HomeInnovazioneLa P.A. nella quarta rivoluzione industriale. Governare senza rete

La P.A. nella quarta rivoluzione industriale. Governare senza rete

di
Ilaria Tirelli

La Pubblica amministrazione nell’epoca della Rete e, paradossalmente, delle incertezze; il ruolo di chi governa e i suoi strumenti; le modalità in cui è possibile attuare una forma di amministrazione nuova ed efficace: sono queste le parole chiave che costellano il nuovo libro dell’attuale Presidente del Consiglio nazionale di Legautonomie, Bruno Manzi, edito da Armando Editore e nelle librerie da gennaio 2019.

Nella sua brevità – 106 pagine comprese le appendici – l’autore non sacrifica accuratezza e precisione. Governare senza rete. Siamo pronti per la quarta rivoluzione industriale? è il titolo di un’opera che si articola, infatti, in sette brevi capitoli, corredati da un’appendice che completa ed approfondisce alcuni degli argomenti trattati. Potendo vantare molteplici esperienze nell’Amministrazione locale, Manzi offre degli esempi concreti di economia rivolgendosi, soprattutto nell’ultima sezione del libro, a specialisti del settore: formule matematiche e spiegazioni si susseguono per far luce su alcuni degli aspetti centrali trattati nei relativi capitoli. Governare senza rete cerca di essere un libro per tutti, scritto con un linguaggio chiaro e lineare.
Il discorso dell’autore si apre con la definizione del concetto di spazio, un concetto mutato con l’avvento e la trasformazione della Rete; un concetto non più ascrivibile a quell’idea di sicurezza e di luogo protetto che in passato lo caratterizzavano. Quasi in parallelo a questo mutamento, abbiamo assistito – prosegue l’autore – all’affermazione, sempre più forte, della riscoperta dell’identità e delle frontiere nazionali, segno di una paradossale chiusura nell’attuale era di Internet. Tutto questo sembra configurarsi come la risposta dell’individuo ad un senso di inappropriatezza che pervade la società contemporanea: nel secolo dell’immediata accessibilità delle informazioni, dello scambio multiculturale e delle continue migrazioni, si cercano delle risposte nel passato, in un qualcosa di affermato e sicuro, in un qualcosa di identificabile e riconosciuto. In questo nuovo contesto socio-culturale, politico ed economico si trova ad agire una delle figure centrali nella riflessione di Manzi, ossia quella dell’amministratore pubblico, colui che di fronte a questi continui mutamenti è chiamato a chiedersi quale sia lo scopo del proprio operato e quali concrete risposte poter dare. Mutando repentinamente il significato stesso di appartenenza ad una comunità organizzata, la domanda che l’amministratore pubblico deve porsi è: come si può incrementare l’efficacia del proprio agire con gli strumenti di cui già si dispone? Oppure, come può un’amministrazione utilizzare le norme esistenti in modo nuovo, sperimentando forme di governo originali ed efficaci? Secondo l’autore, la scelta che chi governa deve compiere è proprio questa, ossia amministrare l’esistente, oppure improntare delle scelte di governo volte ad un’evoluzione futura. Per ammissione dello stesso Manzi, il libro si propone come uno strumento utile per inquadrare l’azione amministrativa, le competenze del governare e le modalità utili per innovare l’esistente, al fine di costituire una sovrastruttura sociale, ma soprattutto politica, che sia migliore nel suo essere e che migliori, di conseguenza, la qualità del vivere collettivo. I destinatari dell’opera, com’è ovvio, sono tutti quei cittadini e quegli amministratori che hanno a cuore il governo della propria comunità, e che credono di poter contribuire al miglioramento di quest’ultima.

