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Caduta del Muro, “Quando toccai la ferita dentro l’Europa”. Il ricordo

di
Redazione

La caduta del Muro di Berlino raccontata ai giovani da chi ne è stato testimone: i ricordi, le sensazioni, la paura, l’euforia, le aspettative e le delusioni. Carmelo Cedrone, responsabile del Laboratorio Europa dell’Eurispes, esperto di politica internazionale, risponde alle domande degli studenti del Liceo L. A. Seneca di Roma.

Sappiamo che sei stato a Berlino Ovest, per circa 4 anni, a metà degli anni Ottanta: com’era Berlino allora e che impressione ti ha fatto vedere il “Muro”?
La prima cosa che mi colpì, già durante il primo viaggio verso Berlino Ovest, fu la “scoperta” a Francoforte, che per arrivarci, bisognava volare, obbligatoriamente, con una compagnia americana, l’unica, insieme a quella francese ed inglese, abilitata ad atterrare nell’aeroporto della città. Naturalmente non fu una bella scoperta, anche se già lo sapevo. Ma il vero colpo durissimo lo ricevetti alla vista del Muro e della rete che attraversava il fiume della città; fui preso da un’angoscia mozzafiato, pensando a chi era morto per attraversare quella rete o quel muro e a chi, prigioniero di quell’al di là che io appena intravedevo, avrebbe voluto farlo. Mentre la vista dei palazzi vicino al confine, chiusi e ancora pieni dei buchi provocati dai bombardamenti, incutevano meraviglia e tristezza.

E quando sei andato al di là del muro? Lo hai mai attraversato?
Certo che l’ho attraversato! Ero curiosissimo ma anche timoroso di andare; mi resi conto che avevo meno paura ‒ anzi non ne avevo affatto ‒ dei lupi o degli orsi con cui avevo convissuto da piccolo, piuttosto che della DDR, ma vedevo che erano in tanti ad attraversare. Passai attraverso il “checkpoint Charlie”. Per me fu un passaggio quasi traumatico, non tanto per le guardie dislocate al di sopra del muro, pronte a sparare, ma per ciò che avvenne all’interno. Bisognava camminare dentro un tunnel di acciaio, quasi al buio, con tre controlli separati, con porte che si richiudevano subito dietro, sbattendo forte e in modo sinistro; restavi solo davanti ad una guardia che ti guardava dall’alto, dietro ad un vetro. Sembrava ti dicesse “ormai ti abbiamo preso”. Fui costretto a spogliarmi solo perché avevo la tasca, dietro i calzoni, gonfia per un fazzoletto da naso, allora ancora in uso. Non vedevo l’ora di uscire, ma dovetti superare tre controlli, uno anche all’esterno, quando invece pensavo di aver finito.

Che cosa hai visto la prima volta?
Sembrava come se ci fosse una fitta nebbia, tutto un grigio ovattato e silenzioso, anche se era prima di mezzogiorno. Vedevo solo facce tristi e rassegnate, dappertutto; persone che facevano di tutto per evitarti, per non entrare in contatto; avevi sempre la sensazione di essere guardato con sospetto, controllato. E poi non c’erano colori nelle case, nei negozi (vuoti di merci) e nei vestiti; cosicché tutto contribuiva ad aumentare il senso di tristezza e di rassegnazione generale. Nonostante fossi già stato a Mosca, Leningrado, Tashkent ed in altri paesi dell’Est qualche anno prima, l’impatto fu egualmente molto duro, come avessi scoperto, all’improvviso, una grande ferita “dentro” l’Europa. Ci tornai successivamente più volte, ma senza attraversare il tunnel di acciaio, insieme ad un diplomatico, per parlare con i pochi giovani che trovavo nelle birrerie o nei bar. Loro osavano, non avevano timore di parlare; volevano sapere come si stava al di là del muro (c’era sempre una speranza di andare al di là…), come si stava in Italia o negli Usa. I più fortunati tra loro, erano stati a Cuba, nei viaggi organizzati dal regime per visitare il paese ed il partito fratello dall’altra parte dell’Atlantico, ma non ne erano usciti incoraggiati, non avevano avuto la possibilità di “odorare” la libertà come immaginavano o come era stato loro promesso.

