Secondo i dati raccolti nel DESI, il Digital Economy and Society Index[1] a non avere ancora competenze digitali di base in Italia sono circa 26 milioni di persone. Si tratta del 54% della popolazione tra i 16 e i 74 anni, contro una media europea del 46%. Non solo, sempre secondo l’Indice (DESI 2022), nonostante i dati indichino che l’Italia sia tra i paesi che hanno compiuto i maggiori progressi nell’ultimo quinquennio, il nostro Paese si colloca ancora nella parte bassa della classifica: al 18° posto su 27 Stati membri dell’Ue.
Ciò è dovuto in particolare al fatto che oltre la metà degli italiani non ha competenze digitali di base; la percentuale degli specialisti digitali nella forza lavoro italiana è inferiore alla media dell’Ue; la connettività è migliorata negli ultimi anni in termini di diffusione dei servizi a banda larga, ma permangono alcune carenze per quanto riguarda la copertura delle reti ad altissima capacità. Come elemento positivo, d’altra parte, si registra che il 60% delle nostre Pmi ha raggiunto almeno un livello base di intensità digitale; l’utilizzo di servizi cloud, in particolare, ha registrato una considerevole crescita.
Inoltre, sebbene solo il 40 % degli utenti di Internet utilizzi servizi pubblici digitali (rispetto alla media Ue del 65 %), tale indicatore ha registrato una crescita considerevole negli ultimi due anni (+10%).
Ad ogni modo, l’Italia si sta muovendo nella giusta direzione impegnando importanti risorse: in particolare, con il Fondo per la Repubblica Digitale, nato nell’ambito degli obiettivi di digitalizzazione previsti dal Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR) e del Fondo Nazionale Complementare (FNC), e proseguendo nel solco dell’esperienza avviata con il Fondo per il contrasto alla povertà educativa.
Il 54% della popolazione italiana tra i 16 e i 74 anni non possiede competenze digitali di base
La mancanza di conoscenza del digitale da parte dei cittadini resta comunque un aspetto fondamentale e si intreccia strettamente con le questioni legate all’educazione digitale. In questo senso, è interessante leggere i risultati del Media Literacy Index 2022 – che raccoglie alcuni indicatori per stabilire il livello di alfabetizzazione mediatica – di recente pubblicazione. Si tratta di una serie di indicatori prodotti nell’ambito della European Policies Initiative (EuPI) dell’Open Society Institute – Sofia. L’indice valuta il potenziale di resilienza alle fake news in 41 paesi europei. Come nelle precedenti rilevazioni, la Finlandia, con 76 punti, si colloca al primo posto nella classifica 2022 dell’Indice, subito dopo si collocano la Norvegia, la Danimarca e l’Estonia, seguite da Svezia e Irlanda, con punteggi quasi identici. Questi paesi hanno maggiore capacità di resistenza all’impatto negativo della veicolazione di notizie false e campagne di disinformazione. I paesi in fondo alla classifica sono: la Georgia (41°), la Macedonia del Nord (40°), il Kosovo (39°), la Bosnia ed Erzegovina (38°), l’Albania (37°). Questi paesi hanno una capacità minore di respingere gli effetti delle fake news, principalmente a causa degli indicatori legati alla libertà dei media, all’istruzione e alla fiducia delle persone nei confronti degli stessi media. Il nostro Paese si colloca invece in una posizione mediana all’interno della classifica (23° su 41 paesi) con un punteggio pari a 50, nel 3° cluster definito “di transizione” cioè rappresentativo di quei paesi considerati a rischio di scivolare nella parte bassa della classifica.
Resilienza alle fake news, Finlandia al primo posto, Italia a metà classifica a rischio “transizione”
L’Indice mostra dunque una particolare difficoltà che si concentra nei paesi nel Sud-Est e nell’Est dell’Europa, potenzialmente più vulnerabili alle notizie false in quanto mancano di diversi aspetti monitorati dall’Indice. I risultati mettono inoltre in evidenza come le società più vulnerabili all’impatto delle fake news siano allo stesso tempo le meno preoccupate per la diffusione e l’impatto della disinformazione che viene veicolata presso i cittadini. Inoltre, il confronto dei risultati dell’Indice con altri studi simili mette fa emergere che i paesi dell’Est Europa sono quelli in cui c’è un alto livello di esposizione alle fake news ma allo stesso modo bassi livelli di preoccupazione per la diffusione di tali notizie. Questo fenomeno è ancora più preoccupante se si pensa agli eventi degli ultimi anni: la pandemia di Covid-19 ha portato con sè una “infodemia” alla quale si sono recentemente aggiunte le “infowars” che hanno viaggiato in maniera parallela agli accadimenti della guerra in Ucraina, moltiplicando sia la disinformazione sia le minacce che ne derivano. Non a caso, secondo il report annuale di Talkwalker, “Social Media Trends 2023”, il 2023 sarà caratterizzato da un rapido sviluppo della tecnologia per la produzione di fake news.
Secondo Talkwalker il 2023 sarà caratterizzato dallo sviluppo di tecnologie per la produzione di fake news
Si parla quindi non solo di conoscenza digitale ma anche e soprattutto di alfabetizzazione mediatica. Allenati a riconoscere le fake news: le nuove generazioni avranno bisogno di imparare a discernere, nel mare magnum delle informazioni veicolate principalmente attraverso la Rete ma anche largamente con l’utilizzo dei Social e delle reti informali, ciò che è vero, reale, e ciò che gli somiglia, ma non lo è. Fruire delle informazioni ma saperle incrociare rintracciando le fonti per poterle poi verificare è oggi il nuovo parametro del “potere” e della conoscenza. I sistemi di Big Data rendono sempre più complesso il mondo in cui si naviga, offrono opportunità ma anche immettono nel circuito un flusso di conoscenza talmente immenso che la sfida per il futuro sarà, per una platea più ampia possibile, avere la capacità di sapere “leggere” le informazioni e saperle governarle.
Competenze digitali, è divenuto improrogabile imparare a leggere e scrivere i media
Come fare per non essere sopraffatti? Questo è il grande dilemma di Internet. L’educazione ai media e la formazione di educatori è in parte una risposta a questa domanda. Oggi ci troviamo ancora ad un punto zero, agli albori della consapevolezza di che cosa possa rappresentare questo orizzonte e quanto sia importante per i singoli paesi intraprendere la strada di una formazione che metta al centro il corretto uso delle tecnologie e, insieme, promuova percorsi di alta specializzazione rivolti al più ampio numero di utenti possibili. Come sottolineato già a partire dal 2008, nel volume Media Literacy in Europa pubblicato dall’Eurispes insieme all’Eavi – European Association for Viewers Interests aprendo un progetto tutt’ora operativo sull’educazione ai media: «l’avvento di una nuova era mediatica ha generato un contesto inedito che permette potenziali e straordinari meccanismi di comunicazione e di partecipazione alla vita pubblica e democratica. Ma oggi, per poter esercitare concretamente una cittadinanza piena e attiva, è indispensabile acquisire nuove competenze e nuovi saperi. È necessario che i cittadini sviluppino capacità avanzate di pensiero critico per riuscire a decifrare i messaggi trasmessi dai media, utilizzare l’informazione relativa e divenire essi stessi produttori di contenuti mediali. È divenuto improrogabile imparare a leggere e scrivere i media».
[1] La Commissione Europea misura i progressi dei Paesi europei in termini di digitalizzazione dell’economia e della società.