Green Economy, il Capitale umano per esprimersi ha bisogno di fiducia

capitale umano

Quando parliamo di Capitale umano, dobbiamo ricordare che il contesto, oltre che il potere, siamo noi. Il potere di cui parlo è principalmente quello di fare innovazione, di ribaltare i paradigmi nei quali non ci troviamo bene, rispetto ai nostri valori. Lo spreco è nel giacimento di un potenziale che non lasciamo esprimere. Anche se la maggior parte di noi si sente semplicemente orfana, per effetto di un discredito generale che ha pervaso ambienti, politica, informazione, scuola. Ma abbiamo portato i concetti di ESG (sostenibilità ambientale, sociale e di governance), diversity e purpose, al centro: i nostri figli sono “nativi sostenibili”. Oltre ad essere “nativi digitali”. Sono immersi in un contesto dove il tema della sostenibilità è una priorità, perché la mentalità si cambia con lentezza ed è in realtà l’effetto di un lavoro iniziato decenni fa. Non facciamo l’errore di pensare che sia iniziato ora e che le cose capitino. Sarebbe la peggiore delle eredità, insieme ai debiti (e ai materiali scadenti di costruzione, i quali vengono giù).

Quando parliamo di Capitale umano dobbiamo ricordare che il contesto, oltre che il potere, siamo noi

Anche i dati ci guidano in questo senso a capire che l’attenzione e la preoccupazione per l’ambiente portano gli italiani all’adozione di comportamenti di consumo maggiormente responsabili che si traduce in una riduzione e riciclo dei rifiuti (78%), riduzione degli sprechi energetici e del consumo di risorse esauribili (73%), acquisto soltanto di quanto si ha realmente bisogno (64%). Queste informazioni sono presenti nella ricerca dell’Osservatorio Deloitte “Il Cittadino Consapevole” (tratto dal Rapporto Italia 2023). Nella stessa indagine, emergono i punti sui quali lavorare in termini di ricerca e innovazione. Infatti, sebbene consapevoli delle proprie responsabilità e della necessità di contribuire alla sostenibilità, i cittadini devono scontrarsi con le principali barriere all’adozione di uno stile di vita responsabile: i costi eccessivi che richiede l’adozione di comportamenti virtuosi (51%); la difficile reperibilità delle offerte sostenibili (38%); la mancanza di informazioni per una scelta consapevole (36%). Questi sono alcuni dei temi cruciali che i “nativi sostenibili” si trovano già e si troveranno a fronteggiare. Dunque abbiamo degli spunti concreti rispetto ai quali possiamo lavorare per elaborare risposte credibili e innovative alle criticità. Indirizzare quindi la ricerca verso soluzioni che aiutino quel potenziale a mettere in pratica comportamenti rivolti a un’economia circolare più vicini alla sensibilità del presente.

Tra le principali barriere all’adozione di uno stile di vita responsabili ci sono i costi eccessivi e la difficile reperibilità delle offerte sostenibili 

Partendo da un contesto del genere, di potenziale “sociale” che cerca soluzioni per esprimersi, diviene centrale il tema della partecipazione. La sfida della Green Economy, in tutte le sue declinazioni – dall’economia circolare all’industria sostenibile – talvolta non contempla un elemento fondamentale, e cioè la partecipazione attiva della società civile nel processo di transizione. Siamo convinti che il processo verso una società più sostenibile da tutti i punti di vista sia delegabile sempre, una responsabilità in capo alla classe politica in primis. Ma il cambio di paradigmi richiesto dalla transizione ecologica coinvolge tutti gli attori sociali, economici, politici in prima persona. Anche questo è Capitale umano. Occorre qui anche un buon giornalismo, che non sia solo attento a denunciare – talvolta sensazionalisticamente – i fatti del momento o a documentare le falle di un sistema obsoleto. Un giornalismo che (per)segua anche le soluzioni, appunto: «Solution journalism is accountability journalism». Il Solution journalism, ovvero un giornalismo di soluzioni, è un giornalismo che si propone di analizzare i fenomeni in profondità e di presentare le alternative possibili alla soluzione dei problemi, un’attitudine insomma che non sia solo distruttiva ma che segua chi, tra cadute e chance, vuole l’esatto contrario. Un giornalismo costruttivo e partecipativo come quello inaugurato da Joseph Pulitzer, che intendeva la sua professione come un’azione con importanti ricadute sociali, non solo di denuncia ma in grado di generare un coinvolgimento dell’audience nelle questioni cruciali.

