L’indagine Eurispes condotta nell’àmbito del Rapporto Italia 2025 offre una lettura del rapporto degli italiani con la tecnologia e con l’avvento dell’Intelligenza Artificiale (IA). Una lettura che va oltre la rilevazione dei comportamenti e cerca di cogliere le modalità attraverso cui la società italiana abita – o rifiuta – il cambiamento tecnologico. In un panorama in cui l’Intelligenza Artificiale penetra con decisione in territori ad alto valore simbolico – l’arte, la scrittura, la cura, l’istruzione – le reazioni dell’opinione pubblica si distribuiscono lungo un arco che va dall’entusiasmo alla cautela, fino al disorientamento. La possibilità che un algoritmo generi contenuti, simuli espressioni umane o prenda decisioni in autonomia apre scenari che non riguardano solo l’efficienza o la precisione, ma il senso culturale ed etico del delegare. In questa distanza tra la velocità dell’innovazione e i tempi più lenti del senso comune, si generano tensioni culturali che non possono essere ignorate. Comprendere come l’IA venga percepita significa interrogarsi non solo sulle opinioni individuali, ma sulle forme collettive di significato attraverso cui una società decide di accogliere – o di rifiutare – il cambiamento. È una sfida che coinvolge Istituzioni, imprese, educatori, cittadini. Ma soprattutto, è una sfida che ci chiama a immaginare che tipo di futuro vogliamo abitare, e con quali presupposti culturali intendiamo costruirlo.
L’approccio all’Intelligenza Artificiale cambia sensibilmente con l’età, segnando un vero e proprio divario generazionale
Emerge, dalle risposte degli italiani, un misto tra curiosità e timore nei confronti di tale tecnologia. Innanzitutto, l’Intelligenza Artificiale non ha ancora raggiunto una diffusione capillare tra la popolazione: la maggioranza degli italiani (circa il 58%) dichiara di non averla mai utilizzata. Ad averla usata almeno una volta è invece complessivamente il 41,8%, anche se, di questi, solo il 15,1% ne fa uso in modo frequente o abituale. L’approccio all’Intelligenza Artificiale cambia sensibilmente con l’età, segnando un vero e proprio divario generazionale. I più giovani, tra i 18 e i 24 anni, risultano i più coinvolti: il 44,3% ne fa uso frequente, mentre solo il 26,2% non l’ha mai provata. Con l’avanzare dell’età, l’utilizzo abituale cala progressivamente, confermando l’esistenza di un divario generazionale netto nell’adozione di questa tecnologia. I livelli di utilizzo più elevati si riscontrano tra gli studenti, con il 52,7% che usa l’IA abitualmente e il 30,5% almeno una volta e qualche volta, e tra chi è in cerca della prima occupazione (l’ha usata almeno una volta il 74,5%). Anche tra chi già lavora il dato dell’utilizzo (frequente o saltuario) è interessante ed arriva complessivamente al 46,8%, stesso discorso per chi è in cerca di nuova occupazione (50,7%).
Il 62,7% degli utenti ha provato l’IA almeno una volta per il semplice desiderio di scoprirne il funzionamento
È la curiosità a rappresentare la leva principale che spinge gli italiani a usare l’Intelligenza Artificiale: il 62,7% degli utenti dichiara di aver provato l’IA almeno una volta per il semplice desiderio di scoprirne il funzionamento. Subito dopo, l’uso per svago o gioco (55,7%), e, successivamente, l’abitudine a farne ricorso in àmbito lavorativo (48,4%) o per lo studio (39,2%). L’indagine Eurispes rivela che, nel complesso, solo una parte limitata della popolazione mostra una visione pienamente positiva dell’IA: il 20,5% la considera un’opportunità, mentre appena il 7,2% la identifica come una soluzione a moltissimi problemi. D’altra parte, il 19,1% auspica una regolamentazione universale, mentre il 32,6% manifesta una visione più critica, tra chi la giudica un problema per il futuro dell’umanità (16,6%) e chi la ritiene una tecnologia pericolosa ma gestibile (16%). Una quota analoga, pari al 20,6%, ammette di non avere ancora un’opinione definita. I giovani tra i 18 e i 24 anni sono i più fiduciosi: il 44,8% considera l’IA un’opportunità e un ulteriore 16,4% la vede addirittura come una possibile soluzione a moltissimi problemi. All’estremo opposto, solo il 10,2% degli over 64 condivide questa fiducia e cresce il timore: il 21,6% percepisce l’IA come un problema per il futuro dell’umanità, il 15,1% la considera pericolosa ma comunque gestibile e il 34,6% dichiara di non sapere come definirla, un’incertezza che supera di gran lunga quella dei più giovani (6,6%). Nelle fasce intermedie, tra i 25 e i 64 anni, le opinioni si distribuiscono in modo più bilanciato, ma con una tendenza chiara: l’entusiasmo diminuisce progressivamente, mentre aumentano cautela e richieste di controllo.
Il maggiore consenso si registra nell’uso di Intelligenza Artificiale per la scrittura di sceneggiature, meno per le arti visive
La richiesta di cautela si riflette anche nelle opinioni sull’impiego dell’IA in àmbiti tradizionalmente considerati “umani”, come la creatività, la scrittura e l’educazione. Le percentuali di accettazione sono generalmente contenute e non superano mai il 40%. Il maggiore consenso si registra per la scrittura di sceneggiature (38%), seguita dalla composizione musicale (29,9%), dalla scrittura di romanzi (28,5%) e dall’uso dell’IA per redigere tesi scolastiche o universitarie (24,7%). Gli àmbiti più controversi sono la produzione di opere d’arte visiva (21,8%) e la creazione di video finti con volti reali (24%), che toccano in modo diretto questioni etiche e identitarie.