Sebastiano Tusa, archeologo, primo Sovrintendente del Mare della Regione Sicilia (struttura che aveva creato con slancio e dedizione massima), docente di Archeologia Subacquea presso l’Università di Marburg (Germania) e di Paleontologia presso la prestigiosa Scuola Suor Orsola Benincasa di Napoli ci ha lasciato, nel modo più imprevedibile e tragico.
Il terribile disastro aereo, avvenuto in Etiopia, “una strage della solidarietà” come ha commentato a caldo il Ministro degli Esteri Moavero Milanesi, lo ha strappato ai suoi familiari insieme a un pezzo dell’Italia bella, quella capace di lavorare per gli altri con generosità. Otto italiani hanno perso la vita, un mosaico di umanità che brillerà per sempre di luce autentica. Tusa era un tassello di valore di questo mosaico, studioso vero, intellettuale militante, generoso, non scindeva mai il patrimonio vastissimo delle sue conoscenze dalla necessità di metterle a frutto per dare un messaggio di civiltà in un’epoca spesso superficiale, sorda, imbarbarita dall’ignoranza. Instancabile nella sua attività di ricercatore, amava stare sul campo. Ha partecipato e diretto campagne di scavi in Italia da Mozia a Pantelleria, eccezionale “crocevia dei mercanti dell’antichità”, Iraq, Pakistan Turchia; il suo nome era, in particolare, legato al ritrovamento del Satiro di Mazara. una delle statue più belle del Mediterraneo.
Terre emerse e fondali, nessuna cesura esisteva per un ricercatore a tutto tondo che con rigore era stato capace di entrare nella vita quotidiana di antichi popoli, luoghi, città, per ricostruire il percorso di sviluppo della storia globale, in tutte le sfaccettature, implicazioni e dinamiche. Ricordo l’ultima intervista realizzata a Roma in cui abbiamo parlato della nostra Mistretta, che aveva dato i natali al padre Vincenzo, anche lui grande archeologo e Accademico dei Lincei, insignito del Premio “Maria Messina” alla carriera. Le due figure avevano in comune la gentilezza dei modi e la genialità del tratto, una genialità che non facevano mai pesare, aiutando l’interlocutore ad esprimersi con maggiore compiutezza.
Ci piace ricordare Sebastiano Tusa come cultore della civiltà mediterranea, immersa come diceva lui in un «mare che corrompe poiché impone a chi lo abita lungo l’articolato suo sviluppo costiero, una grande capacità di adattamento alle diverse morfologie esistenti. Ma corrompe anche perché la facilità delle relazioni attraverso il mare che connette e non divide provoca contaminazioni, altrimenti definibili “corruzioni” in senso positivo, ma talvolta anche negativo. Cosa esprime oggi questo mare è difficile condensarlo in poche parole anche perché si tratta spesso di sensazioni soggettive». Esponeva queste argomentazioni con retorica suadente, sempre attento ai particolari, senza essere mai pedante.
Quando ci siamo incontrati, il primo marzo di due anni fa (la dedica personale di un suo libro mi ha messo sotto gli occhi la data precisa), aveva da poco realizzato con il filosofo Carlo Ruta il saggio: In viaggio tra Mediterraneo e storia, da cui sarebbe scaturita una trilogia, completata dai titoli: Viaggio nella Grecia Antica, Viaggio nell’antica Roma (tutti lavori pubblicati da Edizioni di Storia e Studi sociali, casa editrice attivissima, come poche se ne contano nel nostro Paese). Tutte opere godibili, che lumeggiano i bagliori del mondo classico, culla del pensiero e baricentro universale di civiltà. In un’Europa lacerata da tensioni e divisioni, le riflessioni fatte in quell’occasione assumono gli accenti di un appello accorato e responsabile. La cronaca manda ogni giorno segnali ambivalenti sull’identità e sul destino dell’Europa. «È risaputo – sono sempre sue parole – che una certa cerchia di poteri forti europei e mondiali fortemente legati alle speculazioni finanziarie tendono a ridurre, se non ad annullare, spazi di democrazia in favore delle oligarchie bancarie. È questa l’Europa della finanza che tenta di soverchiare ed annullare l’Europa dei popoli pensata dai padri dell’Unione. Siamo di fronte a un conflitto dall’esito incerto dove gli ideali si confrontano e si scontrano con i poteri finanziari. In questa temperie il Mediterraneo appare debole poiché i paesi rivieraschi hanno economie deboli e sono spesso divisi tra loro non riuscendo ad attuare una politica di cartello forte per contrastare l’Europa dei finanzieri».
La miopia della classe dirigente attuale non avrebbe potuto trovare denuncia più puntuale. «Hanno provato a eliminare la Grecia ma non ci sono riusciti. È chiaro che si trattava di un fatto politico piuttosto che finanziario, poiché il Pil della Grecia è insignificante negli equilibri dell’economia europea. Non bisogna, però, cullarsi sugli allori di questa limitata ma importante vittoria, poiché si riaffaccia adesso il tentativo di svuotare l’Unione inventando il sistema delle “due velocità”». L’impegno insomma doveva continuare, era questo il messaggio di fondo che Tusa desiderava che emergesse dalla discussione, per far sì che le forze politiche che intendono promuovere l’Europa dei popoli e non quella della finanza avrebbero potuto finalmente avere la meglio.
