Il tentativo del governo nazionale di utilizzare anche i fondi comunitari delle regioni del Sud, ossia le risorse destinate dall’Unione europea per progetti strutturali e non ancora impiegate, è da stigmatizzare fortemente.
E questo nella consapevolezza della estrema gravità della situazione che, sotto il profilo sanitario ed economico-produttivo, si è venuta a creare e del dovere della massima solidarietà tra i territori. La necessità di reperire liquidità a sostegno dell’occupazione, delle categorie produttive, delle imprese, delle famiglie e del sistema Paese, non è in discussione, ma è assurdo e illogico privare il Meridione dell’unica opportunità di cui dispone sotto il profilo finanziario per risollevarsi da una condizione generale di grave handicap che verrà ulteriormente amplificata dal dramma che oggi viviamo con la pandemia da Coronavirus.
Positivo il giudizio sulla deroga che la UE ha concesso all’Italia sul patto di stabilità, ma la ricognizione che viene sollecitata per una rimodulazione dei fondi strutturali regionali al fine di sovvenzionare la crisi odierna significa condannare il Mezzogiorno e in modo inevitabile al sottosviluppo, alla marginalità e alla povertà per i prossimi decenni. Il Sud del Paese subisce già la pesantezza di squilibri inaccettabili sul fronte degli investimenti in infrastrutture materiali e immateriali, e nel sistema dei trasporti e dei collegamenti.
Banche e sistema fiscale rivestono, in questo contesto, un ruolo chiave: servono provvedimenti adeguati su tasse e agevolazioni, risposte in tempi brevi e tangibili sul credito al sistema imprenditoriale e soluzioni che diano ristoro alle categorie più esposte come quella delle partite Iva, dei liberi professionisti, degli imprenditori, del commercio, della piccola e media impresa, del terziario. Sono quei soggetti che, con il blocco economico, dovranno sopportare i maggiori oneri, in special modo se operano al Sud.
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