La salute mentale rappresenta ancora un tabù in ambito sanitario e finanche nella narrazione individuale, sebbene i dati sulla salute mentale in Italia parlino chiaramente. Il monitoraggio Aifa (Agenzia italiana del farmaco) sull’acquisto di farmaci in Italia in corrispondenza con l’emergenza sanitaria registra un notevole aumento rispetto al 2019 nel consumo di ansiolitici. È stato anche rilevato, a marzo 2020, un incremento del consumo di antipsicotici. Iqvia (provider globale di informazioni sanitarie) segnala, tra gennaio e settembre 2020, un aumento del 2,5% nel consumo di farmaci antidepressivi e del 24% per i farmaci per insonnia ed ansia (nei due canali di vendita, ospedaliero e in farmacia) rispetto allo stesso periodo del 2019. Il 20% della popolazione avrebbe sperimentato sintomi depressivi nel corso della pandemia (un’incidenza doppia rispetto al periodo precedente) e sarebbero aumentati ansia e disturbi del sonno.
Il 20% della popolazione ha sperimentato sintomi depressivi nel corso della pandemia
Anche prima della pandemia i disturbi legati all’umore, l’ansia, la depressione rappresentavano un fenomeno piuttosto diffuso nella popolazione italiana. Secondo l’Oms, sono 3 milioni gli italiani colpiti da depressione, per 1 milione dei quali si tratta di depressione maggiore.
Il Rapporto sulla Salute Mentale, a cura del Ministero della Salute, pubblicato il 30 luglio 2020 (con dati aggiornati al 2018) indica che gli utenti psichiatrici assistiti dai servizi specialistici ammontano a 837.027 unità, con una più alta concentrazione nella classe d’età dai 45 ai 54 anni. I disturbi schizofrenici, i disturbi di personalità, i disturbi da abuso di sostanze e quelli legati al ritardo mentale hanno maggiore incidenza negli uomini, mentre i disturbi affettivi, nevrotici e depressivi nelle donne. Il numero di accessi al pronto soccorso collegati a patologie psichiatriche ammonta a 617.326, pari al 3% del totale degli accessi a livello nazionale. Il costo medio annuo per residente dell’assistenza psichiatrica è pari a 78,1 euro. Il personale attivo nelle unità operative psichiatriche pubbliche è pari a 26.216 unità, il 18,9% delle quali è rappresentato da medici (psichiatri e con altra specializzazione), il 6,3% da psicologi, il 45,1% da personale infermieristico.
In Italia si consumano circa 12 milioni di confezioni di antipsicotici l’anno
Il Rapporto Osmed (Aifa) conferma che in Italia si consumano circa 12 milioni di confezioni di antipsicotici l’anno. Se si considera che dei 49 milioni di confezioni di psicofarmaci venduti in Italia – dei quali 36,5 milioni di antidepressivi e 12 milioni di antipsicotici –, le confezioni di antidepressivi venduti in farmacia superano i 36 milioni, mentre 565.000 sono quelle fornite in distribuzione diretta (tramite i servizi di salute mentale o gli ospedali), appare evidente il rischio di inappropriatezza prescrittiva. Come segnalato dalla Società Italiana di Psichiatria, qualsiasi medico, non specialista in materia, può rilasciare la ricetta per l’acquisto in farmacia di questi psicofarmaci; come ulteriore conseguenza, sfuggono i riscontri sulla durata e sugli effetti della terapia.
Tra le categorie più esposte anche medici e infermieri in prima linea contro la pandemia
Tra le categorie più esposte ad effetti psicologici deleteri vanno annoverati anche medici ed infermieri che per mesi sono stati in prima linea contro la pandemia, costantemente sotto pressione, le vittime di maltrattamenti domestici nei mesi del lockdown e tutti coloro che in questo periodo hanno sviluppato dipendenze.
L’indagine dell’Eurispes: il consumo di psicofarmaci
Con l’obiettivo di comprendere la diffusione e le caratteristiche del disagio psicologico nella popolazione italiana, l’Eurispes ha indagato sul consumo di psicofarmaci da parte dei cittadini ed il ricorso al sostegno psicologico e psichiatrico. Quasi un intervistato su 5 (19%) ha assunto nell’ultimo anno farmaci come ansiolitici, antidepressivi, stabilizzatori dell’umore, antipsicotici, cioè i principali tipi di psicofarmaci. Una percentuale rilevante se si considera che le risposte si riferiscono solo agli ultimi 12 mesi.
