No vax, no mask, negazionisti, allarmisti, integralisti delle zone rosse, tutti hanno qualcosa da dire nel caos della pandemia. Ma esiste un esercito di vittime silenziose, che ha accettato tutto cedendo tutt’al più a qualche capriccio.
Stiamo parlando dei bambini: 7.819.348 anime sotto i 14 anni che di cose da dire ne avrebbero tante. Si va al parco, ma solo tenendo le distanze e senza giocare con gli altri, a scuola sì a scuola no, niente sport né cinema, quarantene che vanno e vengono. Bambini sempre più connessi e tecnologici, ma sempre più soli. Hanno vissuto un Natale insolito, senza nonni, zii e cugini, eppure probabilmente sono stati quelli che più di tutti hanno saputo mantenere viva la magia di questa festa. Che cosa è stato fatto per loro in questi lunghi mesi di decreti e chiusure? Che cosa resterà dell’infanzia nel 2020?
Dispersione scolastica e povertà culturale: due facce della stessa medaglia
Bambini e adolescenti sono senza dubbio i soggetti che a lungo termine subiranno di più gli effetti della pandemia, tra povertà educativa, aumento dei divari, crisi economiche e sociali. E già oggi la quotidianità è un’odissea di disagi. Costretti al silenzio in casa per non disturbare i genitori in smart working, incamerano le paure e le tensioni degli adulti, le preoccupazioni per le difficoltà economiche e le incertezze sul futuro. Come più volte denunciato dalle associazioni che si occupano di diritti dell’infanzia e dell’adolescenza, l’Italia non è un paese per bambini, mancano strutture e servizi di sostegno, manca una visione d’insieme che renda i bambini protagonisti nella società. La pandemia ha solo reso più evidenti queste criticità. Basta ragionare su come sono stati pensati i bambini e i ragazzi durante la pandemia e nei provvedimenti che li hanno riguardati, sempre in funzione di un ruolo: studenti, figli, veicolo di contagio; dimenticando, il più delle volte, il loro essere soggetti di diritti e senza progettarne il futuro.
Il lockdown ha rappresentato per i bambini la perdita di esperienze che sono alla base dello sviluppo emotivo e cognitivo
Il 4 marzo 2020, 9.040.000 di bambini e ragazzi più circa un milione di iscritti ad asili nido e a servizi educativi della prima infanzia hanno improvvisamente perso il diritto alla didattica in presenza e con esso il diritto al contatto con i coetanei, ma al centro delle attenzioni del Governo sono state poste solo le questioni formali come la validazione dell’anno scolastico, le modalità di svolgimento degli esami di Stato, indicazioni per lo svolgimento della didattica on line e, successivamente, le regole per il rientro a scuola fatte di distanziamento, mascherine, gel igienizzanti e banchi con le rotelle. Sebbene la didattica a distanza abbia garantito una sorta di continuità, il lockdown ha rappresentato per i bambini la perdita di esperienze e stimoli sociali che sono alla base del sereno sviluppo emotivo e cognitivo, la mancanza della routine legata alla scuola, dell’incontro con insegnanti e compagni, delle abitudini quotidiane che sono fonte di sicurezza e conforto.
Il ruolo di controllo ed equità della scuola
La didattica on line con tutti i suoi limiti ha peraltro escluso dal diritto all’istruzione tutti gli studenti che in casa non avevano la piena disponibilità di un dispositivo per connettersi e, in alcuni casi, non possedevano neanche un adeguato collegamento ad Internet. Nell’intervento in Parlamento del 25 marzo scorso la ministra Lucia Azzolina ha dichiarato che circa un milione e seicentomila studenti non avevano accesso alla didattica a distanza. L’impatto è devastante considerando che si tratta proprio dei bambini e ragazzi appartenenti alle fasce più deboli, a situazioni di povertà e disagio, a disuguaglianze inasprite dall’isolamento: senza un adeguato sostegno genitoriale allo studio con la difficoltà nell’accesso ai servizi sociali, migliaia di bambini provenienti da famiglie svantaggiate hanno visto crescere il divario con i loro coetanei. L’allarme per la situazione dei minori fragili, compresi quelli con disabilità, è stato lanciato immediatamente dopo lo scoppio della pandemia da tutti gli enti che si occupano di diritti dei minori, non solo per gli aspetti relativi all’inclusione e alla dispersione scolastica, ma anche per l’aumento degli episodi di violenza domestica, aggravati dalla chiusura delle scuole che svolgevano un ruolo di controllo attraverso le segnalazioni degli insegnanti.
Scuola, disabilità senza sostegno
Gli sforzi compiuti durante l’estate per affrontare il rientro a scuola hanno riguardato l’acquisto di dispositivi e abbonamenti, l’estensione della banda larga negli Istituti che ne erano privi, la sanificazione degli ambienti, lo stanziamento di fondi per l’edilizia scolastica e l’assunzione straordinaria di personale scolastico; interventi importanti ma non sufficienti, per cui la riapertura delle scuole a settembre è stata accompagnata da un clima di incertezza; i bambini tornati sui banchi hanno fatto i conti con nuove regole: distanti un metro l’uno dall’altro, privati dei dieci minuti di libertà durante la ricreazione o del piacere di scambiarsi la merenda, l’attività motoria considerata meno importante delle altre in molti casi sospesa per la mancanza di spazi adeguati.
