Nel dibattito accademico e non solo, le rimesse economiche degli immigrati impiegati in Italia verso le famiglie ancora residenti nei loro paesi di origine vengono spesso sottovalutate. In genere, vengono infatti banalizzate da letture strettamente economiciste, ossia legate al solo dato quantitativo, oppure a quello statistico secondo approcci comparativi rispetto ai medesimi flussi sviluppati nei semestri o anni precedenti. In realtà, il fenomeno delle rimesse economiche dei migranti andrebbe analizzato anche sotto il profilo sociologico. Quel denaro, infatti, deriva da esperienze di lavoro sviluppato in Italia che meriterebbero un approfondimento specifico e soprattutto sono finalizzate non all’accumulo o alla sola sopravvivenza dei destinatari ma, sempre più spesso, alla realizzazione, sia pure in prospettiva, di un progetto di vita famigliare concordato che spesso ha ispirato la stessa migrazione e che può prevedere nel giro di alcuni anni il ritorno del migrante lavoratore nel suo contesto originario o il ricongiungimento famigliare in Italia da parte dell’intero nucleo.
Il denaro inviato all’estero incide sulla vita di migliaia di persone e in alcuni casi anche sugli equilibri economici dei paesi riceventi
La dimensione di questa relazione, apparentemente solo economica, è evidentemente transnazionale e soprattutto carica di significato qualitativo, incidente sulla vita di migliaia di persone e in alcuni casi anche sugli equilibri economici dei paesi riceventi tale flusso di denaro. In alcuni paesi a basso e medio reddito e a forte emigrazione, ad esempio, i fondi inviati dai migranti ai loro familiari superano il valore combinato dell’aiuto pubblico allo sviluppo (APS) e degli investimenti diretti esteri. Questi flussi di denaro, inoltre, insieme agli aiuti internazionali, svolgono un ruolo fondamentale nel raggiungimento degli obiettivi previsti dall’Agenda Onu del 2030 e, in particolare, dall’obiettivo Numero 10 che prevede la riduzione delle disuguaglianze all’interno dei e fra i paesi, anche attraverso il sostegno alla crescita del reddito della popolazione più svantaggiata. È per questa ragione che l’Onu riconosce il valore delle rimesse, e mira a proteggerlo anche attraverso la sollecitazione, rivolta ai paesi di partenza di tale flusso di denaro, a ridurre i costi per il suo trasferimento a meno del 3% dell’importo versato entro il 2030.
Nel 2023 sono stati inviati dall’Italia 8,2 miliardi di euro di rimesse economiche verso molti paesi stranieri
Per questa ragione, a fronte di alcuni dati statistici ufficiali e facendo seguito al lavoro svolto dalla fondazione Leone Moressa, è possibile sviluppare, sia pure in sintesi, una riflessione utile a comprendere meglio la complessità delle rimesse economiche e la loro funzione. Ad esempio, secondo i dati forniti dalla Banca d’Italia, nel 2023 sono stati inviati dall’Italia 8,2 miliardi di euro di rimesse economiche verso molti paesi stranieri, in lieve diminuzione rispetto al 2021 e 2022. Considerando però le rimesse “invisibili” (come i contanti consegnati a mano, invio di regali, ricariche telefoniche, invio di gioielli oppure oggetti di valore non dichiarati), il volume complessivo delle rimesse potrebbe oscillare tra 9,4 e 11,9 miliardi. Si tratta di una cifra che, si badi bene, non può essere considerata un’emorragia di denaro nazionale verso l’estero ma l’espressione di un diritto pieno in capo alle persone, che è quello di disporre del denaro frutto del proprio lavoro nelle forme e secondo le modalità a loro più congeniali. D’altro canto, un lavoratore partecipa allo sviluppo della ricchezza del paese in cui lavora e risiede a partire dallo svolgimento dell’attività lavorativa, specie se mediante il rigoroso rispetto del relativo contratto di lavoro, con il pagamento del relativo carico fiscale, che diventa contributo fondamentale al benessere economico e sociale dello stesso, e mediante i modelli di investimento e consumo che sviluppa all’interno del suo nuovo contesto sociale.
Tra i principali paesi di destinazione delle rimesse ci sono Bangladesh, Pakistan e Filippine
Tra i paesi di destinazione di tali rimesse, il Bangladesh si conferma la prima destinazione al mondo con 1,2 miliardi di euro inviati, pari al 14,3% del totale. Seguono Pakistan e Filippine. I paesi asiatici dunque guidano indisturbati questa classifica, forse in ragione della natura prettamente familiare ed economica di quella emigrazione. Nell’ultimo anno sono in calo quasi tutti i principali paesi, ad eccezione di Georgia, India, Sri Lanka, Perù e Tunisia. Negli ultimi dieci anni sono aumentati i flussi verso tutti i principali paesi, fatta eccezione per Romania (-56,1%) e Brasile (-25,2%). Dati che restituiscono una fotografia politica delle migrazioni e del legame che intercorre tra i migranti e i loro paesi di origine. Confrontando la distribuzione delle rimesse nel 2023 con quella di dieci anni prima, emerge un profondo cambiamento. Nel 2013, infatti, quasi un quinto delle rimesse si concentrava verso un solo paese, ossia la Cina.Nel 2023, invece, si ha una maggiore distribuzione e nessun paese raggiunge da solo il 15%. A questo riguardo, la Cina è sostanzialmente scomparsa dai flussi principali (appena 9 milioni nel 2023) e anche la Romania ha subìto un calo significativo, essendo oggi solo il sesto paese di destinazione. Su questa “rivoluzione delle rimesse” bisognerebbe indagare con attenzione e comprendere perché questo cambiamento radicale e se le relative rimesse cinesi sono rimaste in Italia a fronte della trasformazione del progetto migratorio dei cinesi e in parte dei romeni, virato ad esempio verso la loro permanenza definitiva in Italia, o se invece tale denaro ha preso altri percorsi, ad esempio clandestini o verso altre destinazioni.
