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Skill mismatch: quando offerta di lavoro e competenze faticano a incontrarsi

di
Mariarosaria Zamboi

Aziende che lamentano difficoltà crescenti nel reperire le figure professionali di cui hanno bisogno e lavoratori qualificati che non riescono a collocarsi professionalmente o si ritrovano in posizioni non in linea con la propria preparazione. È questa la situazione paradossale in cui si trova oggi il mercato del lavoro italiano, un fenomeno noto come skill mismatch che si unisce alle fila delle criticità che il nostro sistema economico e sociale deve affrontare con urgenza. Secondo l’OCSE, in Italia il 36,5% degli occupati opera in settori diversi rispetto alla propria formazione, mentre il 38,5% ricopre posizioni per le quali possiede un titolo di studio non corrispondente alle esigenze del ruolo, e circa quattro aziende italiane su dieci segnalano lacune significative tra le competenze dei propri dipendenti e quelle richieste per soddisfare le necessità operative come anche difficoltà a reperire profili adeguati per le posizioni vacanti. Questo dato è confermato dalle rilevazioni Istat sulle forze lavoro, che hanno contato il 27,1% di lavoratori italiani sovraistruiti rispetto alla posizione occupata.

Secondo l’OCSE, in Italia il 36,5% degli occupati opera in settori diversi rispetto alla propria formazione

Gli impatti negativi del disallineamento fra domanda e offerta di lavoro si ripercuotono non solo su imprese e lavoratori, ma sull’intero sistema socio-economico. Per i lavoratori si traduce in un senso di insoddisfazione generalizzato – che in Italia coinvolge quasi la metà della popolazione attiva sul mercato del lavoro (49,3%)[1] del Paese – in salari più bassi e maggiore difficoltà nel trovare e mantenere un impiego; le imprese, dal canto loro, faticano ad innovare, a tenere il passo con le continue trasformazioni del mercato e a coglierne le opportunità, con una conseguente perdita di competitività e redditività. A livello macroeconomico lo skill mismatch agisce da freno alla crescita del Paese con un costo stimato di 44 miliardi di euro, pari al 2,5% del Pil[2] e, andando oltre i numeri, le perdite per l’intera società sono inestimabili: impoverimento del capitale umano causato dalla fuga di giovani laureati all’estero e inasprimento delle disuguaglianze sociali ed economiche attraverso un mercato del lavoro sempre più polarizzato in cui le opportunità si concentrano nelle mani di pochi, mentre molti rischiano di rimanere ai margini.

Lo skill mismatch agisce da freno alla crescita del Paese con un costo stimato di 44 miliardi di euro, pari al 2,5% del Pil

Uno dei fattori principali alla base dello skill mismatch è la mancata corrispondenza tra il sistema educativo e le esigenze del mercato del lavoro. La carenza di percorsi formativi mirati alle nuove competenze digitali e tecnologiche accentua il divario tra domanda e offerta di lavoro, lasciando molte posizioni vacanti mentre un numero crescente di lavoratori fatica a trovare un’occupazione adeguata. In Italia, solo il 28% dei laureati ha conseguito un titolo in discipline STEM, rispetto a una media europea del 36% e i laureati italiani impiegano più tempo ad inserirsi stabilmente nel mercato del lavoro. Alle carenze del sistema di istruzione, si aggiunge una limitata diffusione della formazione continua, che impedisce ai lavoratori di aggiornare le proprie competenze in un contesto di rapida evoluzione tecnologica. Settore emblematico per rappresentare il fenomeno è quello delle tecnologie dell’informazione e della comunicazione (ICT), il cui rapido sviluppo richiede un aggiornamento continuo delle competenze e delle tecnologie in uso nelle aziende. La digitalizzazione ha portato a una crescente domanda di competenze avanzate in programmazione, cybersecurity e Intelligenza Artificiale, ma anche in questo caso l’offerta formativa non è riuscita a tenere il passo: solo il 46% degli italiani possiede competenze digitali di base, dato inferiore alla media europea del 57% e il numero di laureati in discipline ICT ci colloca in fondo alla classifica europea, dato aggravato da una profonda disparità di genere che limita ulteriormente la disponibilità di talenti nel settore.

Con il disallineamento tra domanda e offerta le imprese perdono competitività e i lavoratori ricevono salari più bassi

A soffrire di più sono le PMI, che costituiscono la grande maggioranza del tessuto produttivo italiano. Spesso non hanno le risorse necessarie da investire sulla riqualificazione del personale né sull’innovazione tecnologica in azienda: nel 2024 ha investito in formazione informatica il 22,3% delle microimprese (meno di 10 occupati) e circa il 50% di quelle medio-piccole, contro il 70,7% di quelle di grandi dimensioni. Inoltre, il 70,2% delle imprese con 10-249 addetti si colloca a un livello base di digitalizzazione e poco più di un quarto si colloca a livelli definiti almeno alti[3] (26,2%), al contrario fra le imprese con almeno 250 addetti, si raggiunge il 97,8% per il livello almeno base e l’83,1% anche in quello almeno alto.

La mancata corrispondenza tra il sistema educativo e le esigenze del mercato del lavoro è tra le cause dello skill mismatch

Affrontare lo skill mismatch è un imperativo economico e sociale che richiede visione, determinazione e collaborazione, attraverso il coinvolgimento di tutti gli attori in gioco: governo, imprese, istituzioni educative e lavoratori stessi. Investire nell’istruzione per allineare il sistema educativo alle esigenze di un mercato del lavoro in rapida trasformazione e promuovere l’acquisizione di competenze trasversali come il pensiero critico, la creatività e la capacità di risolvere problemi, insieme alle competenze tecniche specifiche, rafforzare la collaborazione tra scuole, università e imprese attraverso programmi di apprendistato, tirocini e altre forme di “learning by doing”, per garantire una transizione più fluida dal mondo dell’istruzione a quello del lavoro, incentivare la formazione continua dei lavoratori e stimolare l’innovazione delle imprese, sono interventi alla base di una futura crescita del Paese. E tutto questo non sarebbe sufficiente. Affinché la crescita possa rivelarsi anche sostenibile e inclusiva, sono necessari interventi mirati alla riduzione delle disuguaglianze, di genere e territoriali, che continuano ad affliggere l’Italia nella distribuzione delle competenze e delle opportunità. In gioco non c’è solo la competitività delle imprese o la crescita del Pil, ma la dignità e il futuro di milioni di lavoratori, famiglie e comunità, una sfida che chiama in causa valori fondanti della nostra società: l’uguaglianza, la solidarietà, la fiducia nel progresso.

[1] Fonte: Istat
[2] Stime Yliway
[3] Digital Intensity Index

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