Equità di genere e impresa, più donne ma non ai vertici

equità di genere

Equità di genere, a qualche giorno di distanza dalla giornata internazionale della donna facciamo il punto sulla presenza delle donne nel mondo dell’impresa, attraverso una serie di studi dedicati. Tra i vari momenti di riflessione che riguardano la condizione femminile, la violenza di genere è senz’altro un argomento irrinunciabile e rispetto al quale c’è ancora molto da fare. Ma la parità di genere in ambito lavorativo è uno dei tasselli che permetteranno alle donne di essere sempre più indipendenti e di facilitare l’evoluzione della società verso modelli aperti e di chiaro rifiuto dell’ottica patriarcale. Insomma la presenza delle donne nelle imprese è l’altra faccia di una società meno misogina e più femminista.

Equità di genere, più donne nelle imprese ma non al comando

Innanzitutto, parliamo di presenza femminile nell’impresa. I dati sono rassicuranti ma non ancora solidi per quanto riguarda l’occupazione delle donne di posizioni apicali e di comando. È quanto emerge da un recente studio condotto da IBM – Institute for Business Value (IBV) e Chief, dal titolo “Women in leadership: Why perception outpaces the pipeline—and what to do about it” (2023) che ha coinvolto 2.500 aziende di 12 paesi appartenenti a 10 diversi comparti industriali. Il report evidenzia un +12% nella presenza di donne in posizioni C-suite e nei Consigli di Amministrazione e un aumento fino al 40% della rappresentanza femminile tra i professionisti/specialisti junior (+37% nel 2021). Tuttavia, la crisi determinata dalla pandemia ha fatto registrare dei passi indietro nell’occupazione di ruoli chiave: ad oggi abbiamo il 14% di donne nel ruolo di vice presidente senior (erano il 18% nel 2019) e un 16% di vice presidente (19% nel 2019). Inoltre, meno della metà (45%) delle organizzazioni partecipanti riferisce di considerare una priorità di business un numero maggiore di donne nei ruoli di leadership. Insomma, più presenza femminile nelle aziende, ma con meno ruoli di responsabilità e comando rispetto ai livelli pre-pandemia. La pandemia continua, dunque, ad avere un impatto sproporzionato sul lavoro delle donne: gli intervistati la considerano come l’evento più grave che le donne si sono trovate ad affrontare, a riconoscimento dell’immenso e costante impegno assunto.

Il 45% delle imprese considera una priorità di business un numero maggiore di donne nei ruoli di leadership

Lo studio ha inoltre indagato sulla percezione del gender gap nelle aziende: gli intervistati prevedono che il loro settore d’industria vedrà parità di genere nella leadership entro 10 anni o meno, rispetto al 2019, quando le previsioni si attestavano mediamente a 54 anni. Ma la realtà è ben diversa: in base ai dati raccolti dallo studio, la parità di genere è ancora lontana decenni. Barriere strutturali e pregiudizi continuano ad ostacolare l’avanzamento delle donne: alla domanda se le donne con figli a carico si dedicano al lavoro come le donne senza figli, la maggior parte degli intervistati risponde di sì, ma solo il 40% circa dei dirigenti maschi è d’accordo con tale affermazione.

