Tutti concordano nel ritenere ormai consolidato un nuovo atteggiamento della criminalità organizzata.
Le diverse forme di manifestazione delle mafie, invero, tentano sempre più la strada dell’infiltrazione nell’economia lecita, attraverso fenomeni di riciclaggio; nel contempo, le stesse mafie sovente guardano alla Pubblica amministrazione, soprattutto negli Enti locali, come una porta d’ingresso per la gestione dei fondi della collettività onesta e per l’infiltrazione nello Stato dalle sue fondamenta decentrate, attraverso la scalata alla politica, anche mediante candidati intranei ai gruppi criminali o a questi vicini in varia guisa.
Più in generale, voto e corruzione sono spesso intrecciati, poiché la devianza dell’azione amministrativa diventa, ahimè, merce di scambio per il consenso elettorale che si fonda non già su valori ma su interessi specifici.
L’articolo 48 della Costituzione, che configura il diritto di voto sotto tutti i profili, statuisce al secondo comma: «Il voto è personale ed eguale, libero e segreto».
È noto da decenni che nei Comuni, piccoli e grandi, durante le campagne elettorali, tutti i candidati si attivano con i propri mezzi personali e di partito a sollecitare, suggerire, convincere gli elettori ad esprimere voti in loro favore, anche in cambio di riconoscimenti vari, leciti e illeciti.
Questo sistema è più radicato nei piccoli Comuni, ove vi è una personale conoscenza tra candidati ed elettori; ciò consente ai candidati – che hanno personalmente avanzato richieste di voto, in cambio a volte di vantaggi promessi agli elettori – di poter verificare all’esito dello spoglio, in ogni sezione elettorale, l’aver ottenuto o meno il voto richiesto.
Tale particolare fenomeno, ben conosciuto ma mai analizzato, condiziona l’elettore.
A parte il voto di scambio – che deriva da una promessa, da una intesa o persino da un giuramento tra candidati ed elettori, che concordemente hanno stipulato un vero patto – l’invito del candidato ad essere votato potrà essere facilmente verificato durante lo spoglio, fino ad accertare l’adesione o meno all’invito stesso.
Una mera adesione all’invito manifestata dall’elettore per pura cortesia, poi contraddetta all’interno dell’urna, già condiziona comunque l’elettore.
Occorre, pertanto, concentrare l’attenzione sulla criticità tentando di trovare un rimedio efficace di natura ordinamentale.
Epperò, in considerazione del numero degli Enti locali sciolti per infiltrazioni mafiose, ex D.lgs. 18.8.2000 n.267 Testo Unico delle leggi sull’ordinamento degli Enti locali, dal momento in cui è entrata in vigore nel nostro ordinamento la relativa disciplina e dal numero delle inchieste sulla corruzione elettorale e sul voto di scambio politico-mafioso, ormai proliferate senza alcuna distinzione territoriale o politico-partitica, probabilmente la scelta strategica di natura repressiva, o prevalentemente tale, si è dimostrata fallace.
Peraltro, il nostro ordinamento già annovera una serie di regole adottate sul piano dell’accortezza sulle modalità specifiche di espressione del diritto di voto, quasi dettate da una sfiducia di fondo sulla genuinità dello stesso: si pensi, a mero titolo di esempio, al divieto di introdurre apparecchi telefonici cellulari nell’urna sancito dalla legge 30.5.2008, n.96. Unica vera ratio di una simile disposizione è quella volta a scongiurare il pericolo della possibilità di controllare l’avvenuta assegnazione di preferenze elettorali.
Alla stessa conclusione deve pervenirsi con riferimento alla ratio delle disposizioni che impongono ai candidati di tenersi lontani dai seggi durante le operazioni di voto.
Ma anche simili accorgimenti, a ben vedere, si mostrano del tutto insufficienti o quantomeno inefficaci ad evitare fenomeni distorsivi.
Ciò posto, si può passare alla proposta concreta, che chi scrive sostiene da anni, per un intervento riformatore, minimo quanto efficace, per rendere effettivamente libero e segreto il voto e per impedire qualsivoglia forma di controllo anche ex post da parte di condotte o comportamenti di pressione.
Il modesto accorgimento di seguito illustrato metterebbe in condizione fin da subito il sistema, di non consentire qualsivoglia modalità ricostruttiva più o meno certa dell’espressione e manifestazione del diritto di voto in favore di questo o quel candidato da parte di ciascun elettore, riportando le competizioni elettorali amministrative sul piano della correttezza e soprattutto della libertà e della segretezza, privando i gruppi di pressione di un altrimenti formidabile strumento di induzione.
Non può, difatti, non evidenziarsi come la disponibilità delle liste elettorali seggio per seggio e sezione per sezione, unita al numero sempre più alto di candidati alle elezioni per gli Enti locali, con lo spoglio delle schede decentrato, consenta una più o meno certa ricostruzione del voto nei suoi flussi e nella sua provenienza, grazie a meri dati numerici ed allo sviluppo delle liste e delle preferenze accordate.
Il rimedio immediato e risolutivo sarebbe quello di non effettuare lo spoglio delle schede votate sezione per sezione, concentrando il conteggio delle schede in una sede centrale esterna, che non consenta ai candidati di poter nemmeno immaginare l’espressione di un voto diverso da quello richiesto e promesso.
La necessaria modifica normativa, testé indicata, non sembra di difficile attuazione, atteso che in altre elezioni, che si svolgono in più sedi locali, lo spoglio delle schede viene svolto in sedi centrali, diverse dal luogo di votazione.
Le schede delle singole sezioni vengono poi unite insieme a quelle delle altre sezioni, per essere successivamente scrutinate.
Soltanto così il voto torna ad essere libero e segreto.
La prassi turpe, quanto diffusa, della richiesta e della sollecitazione del voto, sull’ovvio presupposto della sua controllabilità ex post, ne risentirebbe in modo decisivo.
Il voto tornerebbe, di conseguenza, ad essere espresso in modo totalmente conforme al dettato costituzionale.
Dunque, non più mercimonio, non più compravendita di favori, non più promessa di consenso, né conta dei voti; il tutto mediante una minima riforma praticabile illic et immediate.
Né varrebbe come eventuale argumentum a contrario sostenere la necessità dello spoglio diffuso per consentire la verifica dell’espressione del voto da parte dei rappresentanti di lista.
L’unica problematica sarebbe di carattere organizzativo, dovendosi predisporre risorse necessarie allo spoglio centralizzato, al solo fine di non aggravare i tempi del procedimento post-voto.
Ma, a fronte dell’inestimabile valore costituzionale della libertà e della segretezza del voto che è fondamento della democrazia rappresentativa, ciò non pare ostacolo serio ed insuperabile.