La nuova Commissione è al nastro di partenza, anche se dovrà ancora aspettare il via del Parlamento per essere legittimata ad agire dal 1° novembre prossimo. Siamo di fronte a procedure e tempi un po’ lunghi, se li mettiamo a confronto con la velocità di ciò che avviene all’esterno della politica e dei palazzi istituzionali. Abbiamo visto molte facce nuove, delle quali la metà donne, a partire dalla Presidente, che per la prima volta, oltre che donna, è tedesca; poi ne abbiamo molte altre, compresa quella di Gentiloni, che lasciano ben sperare, ma solo se acquisteranno e agiranno con “coraggio”.
Le priorità indicate
Secondo la Presidente Ursula von der Leyen, l’azione della prossima Commissione dovrebbe essere incentrata su tre assi. 1.Cambiamento climatico, con l’ambizione di lavorare al rispetto dell’Accordo di Parigi e di portare l’Unione ad essere il primo “continente” al mondo a dismettere il carbone come fonte energetica (2050), anche se diversi paesi ancora vi si oppongono. 2. Nuove tecnologie, che per l’Unione rappresentano la sfida delle sfide, visto che al momento è il fanalino di coda rispetto agli Usa ed alla Cina, non solo nell’ambito della ricerca, ma per l’assenza dei colossi che tengono in pugno il settore, con gravi conseguenze per la concorrenza, l’economia e, principalmente, per la sicurezza, la riservatezza dei dati sulle persone e la tenuta stessa della democrazia. 3. Stile di vita europeo, collegato alla economia sociale di mercato ed allo stato sociale europeo, alla questione demografica ed all’immigrazione. È importante anche il richiamo del ruolo dell’Unione nell’ambito della politica estera rispetto ai nuovi assetti che si profilano nel mondo (Usa e Cina in particolare) ed al rapporto con l’Africa, quindi, si spera, col Mediterraneo.
La struttura
A parte la novità della parità di genere, molto importante, viene mantenuta la regola, simbolica, di inserire tanti Vice presidenti (8) e tre Vice presidenti esecutivi, che avranno anche il compito di coordinare altri commissari: Frans Timmermans, socialista, per il Piano Verde Europeo; Margrethe Vestager, liberale, per l’Europa Digitale e Valdis Dombrovskis, partito popolare, per una “Economia che funzioni per le persone”. Se guardiamo, per esempio, ai commissari dei grandi paesi, il conto è presto fatto: la Germania ha avuto la presidenza; la Francia, con Sylvie Goulard, una europeista molto convinta ed attiva, il Mercato interno, a cui si somma il Mercato unico digitale, più alcune competenze su difesa e sicurezza; l’Italia, con Paolo Gentiloni, la Politica Economica, uno dei punti cardini, in particolare per l’Eurozona, mentre la Spagna, con Josep Borrel, ha avuto l’Alto Commissario per la Politica Estera e la Sicurezza.
Osservazioni
Al di là dei commenti che si potrebbero fare sulle persone, sui singoli commissari, su ciò che hanno rappresentato o rappresentano, sulla loro statura politica, come sul linguaggio o sulle parole utilizzate dalla Presidente per definire vecchie o nuove politiche, restano aperti alcuni interrogativi di fondo. Ci sono molte perplessità nelle proposte presentate, anche se sono centrali e molto importanti. Ci limitiamo ad elencare solo tre grandi limiti a tutti i buoni propositi ed alle dichiarazioni programmatiche fatte finora: 1) chi paga per le promesse fatte, per realizzare le politiche indicate, vista l’esiguità attuale del bilancio comunitario ed i pochi fondi aggiuntivi a disposizione. Diverse volte, nel passato, la Commissione ha indicato grandi obiettivi strategici, valgano per tutti due soli esempi: il Libro bianco di Delors e la Strategia di Lisbona 2020, che sono rimasti quasi lettera morta, perché sono mancati fondi comuni e/o un relativo piano di investimenti per realizzarli. Lo stesso accadrà per il “Piano verde europeo” e per le “Nuove Tecnologie”, della nuova Presidente Ursula se non si realizzerà il completamento delle riforme dell’Eurozona, come il Mercato Unico dei Capitali, senza trascurare il passaggio del Patto di stabilità ad un Patto per la crescita e un grande piano comune di investimenti pubblici e privati. È arrivato il momento di passare da una politica rigorista ad una politica espansiva, come continua a ripetere, purtroppo inutilmente, Mario Draghi. Lo ha fatto anche in questi giorni, rilanciando l’acquisto dei titoli pubblici, 20 miliardi al mese, senza porre una scadenza. Ma questo non basterà se i governi non decideranno di far cambiare rotta alla politica economica dell’Eurozona ed a quella dei singoli paesi, a partire da quelli con un deficit vicino allo zero (Germania, Olanda…) Altri, anche se volessero, non potrebbero agire da soli, come viene loro richiesto, per le ristrettezze di bilancio, in cui sono ingabbiati, senza che ciò significhi dover ricorrere all’accumulo di nuovo debito. Con le attuali regole, se lo facessero, verrebbero bloccati o puniti dalla Commissione, preposta al controllo del rispetto delle norme comunitarie. È quello che ha fatto capire anche la nuova Presidente, tacendo, invece, sulla necessità di cambiare regole e strategia. Altro limite: 2) le disuguaglianze e il lavoro, divenuti entrambi più gravi e precari con la crisi, insieme alle relative misure di politica sociale. Sono questioni solo evocate, ma non affrontate con concretezza. Mancano proposte risolutive, perché non viene detto praticamente nulla, come dicevamo, sulla necessità di cambiare i paradigmi economici dell’Eurozona per favorire la crescita, l’occupazione ed uno sviluppo sostenibile per superare la stagnazione attuale dell’Unione. Infine, l’altro limite è ancora più pesante: 3) la mancanza di visione e il ruolo della Commissione, il ruolo di proposta di cui la Commissione dovrebbe riappropriarsi, dato che lo ha abbandonato negli ultimi anni, ma che resta indispensabile per rimettere in moto un processo riformatore insieme al Consiglio ed al Parlamento. Perciò, se il quadro programmatico già delineato resterà tale, rischia di lasciare l’Unione come prima, cioè sostanzialmente immobile. Non basta esprimere soddisfazione ed accontentarsi dello scampato pericolo sovranista alle ultime elezioni, consolidato sia dal recente cambio di governo in Italia, sia da quanto sta avvenendo in Gran Bretagna con la Brexit e sia per la caduta di Bannon, negli Usa, teorico del sovranismo e della caduta dell’Europa. Perché l’Europa, alla fine, cadrà da sola, se rimarrà immobile a difesa del suo “fortino” economico, per giunta vacillante, senza una prospettiva e senza un passaggio dalla ragioneria alla politica. Una condizione assolutamente da superare, ma per riuscirci occorrono visione, volontà ed impegno che dalla nuova Commissione ancora non traspaiono, se non sotto forma di alcuni balbettii retorici.