Il 20 febbraio a Roma, in occasione dell’evento “Un’ondata di innovazione”, sono stati presentati i risultati della Ricerca Nazionale sulle Società Benefit 2025[1]. I dati che emergono dall’analisi raccontano di un modello imprenditoriale innovativo con una dinamica di crescita significativa che rende le Società Benefit un potenziale punto di riferimento per ripensare la governance aziendale in un’ottica di business sostenibile. L’Italia è stato il primo Paese, dopo gli Stati Uniti, a introdurre nella propria legislazione la possibilità per le aziende di qualificarsi come Società Benefit[2] inserendo nel proprio oggetto sociale obiettivi di bene comune, operando «(…) in modo responsabile, sostenibile e trasparente nei confronti di persone, comunità, territori e ambiente, beni e attività culturali e sociali, enti e associazioni e altri portatori di interesse» (Art.1, legge sulle Società Benefit). Si tratta quindi di superare l’idea di una gestione aziendale vocata alla sola massimizzazione del profitto e alla divisione degli utili, affiancando a questi obiettivi la volontà di generare valore per la collettività e l’ambiente.
L’Italia è stato tra i primi Paesi a introdurre nella propria legislazione la possibilità di qualificarsi come Società Benefit
Dai dati della ricerca emerge chiaramente che le Società Benefit in Italia stanno crescendo ad un ritmo sostenuto. Al termine del 2024, il numero di imprese con questo status ha raggiunto le 4.593 unità, con un incremento del 27% rispetto all’anno precedente, raggiungendo un’incidenza dell’1,57% sul totale delle aziende. Si osserva tuttavia una concentrazione più marcata al Nord, con la Lombardia in testa sia per in termini assoluti (1.500 società), sia per incidenza sul totale delle imprese (2,74%); una dinamica che può essere attribuita all’effetto traino delle grandi imprese concentrate particolarmente in questa regione, ma che indica anche una maggiore propensione all’innovazione nel Nord Italia. Nel dettaglio, il Nord-Ovest conta il 41,4% delle Società Benefit italiane, il Nord-Est il 23,5%, il Centro il 21,2%, il Sud il 9,8% e le Isole il 4,1%.
Il numero di imprese con questo status ha raggiunto le 4.593 unità, con un incremento del 27% rispetto all’anno precedente
Oltre alla crescita numerica, nel triennio in esame (2021-23) le Società Benefit si sono distinte dalle non-benefit sul fronte della performance economica, con una crescita del fatturato del 26%, contro il 15,4% per le imprese tradizionali, sostenuto spesso da una propensione agli investimenti su leve strategiche fondamentali, quali l’innovazione, l’internazionalizzazione, la sostenibilità e le energie rinnovabili. Il modello è risultato particolarmente vincente per le microimprese che hanno visto aumentare il proprio fatturato del 38% (16% per le analoghe non-benefit), suggerendo una più marcata capacità delle piccole aziende di valorizzare questo tipo di governance aziendale che, in un contesto meno articolato, riesce a penetrare in modo più incisivo nelle strategie di sviluppo d’impresa.
Le Società Benefit hanno visto una crescita del fatturato del 26% contro il 15,4% per le imprese tradizionali
Le Benefit si sono dimostrate più dinamiche anche dal punto di vista occupazionale, generando in tre anni un incremento di organico del 62%, superando nettamente le non-benefit, ferme al 43%. Inoltre, anche la crescita del valore aggiunto e del costo del lavoro sono stati superiori alla media del mercato, evidenziando un impegno concreto nella valorizzazione delle risorse umane. Il valore aggiunto ha raggiunto un incremento medio del 26,1% (16,3% per le non-benefit) e, ancor più evidente è la differenza nella crescita del costo del lavoro (25,9% contro 12,5%). Dunque, a differenza di quanto accade nelle aziende tradizionali, il costo del lavoro nelle Società Benefit è aumentato parallelamente al valore aggiunto, mostrando un’attenzione al benessere dei dipendenti anche a scapito della marginalità, particolarmente significativa nell’attuale contesto caratterizzato da elevata inflazione e aumento del costo della vita. La redistribuzione più equa del valore generato, è indicativa di una visione d’impresa che considera il capitale umano una leva strategica di successo e si pone come sostegno tangibile all’erosione del potere d’acquisto delle famiglie. Un altro elemento distintivo emerso dall’analisi è la composizione dei board di amministrazione delle Società Benefit, che si caratterizzano per una maggiore inclusività in termini di genere ed età. Il 48% di queste imprese presenta almeno una donna nel consiglio di amministrazione, rispetto al 38% delle non-benefit, raggiungendo il 62% nelle grandi imprese (+14% rispetto al campione di confronto di analoghe dimensioni). La presenza di giovani under 40 nei board è pari al 27,9%, con punte del 30,4% nel Mezzogiorno, mentre nelle società non-benefit si ferma al 20%. Questa caratteristica si traduce in un impatto diretto sulla dinamicità aziendale: le Società Benefit guidate da giovani hanno visto crescere il fatturato del 30,6%, rispetto al 23,5% di quelle con un board composto da over 65, hanno assunto di più (+20% contro +11%) e riconosciuto aumenti salariali più consistenti (+34,5% vs + 23,2%), addirittura superiori alla crescita del valore aggiunto.
Le Società Benefit si caratterizzano per una maggiore inclusività e il 48% ha almeno una donna nel consiglio di amministrazione
La Ricerca Nazionale sulle Società Benefit 2025 conferma che queste imprese rappresentano un modello concreto di evoluzione sostenibile nel panorama imprenditoriale italiano. La loro capacità di aumentare il numero di occupati e di offrire remunerazioni più elevate rispetto alle imprese tradizionali è un segnale importante che le distingue come imprese in grado di affrontare le sfide economiche con una visione più equa e sostenibile. Un elemento chiave di questa edizione della ricerca è stato lo studio sulla distribuzione territoriale delle Società Benefit: se da un lato la Lombardia guida il fenomeno con una concentrazione più alta, la diffusione del modello nel Centro-Sud dimostra come le Società Benefit possano rappresentare uno strumento di sviluppo per il tessuto imprenditoriale in tutto il Paese. L’analisi suggerisce una possibilità di cambiamento nel modo di fare impresa in Italia passando da un’economia esclusivamente orientata al profitto a un modello “stakeholder-driven”, in cui la creazione di valore si estenda a tutta la società. Se questa tendenza continuerà a consolidarsi, le Società Benefit potrebbero diventare il punto di riferimento per un nuovo paradigma economico in cui competitività e sostenibilità non sono in contrasto, ma si rafforzano a vicenda: «Il percorso che stanno facendo le Società Benefit è ricco di indicazioni preziose per lo sviluppo del nostro tessuto imprenditoriale in senso più moderno e inclusivo» ha detto il Direttore Generale di InfoCamere, Paolo Ghezzi. «Le informazioni puntuali che emergono dalle analisi dei dati ufficiali del Registro delle imprese rappresentano un valore straordinario anzitutto per le istituzioni, per seguire da vicino e favorire la diffusione di questa modalità di fare impresa che guarda al territorio e alle persone. Allo stesso modo, sono uno stimolo concreto per le altre imprese fuori dal perimetro Benefit e che, sulla base di queste evidenze, possono avvicinarsi con più fiducia a questo modello».
[1] La ricerca è stata condotta da un partenariato formato da NATIVA, Research Department di Intesa Sanpaolo, InfoCamere, Università di Padova, Camera di commercio di Brindisi-Taranto e Assobenefit.
[2] Legge di stabilità 2016, n.208 del 28 dicembre 2015.