Sono passati pochi mesi da quando il mondo ha sentito per la prima volta pronunciare il nome del virus Covid-19, ma anche un così breve lasso di tempo è bastato per ribaltare completamente le nostre abitudini di vita e i paradigmi economici costruiti nell’ultimo decennio, sui quali si stava consolidando la vita di molte aziende.
Con la necessità di praticare un costante e attento distanziamento sociale, la sharing economy – che ha caratterizzato lo scenario di questi ultimi anni e che ha portato alla nascita di colossi come Uber e Airbnb – sta lasciando lo spazio ad una nuova “economia casalinga”, la cosiddetta “stay-at-home economy”, che consente alle persone di limitare gli spostamenti e la condivisione, grazie al Web e alla tecnologia.
Le preferenze dei consumatori si sono, necessariamente, spostate verso l’e-commerce, l’intrattenimento, l’istruzione e il lavoro on line.
Sulla scena economica si stanno così imponendo categorie di aziende che eccellono nei servizi on line, o che hanno trasformato in on line servizi tipicamente off line. Ne è un esempio la consegna di cibo a domicilio, praticata da società come Just Eat e dalla stessa Amazon che, ampliando il proprio business sul filone alimentare, ha assunto oltre 175.000 nuove persone negli Stati Uniti durante il periodo pandemico per rispondere alla crescente richiesta di consegne (https://blog.aboutamazon.com/company-news/amazon-hiring-for-additional-75-000-jobs).
Servizi come Zoom, Microsoft Teams, Facebook Messenger, Skype hanno registrato un boom di utenti ed iscritti, ed hanno permesso alle persone di proseguire lavoro e didattica a distanza: solo a titolo esemplificativo Zoom è passato da 10 milioni di utenti a dicembre 2019 a 300 milioni a Marzo 2020 (https://www.businessofapps.com/data/zoom-statistics/).
A seguito della chiusura di parchi a tema, teatri e sale cinematografiche le piattaforme di video on demand hanno visto schizzare il proprio business – tra queste Netflix ha registrato un incremento di circa 16 milioni di abbonati nel primo trimestre 2020 raddoppiando le più rosee stime degli analisti (https://www.finanzaoperativa.com/netflix-trimestrale-positiva-e-azioni-in-crescita-in-borsa-anche-grazie-al-coronavirus/); parallelamente, è aumentato in modo impressionante il tempo passato sui social network (https://datareportal.com/reports/digital-2020-april-global-statshot).
Il distanziamento sociale e il lockdown hanno, inevitabilmente, spinto all’uso dei pagamenti digitali e – secondo un recente studio di BCG – a livello globale il 24% dei clienti prevede di utilizzare meno le filiali o di smettere del tutto di visitarle anche in futuro (https://www.economyup.it/fintech/fase-2-nelle-banche-1-cliente-su-4-usera-meno-le-filiali-spinta-verso-online-e-mobile-banking/).
Ciò ha fatto emergere da una parte l’importanza degli investimenti già effettuati dalle banche per mettere a disposizione della clientela canali di “remote banking” e di utilizzo di smart device per l’operatività bancaria, dall’altra l’esistenza di infrastrutture digitali evolute, come quella di CBI S.c.p.a., che stanno garantendo la continuità operativa di alcune imprese e Pubblica amministrazione e che da anni facilitano la creazione di nuove opportunità e servizi di pagamento digitali.
Sebbene vi sia ancora un ampio grado di incertezza riguardo all’impatto a lungo termine della pandemia da Coronavirus, possiamo affermare che la “stay-at-home economy” ha evidenziato notevoli impatti positivi anche sulla sostenibilità ambientale e sulla digitalizzazione e modernizzazione di aziende e Pubblica amministrazione. Sarà necessario, tuttavia, colmare il gap infrastrutturale che esiste nel nostro Paese in diverse aree geografiche (non ancora raggiunte da Internet ad alta velocità), nonché il gap culturale che mantiene elevati gli impatti del digital divide in varie fasce di popolazione, considerando anche l’elevata età media del nostro Paese.
Particolarmente coinvolte dal quadro economico emergente sembrano essere le donne che potrebbero, tuttavia, rappresentare il grimaldello del possibile rilancio economico post-crisi – se verranno messe in campo adeguate misure per correggere l’effetto delle disuguaglianze di genere che nel 2020 hanno fatto posizionare l’Italia al 76esimo posto su 153 paesi, secondo i dati del Global Gender Gap Report 2020 (http://www3.weforum.org/docs/WEF_GGGR_2020.pdf).
Secondo l’OCSE le donne sono in prima linea nella gestione della crisi sanitaria, con il 50% dei medici, i 2/3 della forza lavoro nel settore sanitario e circa l’80-90% di quella impiegata nell’assistenza alla persona, in particolare agli anziani, concentrandosi, inoltre, nei settori più colpiti dalla crisi economica, come commercio al dettaglio, turismo e ristorazione (Intervento Stefano Scarpetta, direttore per l’impiego, il lavoro e gli affari sociali dell’Ocse al webinar di Fuori Quota del 19 aprile 2020: Covid19: Donne protagoniste del rilancio)
Oltre a ciò, è necessario evidenziare che il lockdown ha ampliato le ore di lavoro a casa – includendo anche l’impegno per i figli con asili chiusi e didattica a distanza, che ha impattato fortemente sulla gestione del tempo in famiglia – e, anche prima dell’emergenza pandemica, l’OCSE aveva calcolato che le donne svolgevano, ogni giorno, due ore di lavoro non retribuito (che in Italia salivano a tre). Senza considerare che la convivenza domestica ha esacerbato le situazioni di violenza domestica.
È chiaro che se vogliamo cogliere l’occasione per trasformare questa pausa dovuta alla crisi pandemica in opportunità di crescita, non possiamo proseguire su questa strada, ma dobbiamo perseguire fermamente quella tracciata dall’ONU nella definizione del quinto obiettivo dell’Agenda 2030: «Raggiungere l’uguaglianza di genere e l’autodeterminazione di tutte le donne e ragazze».
Del resto molteplici studi hanno evidenziato che il riequilibro della partecipazione femminile nel modo del lavoro avrebbe notevoli benefici sul Pil mondiale: solo per citarne uno, lo scorso anno, il Fondo Monetario Internazionale ha stimato che l’inserimento delle donne nelle posizioni lavorative strategiche aumenterebbe l’economia globale del 35% (https://www.theguardian.com/world/2019/mar/01/more-women-in-the-workplace-could-boost-economy-by-35-says-christine-lagarde). Ciò non solo per l’emersione delle competenze e del lavoro femminile sommerso, ma anche per un circolo virtuoso che moltiplica i posti di lavoro nella richiesta di servizi.
Nell’elaborazione degli interventi di rilancio sarà, pertanto, necessario creare un moderno quadro regolamentare che valuti a priori l’impatto di genere, al fine di attivare nuovi comportamenti culturali e sociali.
Considerando le prospettive di perdita di Pil derivanti dalla pandemia – aggiornate costantemente, ma con numeri sempre maggiori nella contrazione del Pil mondiale man mano che perdura la crisi pandemica – la gender equality è certamente uno dei princìpi di equità e sostenibilità da perseguire per creare virtuosismi di crescita e una più rapida ripresa post-crisi, fondamentale per tutti noi.
Liliana Fratini Passi è Direttore Generale C.B.I. S.c.p.a. e Vice Presidente di UN/Cefact, Centro delle Nazioni Unite per la facilitazione degli scambi commerciali e il business elettronico