Mentre si affrontava il lockdown di marzo al grido di #iorestoacasa, ci si è resi conto che non tutti potevano fare affidamento su quel diritto elementare. La necessità di circoscrivere la propria vita tra le quattro mura domestiche per isolare il contagio ha messo in luce la drammatica realtà delle tantissime persone che non potevano – e non possono – trovare rifugio restando a casa perché vivono in strada. L’eco di questa emergenza sociale è arrivata fino ai vertici Ue: è di martedì scorso l’approvazione, da parte del Parlamento europeo, di una serie di linee guida per porre fine al fenomeno dei senzatetto entro il 2030. La risoluzione non legislativa prende in seria considerazione la condizione di vita di 700 mila persone in Europa, che vivono in strada e ogni notte sono costrette a cercare ricoveri di fortuna, sui marciapiedi o nelle stazioni, e che oggi possono contare su una disponibilità ridotta nei centri di accoglienza, a causa del distanziamento reso necessario dalle misure sanitarie in atto.
La risoluzione del Parlamento europeo sostiene il principio di “housing first”
La casa come diritto umano fondamentale: nelle linee guida del Pe c’è innanzitutto la volontà di non affidarsi solo al pur necessario sistema di assistenza ai senza fissa dimora, bensì di convergere verso soluzioni durature, come può esserlo solo il diritto alla casa garantito. L’edilizia abitativa e l’imprenditoria sociale sono le principali forme di inclusione suggerite dalla risoluzione, insieme all’invito a depenalizzare il fenomeno, che di fatto converte in reato una condizione di disagio.
La premessa è innanzitutto la presa in carico a livello politico e istituzionale del problema, ad oggi troppo spesso lasciato ai margini e affidato alla gestione di organizzazioni benefiche, volontariato e Ong. Ciò significherebbe sostenere le strutture assistenziali, garantire i diritti basilari alle persone senza fissa dimora (primo tra tutti il diritto alla salute), e soprattutto operare sulle cause per prevenire il fenomeno: quante persone per la crisi causata dal Covid-19 hanno perso o perderanno la casa? Intervenire in maniera preventiva sulle situazioni di fragilità può scongiurare il rischio di finire in strada per una categoria di persone a rischio. Come soluzione temporanea, invece, è fondamentale fornire un accesso costante ai rifugi d’emergenza, cosa resa ancora più complicata dalla pandemia. La Ue si propone di sostenere e incentivare iniziative di inclusione, prevenzione e monitoraggio, di fare da cabina di regia, ma è responsabilità del singolo stato membro la volontà politica di mettere in atto i punti della risoluzione.
In Italia si contano più di 50mila senzatetto
In Italia, all’inizio del 2020, si contavano circa 50mila senzatetto, ma trattandosi della forma più estrema di esclusione sociale anche i dati sono incompleti e difficili da aggiornare. Le città fanno da sfondo a una condizione di grave precarietà che oggi è complicata dai coprifuoco e dalle chiusure che contribuiscono all’isolamento e all’abbandono di chi vive per strada. Anche l’assistenza sanitaria è un miraggio per chi, di norma, è escluso da ogni forma di servizio sociale.
Luigi Agarossi, coordinatore dei City Angels di Milano – un’associazione di volontariato di strada attiva dal 1994 che interviene su varie forme di marginalità sociale – ha accettato di rispondere ad alcune domande, allo scopo di definire meglio la situazione italiana, tra l’emergere di nuove forme di povertà e l’insufficienza dei fondi stanziati per arginare il fenomeno.
In Europa, negli ultimi 10 anni, il numero delle persone che vivono per strada è aumentato del 70%. Avete riscontrato incrementi significativi nel numero di persone assistite nell’ultimo anno di attività?
L’entità dell’incremento per le persone che vivono per strada è stata alquanto contenuta.
A livello di assistenza, invece, un significativo incremento è stato riscontrato nei confronti delle persone singole o famiglie che vivono negli stabili dei contesti periferici del tessuto urbano. Qui la percezione dell’aumento della povertà è stata inequivocabile.
Quanto ha pesato l’emergenza sanitaria per chi era già da prima escluso dall’assistenza sanitaria di base?
Questo è difficile da quantificare ma di sicuro per quelli già esclusi dall’assistenza sanitaria, l’emergenza covid-19 non ha influito più di tanto sulla loro situazione generale.
La risoluzione del Parlamento europeo auspica una responsabilità politica dei governi per mettere fine al fenomeno entro il 2030. Nel documento viene messo in primo piano il diritto alla casa e la prevenzione per le categorie a rischio, oltre a una rete di sostegno più solida e strutturata per i senzatetto. Attualmente, qual è il ruolo delle istituzioni in questa lotta contro povertà ed esclusione sociale?
Ci sono iniziative concrete e investimenti anche europei per il terzo settore che fanno capo a progetti operativi basati sui Fondi di Aiuti Europei agli Indigenti o FEAD (Fund for European Aid to the most Deprived). Gestori di questi progetti in genere sono enti locali quali i comuni che operano tramite i loro assessorati per le politiche sociali.
I fondi, tuttavia, sono insufficienti alle esigenze per cui l’asimmetria fra domanda e offerta di servizi permane nonostante si cerchi di colmare il gap facendo uso della collaborazione con le associazioni di volontariato.
I vari enti locali pubblicano infatti, periodicamente, gare per l’affidamento di attività del terzo settore alle associazioni creando in tal modo una sinergica rete di collaborazione.
Milano, ad esempio, conta sulla collaborazione di circa 15 associazioni di volontariato per la gestione del periodo di emergenza freddo.
Dal 1994 operate in tutta Italia, da Milano a Palermo, in contesti urbani differenti tra loro; dove avete riscontrato le situazioni di maggiore criticità?
Le diverse criticità non dipendono in generale dai diversi contesti urbani quanto invece dalla concentrazione e dal carattere dei richiedenti aiuto. La diversa etnia e le diverse culture sono aspetti fondamentali nel determinare la bontà o la criticità dei rapporti.
Su questo influisce anche la tipologia dei richiedenti aiuto se, cioè, si tratta di italiani, stranieri, rifugiati politici o migranti per ragioni economiche. Pazienza e rispetto risultano essere, comunque, due imprescindibili presupposti per evitare conflitti e instaurare rapporti costruttivi.