Le rimesse “invisibili” meriterebbero un approfondimento da parte delle autorità investigative
La disomogeneità dei flussi per nazionalità emerge chiaramente confrontando i valori pro capite, ovvero il rapporto tra rimesse e popolazione residente per ogni paese d’origine. Al 1° gennaio 2023 la popolazione immigrata residente in Italia ammontava a circa 5,1 milioni di persone e il valore pro capite delle rimesse era di circa 133 euro mensili. Osservando le prime 20 comunità straniere presenti in Italia, i valori massimi si registrano tra i cittadini del Bangladesh (558 euro medi pro capite), seguono Pakistan e Filippine con valori superiori a 300 euro mensili pro capite, probabilmente anche in ragione di attività economiche generalmente dedicate al commercio al minuto e dunque meno sviluppate in segmenti del mercato dove lo sfruttamento o il lavoro nero è sistemico, come in agricoltura, in edilizia o nei servizi alla persona. Nettamente sotto la media, invece, i paesi del Nord Africa (Marocco, Tunisia, Egitto) e quelli dell’Est Europa (Moldavia, Ucraina, Romania), dove probabilmente l’incidenza delle cosiddette rimesse “invisibili” risulta maggiore. Infine, il valore della Cina, rapportato alla popolazione cinese residente in Italia, evidenzia il paradosso di appena 3 euro mensili inviati mediamente. Una quantità di denaro risibile che richiederebbe un approfondimento anche da parte delle autorità nazionali e internazionali investigative. Sul piano territoriale, oltre un quinto delle rimesse parte dalla Lombardia (1,8 miliardi), mentre la seconda regione è il Lazio, con 1,2 miliardi e la terza invece l’Emilia-Romagna, con quasi 850 milioni inviati nel 2023. A livello di singole province, Roma supera il miliardo di euro inviato nel 2023, segue Milano, con 928 milioni. Quasi un quarto di tutte le rimesse italiane parte da queste due città. Dopo la città meneghina si trovano Napoli e Torino, rispettivamente con 365 e 272 milioni di euro.
Quasi un quarto di tutte le rimesse italiane parte da Roma e Milano
Resta ben inteso che tale denaro è utile nella doppia veste di liquidità fondamentale per gli equilibri economici del paese ricevente, come è evidente nel caso del Bangladesh, e per le famiglie destinatarie dello stesso, le quali possono contare in tal modo su entrate economiche mensili al fine di migliorare la propria condizione sociale, consolidare il relativo status e realizzare più agevolmente il proprio progetto di vita. Nel contempo, è utile ricordarlo, questo processo di crescita sociale funge anche da modello replicante per quelle famiglie che non hanno ancora propri membri all’estero e che avvertono un evidente decadimento della propria condizione sociale ed economica se confrontata con il proprio vicinato, agevolando o rafforzando la spinta all’emigrazione. Si tratta di una sensazione di povertà economica e sociale relativa derivante da un improprio confronto della famiglia senza emigranti con la disponibilità economica e il ruolo sociale di quelle che invece ricevono tale denaro e che, in questo modo, sviluppano risorse e funzioni socialmente primarie all’interno del medesimo contesto urbano o rurale. Queste ultime, infatti, soprattutto nei paesi asiatici, tendono nella loro realtà sociale a sviluppare ruoli apicali o comunque di riferimento, determinando per le altre famiglie condizioni di marginalità a volte anche molto gravi.
Le rimesse potrebbero convergere in progetti sociali e ambientali volti a superare le condizioni di povertà, emarginazione, instabilità ambientale
Per questa ragione, anche il decisore politico, sia nazionale che europeo, dovrebbe ben riflettere sul ruolo giocato dalle rimesse, e promuovere ad esempio mediante adeguate campagne informative nei paesi di origine programmi di investimento finalizzati, magari mediante ausilio delle Nazioni Unite, a consolidare il patto sociale vigente, le relazioni sociali nelle realtà investite dall’emigrazione, soprattutto nelle aree rurali e nelle grandi città, perché possano diventare anche progetti sociali e ambientali volti a superare le condizioni di povertà relativa, emarginazione, instabilità ambientale, così da contribuire al superamento di alcune delle ragioni che spingono milioni di persone ad emigrare per raggiungere l’Occidente. Questa strategia internazionale agevolerebbe una gestione più razionale e accorta dei flussi migratori, consentirebbe un concreto ausilio allo sviluppo nei contesti di origine dei flussi migratori ed eviterebbe pericolosi viaggi della speranza a migliaia di persone ‒ spesso gestiti da trafficanti di esseri umani ‒ e tragedie come quelle che quotidianamente si leggono sui media nazionali e internazionali.
*Marco Omizzolo, sociologo, docente, ricercatore dell’Eurispes.