Minibot, l’Italia gioca a poker. Ecco la verità nascosta

L’economia è fatta di questioni semplici e concetti complessi.
Sorprenderà ma le prime sono molto più numerose dei secondi. Per esempio: se una bicicletta alfa costa 500 euro e una beta ne costa 3.000, il numero di persone che acquisterà la prima sarà probabilmente molto superiore. Questa è la legge della domanda, una “legge” economica che, come molte “leggi” economiche, fotografa una realtà di fatto: dato un prodotto (la bicicletta), la sua domanda è legata inversamente al prezzo. Difficile? No.
La moneta, invece, sì: è una cosa complicata assai. Questo rende difficile a molti di noi comprendere il dibattito sui minibot: sono una grande idea, una follia assoluta o, addirittura, una cosa inutile? Oppure, sono un’altra cosa rispetto a ciò che appare?

Mario Draghi, che appartiene al club di quelli che di moneta ne capiscono, è stato tranchant: i minibot, o sono una nuova moneta o una nuova forma di debito. Se sono la prima, siamo fuori dalla legge; se sono la seconda, non pare esattamente una buona idea per un Paese come il nostro, che di debito ne ha già un bel po’. Punto. Che possano essere un debito, del resto, lo dice il nome stesso: BOT sta per Buoni Ordinari del Tesoro, che sono uno dei titoli con i quali lo Stato chiede soldi in prestito – ossia contrae un debito. La cosa curiosa dei minibot, semmai, è che se ne conosce il valore di emissione ma non l’interesse.

Come capire, invece, se sono moneta? Risposta: osservando che cosa sia una moneta. Una moneta è prima di tutto un bene, come lo è, per dire, lo smartphone sul quale state probabilmente leggendo questo articolo.
Ma che cosa distingue la moneta da un iPhone? Due cose. Primo: la sua natura istituzionale. La moneta è un fatto politico: c’è un potere che assume il diritto esclusivo di realizzarla e che, contemporaneamente, ne garantisce il valore. A quella garanzia tutti prestiamo fede. Secondo: la sua capacità di esprimere valore, accettiamo la moneta come pagamento del nostro lavoro e ne cediamo un po’ per prenderci un caffè; amiamo accumularne un po’ e, più vediamo il mucchio crescere, più ci sentiamo ricchi.

La moneta, oltretutto, consente di misurare con un unico metro cose diverse – 1.200 euro possono misurare il valore di trenta giorni di lavoro di una persona e quello di uno smartphone. La moneta, infine, consente il credito, ovvero una scommessa sul futuro: nel caso del debito pubblico ne cedo un po’ oggi allo Stato, confidando di riceverla indietro, domani, con un certo incremento.

Ciascuno di noi, ora, è in grado di capire se i minibot siano del nuovo debito o della nuova moneta. Accettereste uno stipendio in minibot? Credete che qualche barista accetterebbe di farvi un caffè in cambio di minibot? Se la risposta è no, state pensando che i minibot siano una nuova, ulteriore forma di debito, che lo Stato contrarrebbe con i propri cittadini. Se la risposta è sì, state pensando che i minibot siano una moneta nazionale che si aggiunge all’euro, moneta internazionale – ma che all’estero nessuno accetterà.

La sensazione è che di minibot smetteremo presto di sentir parlare, accantonati in quel simpatico ripostiglio di “perle” assolute della politica contemporanea, come le pecore che ripuliscono i giardini pubblici romani, o gli attempati comici del passato nominati all’Unesco. Ma c’è un però.

Il però ha forma di domanda: perché mai gli estensori di questa proposta, che tutto sono fuorché degli sprovveduti, si sono lanciati in una mossa (apparentemente) suicida e autolesionista? Perché provocare la Bce? Perché spaventare i (famigerati) mercati, con il rischio (rischio?) di un immediato rialzo dello spread? Perché sbandierare ai quattro venti l’intenzione di fare una cosa evidentemente fuori dalle possibilità?

Immaginiamoci una scena da film western: un tavolo da poker – quello della trattativa fra Italia e Commissione Ue sulla procedura d’infrazione. Due giocatori: uno, l’Europa, fa la voce grossa, forte di un bel mucchietto di fiches davanti a sé ma sa che siede su una sedia con le gambe fragili, rosicchiate dai tarli. L’altro, l’Italia, ritiene di avere poco o nulla da perdere e perciò conduce la partita sul filo del rasoio, fra bluff e voce ancora più grossa dell’altro.
Poco prima di fare il suo rilancio, l’Italia, appoggia sul tavolo un revolver carico, guardando fisso il rivale negli occhi.

Ecco la risposta: i minibot non verranno mai realizzati; nessuno, nemmeno quelli del Governo, ci hanno mai veramente creduto. Ma sono un messaggio, forte, chiaro, diretto.
Eccolo qua: cara Commissione, guarda che se perseveri nel negarci il tuo aiuto, noi siamo pronti a squassare l’euro, fino probabilmente a farlo morire – e allora sono dolori per tutti. Possiamo iniziare domattina a sfilare via un mattone dall’edificio (i minibot) e poi un altro ancora (sforare ulteriormente il tetto) e poi ancora e ancora, fino a che decideremo di smontarne un pilastro portante, uscendone fuori. E allora piangerete tutti.

Ecco allora che cosa sono i minibot: un avvertimento.
Lo capiranno, lassù in Belgio?

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