Di fronte alla confusione e al disagio che l’adolescenza fisiologicamente porta con sé, un ragazzo o una ragazza ricorrono spesso all’alcol come ad un “anestetizzante”, per far fronte alle sensazioni tipiche dell’età che li inondano e li atterriscono.
Talvolta invece potrebbe trattarsi di uno strumento di socializzazione tout court; non si consuma alcol per “giovarsi” dei suoi effetti, tantomeno perché piaccia il suo gusto ma solo relativamente al fatto che il bere insieme sia un comportamento socialmente più accettato dal gruppo.
Altre volte i giovani ricorrono all’alcol come strumento usato proprio al fine di modificare il proprio comportamento: e questo per due ulteriori ragioni.
Per motivi di socializzazione (l’alcol disinibisce e “accomuna”, spersonalizzando e dunque omologando); per motivi legati al profondo malessere che un adolescente provi in conseguenza di eventi che lo abbiano traumatizzato.
Tra i giovani italiani si va diffondendo sempre di più la moda del bere in maniera compulsiva, con l’apposito intento di ubriacarsi (binge drinking): l’effetto ricercato è quello dello stordimento, soprattutto in contesti di socialità e ricreativi. I ragazzi arrivano a consumare quantità di alcool nettamente superiori alle loro capacità fisiologiche di assorbimento (almeno 5 o 6 bicchieri di bevande alcoliche ingeriti in modo consecutivo e rapidamente). Questo fenomeno è favorito in particolar modo, dai cosiddetti happy hours, che – abbattendo i prezzi delle bevande alcoliche − vanno incontro alle contenute disponibilità economiche dei giovani.
Molti ragazzi hanno, inoltre, la tendenza a bere nel corso della serata diversi tipi di alcolici, spaziando dalla birra, ai breezer, ai superalcoolici e ai cocktail allargando così le fila della categoria dei cosiddetti bevitori policonsumatori.
Trovano ampia diffusione negli ultimi anni, soprattutto tra i giovanissimi, anche i cosiddetti alcolpops, bevande dal gusto dolce, apparentemente analcoliche, confezionate in bottiglie dal design e dai colori accattivanti, che hanno – in realtà – una gradazione compresa tra i 4 e i 7 gradi (all’incirca la stessa gradazione della birra), nella cui assunzione, proprio in virtù del loro aspetto e del loro sapore “innocui”, è facile eccedere. Altra moda di importazione che si sta diffondendo in Italia è quella del botellòn, ossia il vino in damigiana sfuso e a basso costo, addizionato con superalcoolici, che viene consumato da giovani riuniti in gruppo nelle piazze o in altri luoghi pubblici e che garantisce effetti di “sballo alcolico”.
Ancora, una nuova moda è quella delle “dosi” di alcol, drink in bustina in monoporzioni che contengono vodka, gin, rum, tequila. Le bustine sono comode perché possono essere bevute ovunque e costano solo un euro e mezzo. In questo modo l’effetto è quello di una “botta” immediata, non si diluisce più il quantitativo di alcol nel corso della serata: in un rituale simile (nella ricerca dell’effetto) a quello di una “sniffata di coca” o dell’assunzione di una pasticca, si possono mescolare altre bevande che si “nascondono” bene. Questi prodotti permettono anche di aggirare il divieto di vendere bottiglie di alcolici dopo le 21 e di servire cocktail, nelle discoteche, dopo le 2 di notte.
Il consumo di alcol, quando da occasionale diventa abituale, ha l’altissima probabilità di sviluppare il demone insaziabile della dipendenza.
È stato scientificamente dimostrato che quanto prima un individuo inizia a bere, tanto più rischia di sviluppare patologie connesse al danno da uso di alcol negli anni successivi; i giovani che iniziano a bere prima dei 15 anni corrono un rischio quattro volte maggiore di diventare alcolizzati rispetto a quelli che iniziano a 21 anni.
Negli adolescenti, infatti, non sono ancora presenti gli enzimi utili a digerire l’alcol. Nelle ragazze questa condizione è peggiorata dal fatto che la dotazione enzimatica nel loro caso è la metà di quella a disposizione dei coetanei maschi e che la loro massa corporea e di liquidi rende più difficile diluire l’alcol.
Nel nostro Paese il 64% dei giovani tra i 12 e i 18 anni dichiara di bere alcolici. Per il 10,6% è un’abitudine, il 50,9% beve “qualche volta”. Sono in pochi a dichiarare di bere “spesso”.
La maggior parte si è approcciato la prima volta all’alcol tra gli 11 e i 14 anni.
Più della metà dei 12-15enni beve alcolici durante le feste (59,7%), il 18,8% quando è in compagnia degli amici. Con l’aumentare dell’età si riduce il consumo in occasioni particolari come le feste (43,4%) ed è invece in crescita l’uso di alcolici in compagni degli amici (28,6%).
Questi dati non stupiscono, né, di fatto, possono essere considerati particolarmente critici. L’alcol fa parte delle culture come il fumo e qualsiasi altro tipo di sostanza che, se abusata – e che sia legale o meno − produce effetti devastanti.
Una demonizzazione dell’uso dell’alcol tout court o una politica proibizionista poco mirata non farebbero altro che esasperare il fenomeno creando ulteriori ulcere al sistema. Senza risolvere.
Fondamentale la fondazione educativa della famiglia (inutile dirlo), e fondamentale la buona organizzazione di strutture dedicate al fenomeno quando nel giovane sia diventato patologia (con un aiuto sia medico sia psicologico).
Accanto a queste soluzioni fondamentali potrebbe accompagnarsi una politica che, senza troppi proclami ufficiali ma con un intervento capillare e discreto, potrebbe fare passare un messaggio in realtà molto caro ai giovani: il discorso sul libero arbitrio e sulla libertà.