Diversità e inclusione, una priorità per la crescita delle imprese

Crescita e solidità di un’impresa oggi dipendono anche dalla capacità di valorizzare la diversità e di favorire l’inclusione di gruppi storicamente sottorappresentati. È quanto sostiene anche “Future of Work”, uno studio sulla Diversity, Equity & Inclusion nato con lo scopo di evidenziare l’importanza dei singoli individui nel contesto aziendale. La ricerca, curata da Inaz – Osservatorio Imprese Lavoro e Business International – Fiera Milano, ha interpellato circa 100 HR Director di aziende italiane (settembre-ottobre 2022) sui temi della Diversity&Inclusion con la collaborazione dell’Università degli Studi di Roma Tre. Dalla ricerca emerge che le imprese italiane si occupano di D&I principalmente per motivi etici (84% del campione) o di business (50%), ma emerge una percentuale importante alla voce “Engagement, attraction e retention” (64%): sta crescendo nelle aziende l’attenzione alle nuove generazioni, che sono più sensibili alle tematiche D&I. Nelle differenti aree di diversity, emerge che la maggiore attenzione viene posta su disabilità (78% delle risposte) e genere (76%), seguite dalle differenze generazionali (62%) e poi, a maggiore distanza, da orientamento sessuale, origine geografica e religione. Per quanto riguarda i piani messi in atto dalle imprese italiane per favorire D&I – solo il 46% delle imprese intervistate ne ha uno – essi sono rivolti soprattutto alla parità di genere (76%), ma solo il 44% delle aziende intervistate monitora in modo sistematico il gender pay gap e solo il 38% fa effettivamente qualcosa per ridurlo. Per contro, le aziende dichiarano di concentrarsi di più nell’incrementare il numero di donne in ruoli manageriali (il 60% ha azioni in corso in questo senso).

Le imprese al femminile

Se le imprese italiane prendono gradualmente consapevolezza del gender gap e si muovono in direzione della gender equality, un discorso a parte va fatto per le imprese al femminile. Nel 2022 si contano 6.000 imprese femminili in meno rispetto al 2021: un contesto generale ancora complicato dagli effetti della pandemia, dalla guerra e dalla crisi energetica ha sfavorito le donne nei settori tradizionali. Per quanto riguarda i diversi comparti industriali, il settore Commercio (340 mila imprese femminili per il 24% sul totale del settore) ha perso 7.700 imprese femminili; l’agricoltura (più di 200 mila imprese, il 28% del totale) ne ha perse oltre 4mila; le Attività di alloggio e ristorazione (134 mila imprese femminili, il 29% del totale) segnalano 1.200 imprese femminili in meno.

Nel 2022 le imprese femminili in Italia sono il 22% del totale

In compenso, come rileva l’Osservatorio per l’imprenditorialità femminile di Unioncamere e InfoCamere, sono 2.000 in più le imprese femminili nelle attività professionali, quasi 1.500 in più quelle attive nelle Attività immobiliari, circa mille in più nei Servizi di comunicazione e nelle attività finanziarie, 800 in più nel noleggio, agenzie di viaggio e servizi alle imprese. A fine 2022 le imprese femminili registrate in Italia sono il 22% del totale. L’evoluzione delle imprese femminili si concentra nei settori più innovativi e a maggior contenuto di conoscenza. Nelle attività professionali, scientifiche e tecniche, registrano un +5% con un tasso di femminilizzazione vicino al 20%. I Servizi di informazione e comunicazione registrano un tasso di femminilizzazione del 19%; le attività finanziarie ed assicurative del 22%. Le imprese femminili aumentano anche nelle Costruzioni (+1,67%), nelle Attività immobiliari (+2,25%), così come in alcuni settori in cui già la presenza femminile è cospicua: Istruzione (+3,53% e 359 imprese in più), Sanità (+1,66% e 285 imprese in più), attività artistiche, sportive e di intrattenimento (+1,54% e +288), Altre attività dei servizi (+1% e 1.423 imprese in più). Tutelare le imprese al femminile, in questo momento storico, può significare dunque sostegno e crescita di settori innovativi, basati su tecnologie avanzate, ricerca e sviluppo.

Ancora molto da fare per raggiungere l’equità di genere

Le disuguaglianze di genere persistono in tutti i settori della vita sociale ed economica e in tutti i paesi. Secondo l’Ocse, i divari si ampliano con l’età, poiché la maternità in genere ha marcati effetti negativi sui divari retributivi di genere e sull’avanzamento di carriera. Le donne hanno anche meno probabilità di essere imprenditrici e sono sottorappresentate nelle posizioni dirigenziali private e pubbliche. Nel complesso, i progressi verso la parità sono stati lenti e vi è un forte bisogno di ulteriori azioni politiche per colmare i divari di genere nell’istruzione, nell’occupazione, nell’imprenditorialità e nella vita pubblica.

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