Quando il muro è caduto sei rimasto sorpreso? Dov’eri?
In verità non sono rimasto molto sorpreso. Era come se me lo aspettassi da tempo, da un momento all’altro. Quello sovietico era un sistema basato sulla mancanza assoluta di libertà, su una repressione feroce, molto simile a quella fascista o nazista. Non poteva durare molto a lungo. Prima o poi, sarebbe imploso. Solo che non pensavo avvenisse così presto, anche se le avvisaglie ormai c’erano da tempo, ma erano state represse senza pietà. Penso alla rivolta ungherese, alla Cecoslovacchia, all’azione di Solidarnosc in Polonia, ma prima di tutto fu la “Pereistrojka” di Gorbaciov, quella che accelerò la caduta del comunismo di cui il Muro era diventato il simbolo occidentale. Quel giorno ero a Bruxelles. Mi avvisò un amico venuto apposta a cercarmi, sapendo che ero stato a Berlino fino all’anno prima. Quasi non volevo credergli, pensavo mi prendesse in giro, dato che conosceva la mia posizione, fortemente contraria al muro ed al regime comunista. Invece, era tutto vero! Infatti le varie reti televisive trasmettevano le immagini di festa dei cittadini dell’Est che attraversavano il muro, salendo e scendendo dall’altra parte o attraverso i primi varchi aperti in fretta. Era un tripudio di folla festosa. Appariva incredibile, tant’era vero! Era bellissimo, una gran festa per i tedeschi dell’Est e per tutti noi. Infatti la sera ci ritrovammo tutti alla Gran Place di Bruxelles, piena all’inverosimile, come se anche la capitale belga e dell’Europa, fosse stata liberata, ma non si sa da quale “invasore” materiale, perché l’invasore stava dentro di noi e ce ne eravamo liberati. Così, qualche giorno dopo sono partito e sono andato a vedere dal “vivo”. Cercavo il muro, o le sue tracce, ma tutto era stato abbattuto, praticamente scomparso in pochi giorni. Ho provato una delle gioie più grandi della mia vita, sia perché mi sentivo parte della storia, di quella storia che andava nel verso giusto, secondo quanto avevo desiderato e per cui mi ero battuto, facendone una scelta di vita, sia perché ho avuto la fortuna di assistere direttamente al trionfo del principio di “libertà” sulla barbarie, un trionfo epocale, unico, ricco e foriero, pensavamo, di altri prossimi “trionfi” in Europa e non solo.

Che cosa avvenne subito dopo? Tornasti a Berlino? E i trionfi annunciati?
Certo che sono tornato, dopo circa un anno, perché era avvenuta da poco la riunificazione (3 ottobre 1990). Intanto, come vi dicevo, del muro non c’era più traccia, nemmeno per terra dov’era poggiato. Una cosa che mi colpì molto e che andava al di là della bravura teutonica nel fare le cose “per bene”, ma forse c’era dell’altro, come a voler cancellare un passato scomodo e triste, insieme ai ricordi. Ma come vedremo, ciò non è bastato. Non sarebbe bastato proclamare la riunificazione per appianare tutto, come se fosse solo una questione economica, come se fosse sufficiente rifare tutto, rimettere tutto a nuovo. Le persone non sono un “oggetto” economico, e non le puoi cambiare dando loro un vestito nuovo ed una casa ripulita. Infatti, ho fatto un giro all’Est accompagnato da una mia amica, bravissima interprete di tedesco che avevo conosciuto al Cedefop e quindi quale occasione migliore per capire bene cosa stava succedendo alle persone dopo l’ubriacatura iniziale e la riunificazione “formale”. Scoprimmo che, dopo la prima ondata di entusiasmo, quando la gente si era illusa che, all’istante, la Germania dell’Est sarebbe diventata uguale quella dell’Ovest, era finito l’incanto e cominciavano già ad emergere le prime crepe, quelle di un altro muro, quello che ognuno porta dentro di sé; apparivano le prime disillusioni, le prime ammissioni delle difficoltà e, cosa più preoccupante, i primi rimpianti. Infatti i tedeschi dell’Est, abituati ad avere tutti i servizi gratis (anche se scadenti), perché la DDR, terra di confine con l’Occidente, doveva apparire al meglio, essendo la porta dei regimi dell’Est, si accorsero che non tutto era come avevano immaginato.

Ma com’era l’Europa allora?
Tutti ci aspettavamo dei trionfi ‒ anche ad Ovest, dentro la Comunità Economica Europea ‒ che avrebbero riguardato l’Europa che stavamo costruendo dal 1957; e anche a livello internazionale. Quei trionfi che non ci sono stati e che sarebbe ormai ora di cominciare ad ammettere che non ci sono stati, se non vogliamo ripetere gli errori del passato. Ma di questo ne parlerò nel prossimo incontro: vi assicuro che è un discorso molto interessante, altrettanto appassionante, del quale voi giovani, ma non solo, dovete essere coscienti, se non vogliamo perdere la speranza di quei giorni d’incanto.

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