Si sbloccano i primi progetti infrastrutturali al Sud. Manca però una visione strategica

La notizia è di quelle che lasciano il segno, perché rappresenta un’inversione di tendenza sul fronte delle infrastrutture nel nostro Paese, da sempre ritenuto colpevole di un ritardo infrastrutturale nel suo complesso e in alcune Regioni in particolare.

Sbloccare le opere pubbliche

La nomina di 29 Commissari straordinari per sbloccare 57 opere pubbliche per un costo stimato di 83 miliardi di euro è cosa epocale per l’Italia, nella forma e nella sostanza. L’articolo 9 del decreto legge 16 luglio 2020, n.76 prevede disposizioni finalizzate alla revisione, all’ampliamento e alla proroga dei Commissari in relazione al decreto “sblocca cantieri” (32/2019). I criteri per l’individuazione delle opere riguardano l’elevato grado di complessità progettuale, la particolare difficoltà esecutiva o attuativa, la complessità delle procedure tecnico-amministrative, il rilevante impatto sul tessuto socio-economico. Ma vediamo qual è, nel dettaglio, la tipologia delle opere che verranno realizzate: 16 infrastrutture ferroviarie; 14 stradali; 12 presidî di pubblica sicurezza; 11 infrastrutture idriche; 3 infrastrutture portuali; una per il trasporto rapido di massa. Il 44% di questi investimenti è destinato al Sud. È un ottimo segnale, ma viene da chiedersi se esista o meno una visione strategica di sviluppo del Sud che richieda una tipologia precisa di infrastrutture piuttosto che altre, in particolar modo quelle che garantiscono i collegamenti.

Il tema delle infrastutture al centro dell’agenda politica

È comunque un bene che sia iniziata la partita delle infrastrutture e, in tal senso, il piano generale dei progetti da inserire nel Recovery Plan è tutto da scrivere. Ci si aspetterebbe, in tal senso, una presa di posizione netta del Governo Draghi su alcuni dossier che non possono essere tralasciati e che al tema infrastrutturale sono legati non fosse altro che per il fatto che la questione meridionale è anche, e soprattutto, carenza di strade, autostrade, di un sistema ferroviario e portuale adeguati; precondizioni, queste, per uscire dall’isolamento e da una marginalità sociale ed economico-politica.

Alla presenza adeguata di infrastrutture e servizi in tutti i territori che compongono un Paese – e il discorso vale anche in chiave europea con Regioni più dotate di altre – si richiama una valenza sociale dovuta al fatto che in realtà locali più attrezzate esistono maggiori opportunità di crescita, di partnership, di relazioni e di sinergie, di occupazione, di benessere.

L’Unità del Paese passa attraverso i trasporti e i collegamenti

Sono varie le considerazioni che riguardano la realizzazione di opere infrastrutturali nel Mezzogiorno, ma quella più cogente riguarda il futuro a medio e lungo termine di un’estesa porzione di territorio che ha vocazioni, specificità e caratteristiche diverse, e rispetto alle quali si devono pianificare non solo risorse economiche e umane adeguate, ma anche un’idea generale, un disegno complessivo. Non è peraltro meno importante l’esigenza di garantire un’unità e un collegamento intermodale di trasporti tra il Sud e il Nord del Paese, tra il Sud e il Centro-nord d’Europa. Ebbene, se guardiamo a quelle opere strategiche in grado di cambiare il volto al Sud dell’Italia, il ponte sullo Stretto e un porto hub rivestono un’importanza decisiva, senza nulla togliere agli altri progetti.

Per il Sud è il momento di decidere

Sul tema del ponte sullo Stretto si ha, oggi, una percezione diversa, dovuta al fatto che la realtà economica e industriale – e quindi le leggi del mercato e le esigenze della produzione – hanno contribuito a far cadere le strumentalizzazioni ideologiche che ne hanno contrastato, in cinquant’anni, la realizzazione. Le pregiudiziali che hanno caratterizzato l’opposizione alla costruzione del ponte – possibilità di infiltrazioni mafiose, sismicità dell’area, presenza di forti venti, impatto ambientale – carte alla mano, non hanno alcun punto d’appoggio, come quella del reperimento delle risorse necessarie. Un clima, quindi, che è cambiato e la riconferma da parte dell’Unione Europea del corridoio Berlino-Palermo, asse di collegamento in grado di assicurare l’unità e il collegamento fra i territori che la compongono, ne è una dimostrazione ancor più eloquente, anche se non diretta. Stupisce, inoltre, che il fronte del no-ponte annoveri anche chi sostiene che la Sicilia debba diventare una piattaforma nel Mediterraneo, e non si capisce esattamente come ciò possa accadere in assenza di una continuità autostradale e ferroviaria verso i mercati.

 

Analogo discorso può essere fatto circa l’importanza di un porto hub in grado di intercettare i traffici commerciali provenienti dal canale di Suez, con una sede naturalmente e tecnicamente vocata come quella di Palermo. Un porto-container al Sud colmerebbe una grave lacuna, offrendo ai vettori intermodali una risposta alle loro esigenze in ordine ai fondali, al bacino di rotazione, alle attrezzature, ai parametri green imposti dalla Ue e in grado di assicurare una movimentazione di almeno 16 milioni di TEU. E, tutto questo, nella consapevolezza che gli investimenti in infrastrutture materiali non possono che essere determinati da un vulnus, da una mancanza, da una esigenza che proviene dalle categorie produttive e imprenditoriali, da un miglioramento delle condizioni di vita dei cittadini, da criticità logistiche, nel rispetto dei parametri imposti dall’analisi costi-benefici. In questa prospettiva, inoltre, la spesa per investimenti più che in altri settori, ha un effetto moltiplicatore superiore, con ricadute positive sulla produttività del sistema economico, sulle scelte di localizzazione delle imprese sul territorio, sulla capacità di attrarre capitali dall’estero e di giocare un ruolo da leader nel contesto economico e geopolitico post-pandemia.

 

 

 

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