La Prefettura (dal 2004 ufficio territoriale del governo) è lo Stato nella sua presenza e prossimità territoriale. Istituzione antica, è l’azione concreta che va dal mantenimento dell’ordine pubblico all’affrontare un’emergenza pubblica. È il centro nodale di decisioni fondamentali, di visione di un territorio, la salvaguardia della democrazia e dei suoi processi. Dallo scioglimento di un Comune, alle interdittive antimafia, il ruolo svolto dai Prefetti è molte volte silente, perché avviene in un continuo lavorio che non ammette sbavature, distrazioni e soprattutto imprecisioni. Raffaele Ruberto è il Prefetto di Caserta, dopo una lunga carriera che lo ha visto anche Prefetto di Reggio Emilia. Appena insediatosi, ci saranno centinaia di arresti per ’Ndrangheta che porteranno al maxi processo Aemilia. Il prefetto Ruberto sarà impegnato affinché venga realizzata l’aula bunker per celebrare uno dei più importanti processi per mafia al Nord. Sempre a Reggio Emilia la sua iniziativa porta allo scioglimento del primo Comune per ’Ndrangheta in Emilia Romagna: Brescello. Altro fronte che lo vede impegnato nella sua carriera, il ruolo di commissario straordinario a Gioia Tauro, uno dei fronti più impegnativi in Calabria.
La Prefettura sembra un luogo distante, per molti versi, eppure è la concreta presenza dello Stato su un territorio. Qual è la quotidianità reale del suo lavoro in Terra di Lavoro, conosciuta anche come Terra dei Fuochi che ha visto la presenza di temibili clan di camorra come I Casalesi, I La Torre di Mondragone, gli Esposito di Sessa Aurunca, i Lubrano di Pignataro Maggiore, solo per citarne alcuni?
Ritengo che il principale compito di un Prefetto consista, al di là delle sue specifiche conseguenze funzionali, in una continua tessitura di relazioni interistituzionali. È un’attività ontologicamente di secondo livello, nel senso che spesso acquista tanto più efficacia quanto più viene svolta senza clamori. Ecco perché la Prefettura è una di quelle Istituzioni che si “vede” poco ma c’è. In tempi di pandemia questa attività di raccordo è diventata ancor più impegnativa, quotidiana, senza soste. Personalmente, lavoro dalla mattina fino a tarda sera con una disponibilità ed una reperibilità effettiva h/24: è necessario e doveroso farlo.
Giovanni Falcone ha detto della mafia che, essendo un fatto umano, ha un inizio e una fine. Questo è quanto accaduto a Caserta e provincia, anche se bisogna sempre tenere la guardia alta. Come si raggiunge un risultato di questo genere, ma, soprattutto, quali poi i pericoli che rimangono, oppure, tutto d’improvviso cambia e diventa terra legale?
Mi permetto di dissentire dalla impostazione della domanda, almeno per quanto concerne il territorio di Caserta e provincia. Sicuramente bisogna dare atto dell’enorme lavoro svolto negli anni dalla Magistratura e dalle Forze di Polizia, tradottosi in poderose inchieste che hanno consentito di assicurare alla Giustizia i vertici di pressoché tutte le organizzazioni criminali operanti nel territorio di questa provincia. Infatti, da circa due anni, non si spara più a Caserta per guerre di mafia. Tuttavia, ciò non significa che la camorra è stata sconfitta, ma piuttosto che ha “mutato pelle”. La strategia militare non è più pagante e le mafie casertane sono ormai diventate mafie di affari. Il loro principale obiettivo è il reinvestimento dei capitali illecitamente accumulati e ciò non lo dico per personale convinzione, ma sulla base di quanto emerso dalle inchieste giudiziarie giunte a sentenza e le cui risultanze sono ormai pubbliche. Ecco perché il contrasto alla criminalità organizzata richiede non solo la massima attenzione da parte degli apparati della sicurezza, ma anche il consenso e il coinvolgimento della classe imprenditoriale, dei lavoratori, delle rispettive organizzazioni e di tutta la società civile.
I territori e la capacità di resistenza alla criminalità
Dal suo punto di vista, quale ruolo hanno svolto e svolgono i beni confiscati in provincia di Caserta, sono realmente una matrice che pone le basi per un riscatto sociale e legale e che cosa è necessario fare per proteggerli e incentivare questa presenza.
I beni confiscati in provincia di Caserta sono tanti e in buona parte recuperati e restituiti all’uso pubblico e collettivo. L’utilizzo economico dei beni confiscati ha non solo un alto valore simbolico, ma deve rappresentare pure un valido strumento di crescita e di progresso economico e sociale. Lavorare e produrre mettendo opportunamente a frutto queste risorse rappresenta un esempio virtuoso di buona economia e può essere un’occasione formidabile per combattere le distorsioni del mercato messe in atto dall’economia illegale e, o peggio, criminale.
L’interdittiva antimafia, è realmente uno strumento efficace, per davvero blocca l’infiltrazione delle mafie nel tessuto economico? Ma la domanda più scottante è se per davvero questo strumento nelle mani della Prefettura è temuto dalla criminalità organizzata, oppure essa è consapevole di essere sempre un passo avanti allo Stato.
Il sistema della documentazione antimafia e delle interdittive è ormai una delle punte di diamante della prevenzione antimafia. Si tratta certamente di una delle principali attività delle Prefetture, non solo nelle aree geografiche a forte radicamento mafioso, ma anche nelle regioni più ricche dove l’infiltrazione si registra in vari settori economici. Le interdittive sono temutissime dalle imprese mafiose e da quelle colluse. Cito, a mero titolo di esempio, quanto accadde alcuni anni fa a Reggio Emilia dove si svolse un summit di imprenditori contigui alla ’Ndrangheta calabrese, con l’obiettivo di arginare in tutti i modi l’attività antimafia dell’allora Prefetto, Antonella De Miro. Tengo a precisare che, contrariamente a quanto talvolta sostenuto in certi ambienti, le interdittive non “strozzano” l’economia. Nella provincia di Caserta, dove l’attività antimafia è molto intensa, il numero dei provvedimenti interdittivi, apparentemente elevato (70 circa all’anno), è in realtà contenuto, se si considera che le richieste di documentazione antimafia nell’arco di un anno sono mediamente oltre 6.000.
Dialogo con Marisa Manzini, procuratore aggiunto di Cosenza
Lo scioglimento di un Comune per infiltrazioni mafiose è l’annullamento del voto democratico, la vittoria delle mafie oppure un reale strumento di contrasto alle infiltrazioni delle mafie nell’Amministrazione pubblica? Ed è ancora attuale come strumento d’intervento, oppure ha necessità di “tagliandato”?
Lo scioglimento di un Comune per infiltrazioni mafiose è uno strumento giuridico previsto dall’ordinamento del nostro Stato democratico. È la risposta straordinaria ad un attacco letale per la democrazia, nel senso che in determinate realtà la volontà politica espressa dalle Amministrazioni elettive viene condizionata e piegata all’interesse criminale. In quei casi il commissariamento è il necessario rimedio propedeutico al ripristino delle regole democratiche. Il problema semmai è un altro: i 18 o 24 mesi di durata del commissariamento a volte non sono sufficienti a liberare il contesto politico-amministrativo dai condizionamenti e dalle infiltrazioni della criminalità organizzata. Da qui l’inevitabile ripetersi, a breve distanza di tempo, dello scioglimento per infiltrazioni mafiose di Comuni precedentemente sciolti per gli stessi motivi.