Salute mentale, 1 italiano su 5 assume psicofarmaci
Il consumo di psicofarmaci risulta più diffuso della media tra le persone più mature (22,5% dai 65 anni in su), meno tra i giovanissimi (10,1% dai 18 ai 24 anni); la quota è del 16,7% dai 25 ai 34 anni, del 17,9% dai 35 ai 44 anni, del 19,5% dai 45 ai 64. Tra le donne risulta più alta che tra gli uomini la percentuale di chi ha assunto psicofarmaci nel corso dell’ultimo anno: 21,2% contro 16,7%. Una maggiore incidenza del consumo di psicofarmaci è stata rilevata tra i cassintegrati (27,2%) e i pensionati (23,7%).
Ansiolitici e tranquillanti sono gli psicofarmaci più diffusi
Nell’ultimo anno il 72,9% di chi ha consumato almeno un tipo di psicofarmaco ne ha fatto uso sempre nell’8,5% dei casi, spesso nel 19,4%, qualche volta nel 45% e mai nel 27,1% dei casi. Seguono, per utilizzo all’interno del campione, gli antidepressivi: se il 54% del sottocampione non li ha mai assunti durante l’anno, il 5,6% lo ha fatto sempre, il 12,3% spesso, il 28,1% qualche volta. Per quanto riguarda gli stabilizzatori dell’umore, il 62,7% non li ha utilizzati, il 4,3% sempre, il 12% spesso, il 21% qualche volta. Meno diffuso il consumo di antipsicotici: dell’11% del sottocampione che dichiara di averli consumati, il 2% lo ha fatto sempre, il 4,1% spesso il 4,9% qualche volta.
Occuparsi di salute mentale: terapia psicologica e psichiatrica
L’Ordine degli Psicologi italiano conta 109.524 iscritti (dati 2018), di cui 55.499 psicoterapeuti (quasi 1 ogni 1.000 abitanti). Le regioni con il maggior numero di iscritti sono Lazio (19.786) e Lombardia (18.841). Il numero degli iscritti è in costante crescita: erano 104.798 nel 2017, 78.025 nel 2010, 35.163 nel 2000. Si contano in media 5.000 nuove iscrizioni ogni anno. Gli psicologi attivi sono oltre 51.000. Gli istituti di psicoterapia abilitati dal Miur sono 389. Il fatturato globale del settore è oggi stimato intorno ad un miliardo di euro (si è decuplicato in circa un ventennio), ma il sistema sanitario nazionale continua ad investire poco nell’assistenza psicologica (Centro documentazione dell’Eurispes, 2020).
Nelle Asl la presenza degli psicologi rimane insufficiente
La psicoterapia rientra nei Lea, ma nelle Asl la presenza degli psicologi rimane insufficiente e mal organizzata. Ancor più grave è la quasi totale assenza di queste figure in molti servizi sociali, strutture scolastiche, strutture ospedaliere. A fronte dell’arretramento degli investimenti del Ssn, anche in questo settore, i tanti cittadini che si trovano a necessitare di assistenza e supporto psicologico devono, nella maggioranza dei casi, rivolgersi a privati, sempre che possano sostenerne la spesa.
Più di 1 italiano su 4 si è rivolto a uno psicologo, più del 5% a uno psichiatra
Stando ai dati raccolti nell’indagine Eurispes, è rilevante la quota di chi si è rivolto ad uno psicologo: più di un quarto del campione (27,2%). L’8,7% ha seguito sedute psicologiche online, pratica sempre più sperimentata grazie alla diffusione capillare delle nuove tecnologie. Nell’ultimo anno le sedute online non sono state soltanto un mezzo per ridurre tempi e distanze, ma anche una necessità in tempo di pandemia, per evitare contatti e rischi. Il 5,6% dei pazienti ha seguito la terapia di gruppo.
Ad uno psichiatra si è rivolto il 5,6% degli intervistati, in un percorso che solitamente si avvale anche di una terapia farmacologica di supporto. La pratica meno diffusa, e probabilmente anche quella meno unanimemente riconosciuta valida, è l’ipnosi, sperimentata nel 3,5% dei casi. Tra le donne è maggiore l’incidenza di chi si è rivolto all’assistenza psicologica. Quasi un terzo ha seguito sedute da uno psicologo (30,1%), a fronte del 24,3% degli uomini. Il 10,2% sedute psicologiche online (tra gli uomini il 7,1%) ed il 6,4% terapia psicologica di gruppo (4,7% degli uomini).
La salute mentale è ancora un tabù: al Sud solo il 16% si rivolge a uno specialista
Le esperienze riferite dal campione risultano non omogenee sul territorio nazionale. Il Nord-Est si segnala per la più alta percentuale di quanti si sono rivolti ad uno psicologo (35,4%), il Sud, al contrario, per la percentuale più bassa (15,8%). È possibile che su questi valori abbiano influito anche stereotipi ancora non debellati che in parte delegittimano la terapia psicologica o scoraggiano molti individui dal farvi ricorso come se si trattasse di un segno di debolezza o, addirittura, devianza.