I cento anni di un genio: Rodari
È stato uno di quegli anniversari di cui pochi si sono dimenticati. Una di quelle feste in cui l’effetto sorpresa è impossibile, perché tutti conoscono l’identità della persona da festeggiare e tutti vorrebbero partecipare al party in suo onore. E questo anche se l’ospite d’onore dovesse venire festeggiato in contumacia perché, per così dire, irraggiungibile. Che cosa avrebbe pensato però Gianni Rodari delle tante attenzioni che ha ricevuto in occasione della recente ricorrenza del centenario della nascita? Avrebbe gradito così tanti riguardi? Li avrebbe considerati tutti autentici e realmente sentiti? Uomo schivo e poco incline ai convenevoli, come non se ne sarebbe dato vanto, così, sicuramente, non avrebbe attribuito tanto peso alla questione, immaginando magari una di quelle storie in cui tutti festeggiano tutti nel nome di qualcuno che nessuno conosce e che quello stesso “qualcuno” non sa di essere. Insomma, una di quelle storie alla Rodari, propiziate dai casi della vita, dagli infortuni bislacchi del quotidiano, dagli incidenti di percorso che, come le lettere di un’insegna visibile solo per metà, obbligano a prendere direzioni non previste che potrebbero, alla fine, rivelarsi utili e giuste.
Storie fuori dall’ordinario
Questo è l’universo di Gianni Rodari, un mondo in cui la prevedibilità viene bandita nel nome di un ordine che, smontato di continuo, si presta a mille ricomposizioni. Così dimostrano di intenderlo i bambini che di Rodari e delle sue storie sono i principali (ma non gli unici, si badi) destinatari e consumatori. I loro disegni non sono meno eloquenti delle parole del più profondo e sensibile dei critici. Che le storie che inventava potessero diventare anche materiale per illustrazioni e disegni era uno degli obiettivi ai quali, in fin dei conti, l’autore della Grammatica della fantasia puntava. È in questo testo, superbo esempio di come dovrebbe essere un manuale di scrittura creativa, che, a proposito del bambino che inizia a leggere fumetti, Rodari scrive che «gioca con la propria mente, non con la storia». È quel che con altra parola si potrebbe definire l’atto del “fantasticare”, un’operazione che Angelo, dall’alto dei suoi sette anni, ha fatto sua, concentrando in un disegno che abbonda di cielo gli elementi narrativi che colorano una delle tante storie “sbagliate” di Rodari, non a caso intitolata proprio “A sbagliare le storie”, come se l’autore volesse mettere in guardia il lettore distratto e, nello stesso tempo, accendere ancor più la sua curiosità. È una delle Favole al telefono, la cui lettura è affidata a un nonno che racconta a suo modo “Cappuccetto rosso”. Sbaglia di continuo e il nipotino che lo ascolta deve intervenire ripetutamente per restituire ai fatti raccontati il loro “giusto” ordine. Cappuccetto rosso diventa un personaggio multicolore e un po’ camaleontico. Il nonno non ricorda, infatti, se sia davvero rosso e non, invece, verde o nero. Succede anche che il lupo famelico si trasformi in una giraffa e che i sentieri della narrazione si aggroviglino ancora una volta. Per Angelo il culmine della narrazione coincide proprio con l’irruzione della giraffa nel bel mezzo della favola che rende il bosco simile a una savana fatata. La visione di una giraffa, ospite inatteso ma non indesiderato, che gironzola nell’immaginario di Perrault è una di quelle esperienze della mente che si possono raccomandare a chi ama sparigliare i nessi di causalità, come sapeva fare Lewis Carroll nel suo mondo rovesciato e come sovente ha fatto anche Rodari.
I bambini disegnano i racconti Gianni Rodari
Che Rodari sapesse parlare e intendere la lingua dei bambini (lingua fatta di peculiarità celate, bisogni comunicativi e grande forza espressiva) è risaputo e innegabile. Sottratte alla lente d’ingrandimento di interpretazioni troppo intellettualistiche, le storie rodariane si adattano, nei disegni dei bambini, a facili coreografie di colori e forme. Le loro produzioni sono facili, perché sanno di godere della piena licenza di disporne liberamente. Le storie che leggono li interpellano perché si facciano carico di completare la trama là dove l’autore, inguaribile smemorato, ha finto di omettere particolari essenziali. Spesso sono storie senza una fine, e tutti sappiamo quanto ai bambini non vadano a genio i racconti che non hanno un finale. Ma la “dimenticanza” dell’autore non li indispettisce, perché forse già sanno che la memoria dei più grandi diventa con gli anni simile a un hard disk che si satura e usura. È nei loro disegni che trova una parziale conferma, e quindi anche una parziale smentita, la dura profezia di Paola Mastrocola, che, polemizzando con gli epigoni del rodarismo oggi in Italia, ha scritto che «il mondo si sta avviando verso un’era afasica dove il linguaggio non sarà più verbale». I disegni di Nicolò, Christopher, Daniele, Massimiliano, Angelo, Anna e Giulio (fratelli di 6 e 8 anni che si cimentano su La strada che non portava da nessuna parte) fanno capire che sino a quando ci sarà materiale per una Fantastica (così Rodari chiamava il tentativo di costruire una disciplina della creatività), sino a quando le rappresentazioni del mondo conserveranno un margine di imprevedibilità, le parole potranno gorgogliare e farsi immagine e quell’animale simbolico che è, in fin dei conti, l’uomo, potrà non solo rompere, ma anche riempire e colorare il silenzio.
*Grazie a Angelo Bosu, Massimiliano Pruneddu, Anna Brozzu, Christopher Cocco, Daniele Onorato, Giulio Brozzu, Nicolò Casula per i disegni e per averci spiegato Rodani.