Il Solution journalism si propone di analizzare i fenomeni in profondità e di presentare le alternative possibili alla soluzione dei problemi

Questo approccio non è passato di moda, stando a quanto indicato dal Digital News Report 2024. Analizzando le esigenze indicate dagli utenti per i 47 mercati presenti nello studio – tra i quali l’Italia –, i due terzi (65%) indicano le notizie che soddisfano i bisogni fondamentali di conoscenza e comprensione come “molto o abbastanza importanti”. L’esigenza di conoscere e comprendere sono le più citate dagli utenti; tra queste, figurano l’esigenza di “sentirsi coinvolto” (72%) e di “avere una prospettiva” (63%) da parte dell’informazione. Il Solution journalism ha oggi il compito di intervenire attivamente generando un dibattito all’interno della società civile, offrendo anche una prospettiva reale e costruttiva partendo dalle innovazioni che si presentano. Un giornalismo come investimento sul futuro, in grado di mobilitare e coinvolgere, un giornalismo utile. “A chi?”, spesso ci si chiede se l’ostacolo all’innovazione sia più interno alle aziende o esterno. Ebbene, sulla questione il mondo dell’informazione è importante, deve capire e raccontare il mondo della Ricerca: fino a dieci anni fa pochissimi avrebbero messo in prima pagina “l’economia circolare”. Dunque le sensibilità nella società è merito di tutti. Penso quindi possiamo rivalutare i nostri tempi.

Fino a dieci anni fa pochissimi avrebbero messo in prima pagina “l’economia circolare”

Altri due indizi più appariscenti sui nostri anni li troviamo in un cambiamento culturale repentino. Il senso di colpa che sentiamo nel bere da una cannuccia di plastica, il ribrezzo per tutto ciò che inquina, inganna. Non rinunciamo a «Cercare e saper riconoscere che e che cosa, in mezzo all’inferno, non lo è e farlo durare, e dargli spazio», e forse proprio come Italo Calvino, ne Le città invisibili, cerchiamo di ricostruire il nostro conflitto con la modernizzazione attraverso nuove strutture di pensiero e dunque di azione. “Il potere dell’innovazione” è “fare accadere le cose” nel rispetto del futuro. L’obiettivo è che “nessuno si senta escluso”, che la sostenibilità non sia solo industriale o ambientale. C’è, infatti, una sostenibilità trascurata più di tutte: la sostenibilità sociale. Una cenerentola delle tre  – ambientale, sociale e di governance. E negli “ambienti di apprendimento”, gli “ambienti di lavoro”, si gioca la partita dell’inclusione e dell’innovazione. Insomma, il contesto che ospita questo cambiamento non è solo il contorno generale nel quale si muovono l’economia e la società: è il perimetro e il contesto più ristretto dell’ambiente nel quale lavoriamo, o i luoghi in cui avviene l’istruzione e la formazione dei giovani e degli studenti in generale. Questi luoghi non devono essere avulsi dal concetto di sostenibilità sociale, quella che non lascia nessuno indietro, che non discrimina, che non osteggia le carriere femminili, che accoglie tutte le espressioni di partecipazione e fiducia nel futuro.

La fiducia nel Capitale umano parte dalle istituzioni per coinvolgere le imprese, il mondo della cultura e dell’informazione, la ricerca e l’innovazione

Ora c’è una maturità imprenditoriale, manageriale e di governance in grado di liberare energie e idee. In passato abbiamo fatto sentire degli scartati pezzi vitali della società, abbiamo cestinato idee innovative perché il Paese era refrattario a investire per primo. Questo accadeva. Oggi il futuro, rappresentato da giovanissimi, da adulti, da studiosi e da chi vuole fare innovazione, ha bisogno di un ambiente in cui si respiri “fiducia”. Una fiducia nel Capitale umano che parte dalle istituzioni per coinvolgere le imprese, il mondo della cultura e dell’informazione, la ricerca e l’innovazione tecnologica, tutti i terreni sui quali si sta giocando la partita della transizione verso la Green Economy.

*Benedetta Cosmi, coordinatrice del Laboratorio dell’Eurispes sul Capitale umano nel corso del convegno “Green Economy: tra innovazione tecnologica, industria sostenibile ed Economia Circolare” promosso da Comunicazione Italiana.

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