Certo, le regole nella scuola erano inevitabili, sempre meglio della rinuncia totale alla socialità. Ma forse qualcosa in più si poteva fare per i bambini fuori dall’orario scolastico.
Si è tolto spazio al gioco libero, considerato improduttivo
Anche in questo caso la situazione italiana pre-Covid non era certamente rosea; nonostante alcuni tentativi di rendere gli spazi urbani più sicuri, vivibili e ludici, le città italiane non sono pensate a misura di bambino. L’idea che negli ultimi anni si è affermata riguardo al tempo libero dei bambini è quella di uno spazio libero da riempire con attività più o meno strutturate, guidate dagli adulti con scopi educativi o di intrattenimento: si è tolto spazio al gioco libero considerato improduttivo in favore di una iper-strutturazione delle giornate dei bambini fatte di compiti, attività sportive, catechismo e corsi di tutti i tipi.
L’importanza del tempo libero dei minori
Sebbene la legge 285/97 recante “Disposizioni per la promozione di diritti e di opportunità per l’infanzia e l’adolescenza” abbia dato la spinta al moltiplicarsi di strutture e servizi dedicati al tempo libero dei minori, è mancato l’equilibrio tra gli spazi destinati alle attività formative strutturate e quelli riservati al gioco libero, visto come momento di crescita e condivisione di esperienze, di sviluppo dell’autonomia e stimolo alla partecipazione sociale. Le normative anti-Covid hanno interrotto tutte quelle attività che riempivano i pomeriggi dei bambini, improvvisamente smarriti in un abisso di tempo libero senza sapere come riempirlo. Finito il lockdown è stato possibile tornare a passeggiare e andare al parco, ma senza strutture adeguate molti genitori spaventati dal contagio hanno rinunciato anche a questo sprazzo di socialità; a giugno hanno riaperto ludoteche e centri estivi per i quali il Governo ha diffuso apposite linee guida, ma i servizi ancora troppo scarsi, le regole che hanno ridotto il numero degli utenti e l’inadeguatezza degli spazi hanno fatto sì che molti bambini passassero comunque l’estate in casa.
La pandemia ha evidenziato carenze strutturali preesistenti
L’emergenza sanitaria poteva rappresentare un’opportunità in tal senso? Era forse l’occasione giusta per ripensare a spazi urbani in grado di permettere ai bambini di condividere il tempo libero in sicurezza? La pandemia ha il “merito” di aver messo in evidenza l’esistenza di carenze strutturali preesistenti che richiedono di essere colmate, ma ad oggi è stato fatto davvero poco per far sì che i bambini possano vivere la loro infanzia in tempi di crisi: aree pubbliche attrezzate per lo svolgimento dell’attività sportiva libera all’aperto, parchi cittadini, aree gioco sicure, piste ciclabili, luoghi dove svolgere attività anche educativa all’aperto, sono pochi e quelli che ci sono mancano spesso di manutenzione. Qualche tentativo di contenere il vuoto ludico-educativo generato dalle misure di contenimento del virus è stato fatto, come la pubblicazione del bando EduCare, con fondi per 35 milioni destinati alla ripresa delle attività educative, ludiche e ricreative; tuttavia, in assenza di interventi organici e di un generalizzato cambio di rotta nella progettazione degli spazi e dei tempi dei bambini, si tratta di iniziative destinate ad avere scarso impatto e poca sostenibilità nel lungo periodo. Una speranza sembra arrivare dal fondo UE Next-Generation, sul cui utilizzo è aperto un dibattito incentrato sulla necessità di colmare il divario territoriale e le grandi disuguaglianze che caratterizzano l’infanzia e l’adolescenza nel nostro Paese, tanto a livello educativo quanto rispetto alla diffusione di servizi e strutture dedicati.
Il futuro dell’infanzia e dell’adolescenza conta
La situazione dei bambini in Italia è spesso descritta dalle statistiche, ma i bambini non sono solo numeri. Leggere e comprendere il mondo dei bambini solo attraverso le statistiche non è possibile. È un universo fatto di sorrisi, di pianti, di difficoltà, di richieste silenziose di attenzioni, di disegni e fantasia, di tanto e tanto altro ancora. Si parla del futuro dell’infanzia e dell’adolescenza come della più grande risorsa del Paese, ma se non si inizia a progettare questo futuro dando voce alle esigenze prima di tutto dei bambini e coinvolgendo tutte le strutture responsabili del processo educativo in una visione d’insieme, per il nostro Paese la garanzia dei diritti dell’infanzia e dell’adolescenza resteranno una nota dolente, sia di fronte alle vecchie sfide sia di fronte a quelle nuove imposte dalla pandemia.