Il fenomeno della globalizzazione ha comportato la necessità per i governi e le Amministrazioni finanziarie dei vari Paesi di intensificare il contrasto congiunto all’evasione e all’elusione fiscale internazionale. I singoli Stati hanno così acconsentito a limitare la propria sovranità per stimolare l’introduzione di regole fiscali comuni e limitare la patologica riduzione del gettito fiscale. L’acquisita consapevolezza dell’impotenza del singolo Stato di fronte a tipologie di reddito derivanti da fattori volatili e ad atti economicamente rilevanti e produttivi di effetti oltre i confini di un unico Paese, ha dunque creato le condizioni per lo sviluppo della cooperazione internazionale, che deve realizzarsi attraverso una disciplina comune, che permetta ai singoli Stati, ai fini dell’accertamento quanto della riscossione delle imposte oltre i propri confini, di esigere assistenza dagli altri. L’Amministrazione finanziaria, nell’attività di contrasto e accertamento dell’evasione fiscale può peraltro avvalersi di qualsiasi elemento con valore indiziario, anche unico, con esclusione di quelli la cui inutilizzabilità discenda da una specifica disposizione della legge tributaria, o dal fatto di essere stati acquisiti in violazione di diritti fondamentali di rango costituzionale.
Sono perciò utilizzabili, nell’accertamento e nel contenzioso con il contribuente, i dati bancari acquisiti dal dipendente di una banca residente all’estero e ottenuti dal fisco italiano mediante gli strumenti di cooperazione comunitaria (vedi Lista Falciani), o anche quelli, come indicati nei Panama Papers, frutto di inchieste anche solo giornalistiche.
L’indirizzo della Cassazione conferma infatti che ormai l’uso delle “Liste” ai fini del contrasto al deposito presso paradisi fiscali dei proventi dell’evasione fiscale è stato ‘sdoganato’. Secondo i giudici di legittimità, l’esigenza primaria rappresentata dall’art. 53 Cost., che si sostanzia nei doveri inderogabili di solidarietà, primo fra tutti quello di concorrere alle spese pubbliche in ragione della propria capacità contributiva, alla quale si associa, in modo altrettanto cogente, l’obiettivo di realizzare una decisa ‘lotta’ ai paradisi fiscali illecitamente costituiti all’estero, giustifica la piena utilizzabilità delle prove acquisite dall’amministrazione.
Il meccanismo presuntivo tratteggiato dal Legislatore si presenta del resto in realtà assai semplice: l’Amministrazione finanziaria, che abbia intercettato presso una delle giurisdizioni black list consistenze patrimoniali riferibili ad un contribuente residente in Italia, si trova, per ciò stesso, nelle condizioni di procedere immediatamente ad accertare, in capo al contribuente suddetto (persona fisica, ente non commerciale, società semplice o associazione assimilata), redditi non dichiarati di pari ammontare e a contestarne le relative sanzioni per l’omessa indicazione nel quadro RW. Ciò che rileva dunque è solo l’attendibilità delle fonti di prova acquisite.