Il titolo stesso – Governare senza rete – rispecchia quella che è, a detta di Manzi, un’esigenza attuale, ovvero quella di governare senza certezze, in maniera da mettere l’interesse del singolo al centro di un nuovo apparato di governance, valorizzando tale interesse, e ponendolo alla base dell’intero sistema delle relazioni sociali. In questo contesto, Governare senza rete significa proporre delle soluzioni concrete affinché il modo di produzione pubblico e quello privato non siano più in contrapposizione, ma riescano a dialogare e collaborare per creare circoli virtuosi di progresso. Allo stesso tempo, la Rete di cui l’autore riconosce l’importanza è quella del web, potente strumento nelle mani dei governanti, non solo per raccogliere dati, ma anche per comprendere le aspettative dei governati.
Proseguendo nella sua riflessione, uno dei capitoli centrali del libro – Rifiuti: non un costo ma un ricavo – è dedicato ad un problema quanto mai attuale come quello dei rifiuti. Lo smaltimento dei rifiuti costituisce una vera e propria sfida del nostro tempo, essendo una fra le questioni più difficili da risolvere nelle aree urbane. Come sottolinea l’autore, un’Amministrazione comunale e i suoi stessi abitanti possono essere considerati più o meno efficienti in relazione al modo in cui gestiscono i propri rifiuti. Tuttavia, spesso, il tema passa in secondo piano, sovrastato dalle altre falle dell’Amministrazione pubblica. La soluzione proposta da Manzi è quella di considerare i rifiuti come una risorsa, riconoscendo loro, quindi, un valore e un prezzo a carico della collettività. L’acquisizione e lo smaltimento devono rispettare condizioni igieniche, devono ridurre l’impatto ambientale e rientrare, in questo modo, all’interno di un sistema sostenibile ed economicamente vantaggioso. La principale debolezza di un nuovo progetto di gestione e smaltimento, come chiarisce l’autore nel corso del capitolo, potrebbe essere costituita dai costi, poiché cittadini e imprese non pensano di doversi far carico delle spese dell’intero ciclo. Si aggiunge a questo un ulteriore elemento di debolezza, costituito dalla scarsa consapevolezza dei singoli e delle famiglie, i quali dovrebbero essere sensibilizzati in quanto protagonisti attivi del processo. Ancora oggi, invece, non è inusuale vedere rifiuti abbandonati per le strade, nei corsi d’acqua, in mare, smaltiti, dunque, illegalmente da cittadini insensibili e impuniti. Combattere lo smaltimento incontrollato, anche attraverso l’applicazione di sistemi tariffari puntuali e discriminanti, sembra essere il primo passo necessario per istituire un sistema nuovo ed efficiente.
Altro tema dibattuto e particolarmente interessante, è la relazione tra tra Felicità individuale e tempo estraniato, che dà il titolo ad un altro capitolo. Come ricorda lo stesso autore, citando il filosofo greco Aristotele, il concetto stesso di felicità può essere definito solo in relazione a quella che è una dimensione temporale. Per ogni essere vivente è necessario riempire il proprio tempo di vita con attività in grado di portare al soddisfacimento dei propri bisogni e delle proprie ambizioni. Più avanti si spiega come la soddisfazione dei propri bisogni possa avvenire in maniera immediata – abbiamo sonno e ci si addormenta – o in maniera indiretta – si impara qualcosa e ci si investe del tempo. Un bene, un oggetto, possiede quindi in sé un tempo accumulato, che corrisponde al tempo lavoro necessario per la sua produzione. L’autore sostiene che «per cercare di raggiungere la felicità egli [l’uomo] ha bisogno di ridurre sempre di più la quantità di tempo necessaria ad acquisire le utilità ritenute essenziali per vivere ampliando, a sua volta, la parte da dedicare alla soddisfazione dei bisogni collegati alla qualità della vita»1. Collegandosi a tale considerazione, l’ultimo capitolo offre una panoramica su quello che è il mondo del mercato e della produzione anche in relazione alle Istituzioni. Assicurare ad ogni cittadino l’accesso a quelli che sono beni costituzionali in modo equo significa permettere a chiunque di raggiungere quella felicità individuale di cui si parlava. Manzi sostiene un modello di governance diverso da quello classico, nel quale Città, Comuni e Province devono garantire quelle che sono politiche di redistribuzione a favore dei singoli.
Il finale è assolutamente aperto. È una sfida quella che Manzi lancia all’intera classe politica, sia essa nazionale o locale, chiudendo il suo libro, ad un ammodernamento delle nostre Istituzioni, in grado di rispondere ai cambiamenti epocali in atto. E se la conclusione non si può dire certamente ottimistica, la richiesta di navigare verso altri porti e in mare aperto mostra un autore che ancora crede in un possibile e futuro cambiamento.

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