Un risvolto importante inerente la sensibilità di Sebastiano lo si poteva riscontrare nella passione per la politica, vissuta direttamente, senza mediazioni e compromessi. L’ultima tappa di questo percorso, che anche il padre aveva seguito in passato, era stato l’incarico di Assessore ai beni culturali nella sua amata Regione.
La designazione di Palermo come capitale della cultura lo inorgogliva: «Credo sia un importante salto in avanti – spiegava – che premia l’indubbio sviluppo che la città ha avuto negli ultimi anni, su cui però non bisogna cullarsi. Palermo ha ancora tante carenze: dalla disoccupazione alla pulizia, dalla mancanza di affetto dei propri cittadini alla città alla delinquenza, dalla carenza di strutture culturali a tanti suoi pregevoli monumenti ancora in pessime condizioni. La speranza è che anche grazie a questo riconoscimento che si intreccia con quello ottenuto dall’Unesco, la città possa realmente imboccare la strada della crescita e dell’innovazione, istillando nei suoi abitanti l’orgoglio perduto di essere partecipi di un progetto culturale dal valore universale».
Altro aspetto interessante che ha segnato la personalità di Tusa era l’amore per la scoperta. Alberto Angela ha ricordato in una intervista pubblicata dal quotidiano la Repubblica, quando si sono ritrovati insieme a esplorare gli “abissi marini” alla ricerca di tesori, reliquie, testimonianze e reperti archeologici spesso capaci di riscrivere la storia. Lo avevo sollecitato anche su questo tema, per cercare di capire come sta cambiando il significato e la percezione del viaggio, se ancora si può parlare di nostos, quel sentimento di struggente nostalgia che aveva accompagnato le esplorazioni di Ulisse, ammantate dalla nostalgia per la sua Itaca, incastonata nel mito dell’origine. In un’epoca in cui sulla spinta delle tecnologie le categorie dello spazio e del tempo sembrano frantumarsi, come tanti coriandoli impazziti, specchio di una società frammentata, «(…) la dimensione del viaggio – sosteneva – è oggi completamente mutata. Vogliamo velocità e confort e, spesso, desideriamo anche trovare a destinazione le stesse consuetudini del nostro luogo di provenienza. Credo che si debba ritrovare la dimensione del viaggio come attraversamento di mondi diversi, di nuove genti e di nuovi costumi, che è poi il segreto che adotta chi vuole essere realmente innovativo. La bellezza del Mediterraneo si può scoprire anche visitando, non certo da turista frettoloso, i mille borghi costieri che conferiscono unicità a un paesaggio marino unico al mondo».
La bellezza, appunto, altra grande questione per chi si era sempre misurato con l’equilibrio estetico e il rapporto aureo delle forme classiche. Una bellezza messa sotto scacco, spesso sottovalutata e dimenticata contenuta in quel “Santuario del passato e laboratorio geologico del presente”, che era un altro modo per definire l’immensa «pianura liquida rappresentata dall’antico Mare nostrum dei Latini specchio di paesi e comunità ricche di capitale dell’ingegno e straordinariamente evolute. Stiamo parlando di un patrimonio messo a repentaglio dalla superficialità e dall’incuria». L’impegno di Tusa riguardava anche quest’ambito di attività. «Il Mediterraneo è ancora sostanzialmente un mare vivo anche se l’inquinamento risulta essere un problema grave da affrontare con celerità. Tuttavia, ancora vaste aree di questo mare mantengono la loro vivacità biologica e un’eccezionale bellezza paesaggistica. Ma non bisogna abbassare la guardia. Oggi il cemento sta per distruggere le coste. Siamo già al 30 % delle coste cementificate. Tale fenomeno non distrugge soltanto vita e bellezza, ma anche cultura e identità. Scompaiono borghi marinari e coste incontaminate, dominio di pescatori tradizionali per far posto a condomini turistici anonimi e privi di alcuna identità. Se non si pone un freno a tale tendenza in breve non solo scomparirà la bellezza ma anche la cultura di intere fasce dell’ambiente costiero».
La scomparsa dello studioso è coincisa con la data della battaglia delle Egadi, che segnò la fine della prima guerra punica con una grande sconfitta navale per i Cartaginesi, costretti a chiedere la pace a Roma, come narrano le cronache: altra grande questione, questa, di cui lo studioso si era molto occupato, impegnato com’era a svelare i segreti di storia militare e ad approfondire la natura degli equilibri geopolitici del Mediterraneo antico, attraversato dalle grandi potenze dell’epoca, basti pensare alle flotte navali fenicio-puniche, e alla presenza organizzata dell’esercito romano.
Vicende lontane nel tempo, certo, ma ancora in larga parte da capire e descrivere, su cui il nostro avrebbe detto ancora la sua, con equilibrio, discrezione, soprattutto certezza delle fonti. Siamo convinti che la moglie e i figli sapranno raccogliere un grande eredità intellettuale e umana che ha attraversato un orizzonte vasto di interessi, come solo le menti eccelse sanno fare.