciclo di studi[2], eppure è ancora forte l’idea che le materie scientifiche siano una prerogativa maschile mentre le donne siano più votate a materie umanistiche, fattore culturale che accompagna le bambine fin dalla prima infanzia scoraggiandole nel tempo ad intraprendere percorsi di studi tecnico-scientifici. Nonostante i risultati positivi nelle carriere universitarie, il mondo del lavoro acuisce le disparità di genere: a cinque anni dalla laurea il tasso di occupazione maschile nei settori tecnologici è più elevato di quello femminile e le differenze salariali sono macroscopiche, con le donne che guadagnano in media il 12% in meno rispetto agli uomini.

A livello globale la rappresentanza femminile nel settore dell’Intelligenza Artificiale si ferma al 22%

In una cornice di questo tipo, appare evidente come le nuove figure professionali e le competenze digitali richieste dalla diffusione dell’AI, rischino di rappresentare un’opportunità quasi esclusivamente per gli uomini, escludendo ancora una volta le donne da un settore in forte sviluppo. A guardare i numeri più che un rischio sembra si parli di una già amara realtà: a livello globale la rappresentanza femminile nel settore dell’Intelligenza Artificiale si ferma al 22%; questa volta va un po’ meglio l’Italia che raggiunge quota 26%, scarsa consolazione considerando che nella media globale rientrano anche i paesi in via di sviluppo, dove il tasso di partecipazione femminile al mercato del lavoro è in generale basso e che, nel nostro Paese le quote rosa nell’AI diminuiscono drasticamente nei ruoli dirigenziali e di vertice (12,4%).

Gli algoritmi sono spesso influenzati da stereotipi di genere contenuti nei dati su cui si basano

Ma la capacità dell’AI di inasprire i divari di genere, non sembra essere solo una questione di opportunità lavorative e competenze. L’aspetto più allarmante che emerge dal Rapporto OcseThe Effects of AI on the Working Lives of Women” riguarda la natura stessa delle Intelligenze Artificiali, sistemi informatici capaci di apprendere e di ragionare come gli esseri umani che li addestrano e basati su algoritmi che se non corretti possono risultare discriminatori, anche in virtù del fatto che, come abbiamo visto, il più delle volte sono addestrate da uomini. Ne sono un esempio le voci preimpostate femminili di molti assistenti vocali (ad. es. Siri e Alexa), capaci di rafforzare l’idea che siano le donne ad occuparsi della cura della persona, ma ancor peggio alcune distorsioni che si manifestano quando l’AI è utilizzata dalle aziende per le nuove assunzioni. Il rapporto evidenzia come gli algoritmi che guidano la comparsa delle inserzioni per una posizione lavorativa sulle diverse piattaforme on line, siano spesso influenzate da stereotipi di genere contenuti nei dati su cui si basano, facendo sì che determinati annunci compaiano prevalentemente agli uomini pur essendo rivolti ad entrambi i sessi o che, le caratteristiche richieste per una posizione replichino stereotipi preesistenti che scoraggiano le donne alla candidatura. Inoltre, sempre più spesso gli uffici delle risorse umane si avvalgono delle AI per la selezione dei curriculum candidati e, queste ultime, per numerose posizioni tendono ad escludere le donne perpetrando modelli e strutture già esistenti in azienda. Se una posizione lavorativa in un’azienda è stata tradizionalmente ricoperta da uomini, è facile che l’intelligenza artificiale tenda ad escludere candidate di sesso femminile a prescindere dalle competenze possedute. Si tratta di un meccanismo iniquo e spesso non voluto, per il quale molte aziende stanno già cercando di implementare misure correttive, ma che mostra bene come neanche l’Intelligenza Artificiale sia riuscita ad emanciparsi dagli stereotipi di genere contribuendo al contrario alla loro diffusione.

È fondamentale promuovere la diversità e l’inclusione nei dati utilizzati per gli algoritmi di Intelligenza Artificiale

L’Ocse richiama governi, aziende e sviluppatori alla responsabilità. Sottolinea l’importanza di avviare politiche inclusive che sostengano la formazione tecnico-scientifica delle donne fin dalla tenera età e le supportino in tutto l’arco della loro carriera lavorativa. È fondamentale promuovere la diversità e l’inclusione nei dati utilizzati per gli algoritmi di Intelligenza Artificiale, assicurando il coinvolgimento delle donne nel settore per addestrare i sistemi in modo che siano rappresentativi della forza lavoro complessiva. Questo approccio è essenziale per eliminare i meccanismi discriminatori e trasformare la rivoluzione digitale in una reale opportunità per un futuro più equo. Oggi sono ancora incerti gli effetti a lungo termine della diffusione dell’AI sulla vita lavorativa delle donne, quello che appare certo è che, anche laddove la prima preoccupazione è stata che il fattore umano potesse essere sostituito dall’automazione, l’uomo sia riuscito a replicare secoli di pregiudizi e discriminazioni.

[1] https://www.istat.it/it/files/2023/10/Report-livelli-di-istruzione-e-ritorni-occupazionali.pdf
[2] https://www.almalaurea.it/sites/default/files/2024-03/AlmaLaurea_FOCUS-GENDER-GAP-2024.pdf

*Mariarosaria Zamboi, ricercatrice dell’Eurispes.

 

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