Oltre cento difensori di diritti umani si sono dati appuntamento a Dublino dal 2 al 5 ottobre grazie all’organizzazione dell’Associazione Frontline Defenders e al contributo di In Difesa di. Tra loro ho avuto l’onore di esserci anch’io, eletto Human Rights Defender per gli studi, l’impegno e i risultati ottenuti in difesa dei diritti umani di donne e uomini che in Italia sono vittime di tratta internazionale a scopo di grave sfruttamento lavorativo, caporalato, emarginazione.
Quattro giorni di confronti, riflessioni e approfondimenti su ciò che accade dentro e oltre i confini nazionali ed europei. Donne e uomini provenienti dalla Somalia, Arabia Saudita, Cina, Bolivia, Argentina hanno denunciato, con la forza della loro esperienza, violenze e omicidi di Stato di cui sono vittime da anni e contro le quali da anni si battono con una fierezza che spinge ad avere ancora fiducia nell’uomo. Ancora molti sono gli Stati che praticano violenza e discriminazioni, omicidi e torture al solo scopo di ridurre al silenzio giornalisti, blogger, testimoni di giustizia, ambientalisti, ricercatori indipendenti, insegnanti, transgender, lesbiche e omosessuali. Alcuni testimoni hanno denunciato, non senza una comprensibile emozione, le loro condizioni di vita e i pericoli che ogni giorno corrono insieme con le loro organizzazioni e comunità, portando a testimonianza i segni lasciati sui loro corpi o gli anni di carcere passati in celle dove la tortura e la violenza erano l’unico pane quotidiano.
Vale in Eritrea, Sud Sudan, Egitto, Arabia Saudita, Cina, Bangladesh e in molti altri paesi nel mondo. Alcuni non hanno potuto mostrare il loro volto ne pronunciare il loro nome per il pericolo di morte che corrono sistematicamente in ogni luogo del mondo essi vivano. Il loro anonimato è il segno di quanta strada ancora la democrazia debba fare in paesi che pure sono centrali nello scacchiere internazionale come la Russia o la Cina.
A me il compito di raccontare che cosa è stato organizzato in termini di lotta, autodeterminazione, consapevolezza ed emancipazione in Italia nella battaglia contro ogni forma di schiavitù, sfruttamento, discriminazione e violenza contro i migranti, a volte impiegati come schiavi nelle nostre campagne (e non solo), discriminati perché capaci di resistere alle violenze del padrone o semplicemente perché ricattabili. La loro lotta è un impegno in difesa della democrazia che abbiamo il dovere di accompagnare, sostenere e condurre con loro. Basti pensare che secondo l’ultimo Rapporto Agromafie dell’Eurispes, il giro d’affari delle agromafie in Italia nella sola agricoltura è di circa 25 miliardi di euro. Il mio intervento in assemblea ha ricordato che la difesa dei diritti umani vale non solo fuori i confini europei ma anche al suo interno, superando stereotipi diffusi che nascondono invece realtà di sfruttamento ed umiliazioni molto gravi.
Parlare di agromafia in Italia dinnanzi al Commissario Michelle Bachelet, Alto Commissario delle Nazioni Unite per i diritti umani e a Michel Forst, Special Rapporteur delle Nazioni Unite per gli human rights defenders, citando i dati contenuti nell’ultimo Rapporto dell’Eurispes e alcune tra le storie di vita di braccianti migranti impiegati in condizioni di grave sfruttamento nelle campagne del Paese, ha permesso di offrire un quadro aggiornato e rinnovato nella dialettica e rappresentazione del fenomeno, premessa per prossimi impegni e nuovi appuntamenti. Lo sfruttamento è business, accondiscendenza nei confronti dei poteri mafiosi e di filiere ancora poco trasparenti. Abbiamo il dovere di indagare, approfondire, per difendere i diritti umani, per sostenere gli imprenditori seri e capaci da coloro che invece vìolano diritti e regole del mercato agendo in modo criminale e scorretto, per privilegiare il diritto contro la logica del profitto ad ogni costo, la produzione agricola di qualità dall’Italian sounding che è un’offesa per la storia, cultura e capacità di saper ben fare del nostro Paese. Presto, peraltro, questa riflessione la porteremo direttamente alle Nazioni Unite mettendo in luce nuovi dati, prove e rinnovate modalità di analisi e contrasto alle agromafie.
Tutti i difensori dei diritti umani presenti a Dublino ‒ con i loro linguaggi, colori, esperienze, cicatrici ‒ sono la prova che nel mondo viaggia ancora un sogno che è quello di costruire una società migliore in cui nessuno, riprendendo Martin Luther King, possa essere discriminato per il colore della propria pelle ma anche per la sua nazionalità, orientamento sessuale, appartenenza di classe, idee politiche. Difendere la terra dalla predazione e da ogni processo che ne alteri gli equilibri ecologici è un principio di sopravvivenza e di democrazia, come anche Papa Bergoglio riconosce e sottolinea ormai sistematicamente.
Ascoltando tante donne e uomini del Sudamerica parlare, nei loro racconti, di lotta alle devastazioni ambientali, di difesa del territorio e della vita dei villaggi dagli squadroni della morte dei loro governi, dei loro compagni e compagne uccisi in raid assassini dalle forze di polizia locali, ho visto la violenza di un mondo che non vuole rassegnarsi e la bellezza di un altro, invece, che non vuole soccombere e per questo ha deciso di resistere. A questi difensori dei diritti umani non è stato regalato nulla. Si sono conquistati ogni metro fatto, ogni parola pronunciata, ogni cicatrice. Dublino è stata una grande occasione per ricordare che chiudersi in sé, dentro i propri confini, è sempre la strada più facile per impoverirsi, isolarsi e restare indietro sul piano dei diritti e dell’agire democratico. La chiusura autarchica significa dominio del più forte, che dentro un mondo globale vuol dire ‒ come la vicenda dei dazi Usa sui prodotti agricoli anche italiani sta dimostrando ‒ che a vincere sono i più grandi, i meglio organizzati, i più cinici rispetto alle regole proprie della democrazia.
Qualcuno ci ha raccontato, per anni, che bisognava tenere i piedi per terra. Io so che volare, a volte, serve per alzare lo sguardo, so che resiste nel mondo la voglia di giustizia e libertà che anima ancora le menti e i corpi di tante persone che, in diverse aree di questo mondo, vivono le ragioni del fare e soprattutto del fare nella direzione di un cambiamento che riconosca giustizia, futuro, libertà, democrazia a tutti. “Nessuno escluso” è ciò che spero presto diventi la bussola del cambiamento.
Resto convinto che la storia la cambia chi decide di cambiare il modo di lavorare, ragionare, parlare, raccontare e vivere nel mondo. La scelta inevitabile è quella di socializzare i saperi, rafforzare uno spirito libero, indipendente e critico, con-fondere nel senso di tenere insieme le persone, allargare i diritti, sconfiggere le disuguaglianze. Dicono sia un sogno: a me da Dublino pare un sogno possibile. Fiero di essere stato nominato Human Rights Defender.
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