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Le elezioni presidenziali in Iran delineano un quadro di continuità

di
Fabio Nicolucci*

Le elezioni presidenziali in Iran di venerdì scorso hanno suscitato poco interesse nel paese, ma molta attenzione all’estero. Mentre, infatti, l’affluenza è rimasta bassa – e veniva confermato con il 62% dei voti il previsto vincitore, l’ex giudice conservatore Ebrahim Raisi –, grande spazio ed interesse veniva riservato dai mass-media regionali e internazionali.

Un paese stretto tra sanzioni e pandemia

Un paradosso solo apparente. Dopo 8 anni il Presidente Rohani presentava un bilancio in chiaroscuro a un paese sfiancato dalla crisi economica, dove la pandemia da Coronavirus ha avuto un impatto tremendo, e le cui speranze di cambiamento per questo non hanno potuto germogliare e affermarsi, soprattutto tra i giovani e le donne, come invece è stato il caso, per esempio, del 2009, oppure della prima elezione di Rohani. Per colpa anche della “pressione massima” esercitata da Trump: le sanzioni economiche hanno, infatti, continuato a colpire duro, non permettendo a Rohani di dar seguito alle promesse che aveva fatto per convincere l’ala più dura che era stato saggio impegnarsi in un patto sul nucleare con gli Usa e la comunità internazionale. Un ulteriore colpo a questo percorso di apertura era stato poi l’assassinio del carismatico Suleimani e la continua campagna israeliana contro infrastrutture e scienziati nucleari. Privato di successi all’estero, Rohani non ha saputo riformare il contesto esterno, soprattutto in termini economici e sociali.

Il suo elettorato lo ha capito, malgrado i tentativi dell’ultimo minuto di dare una spinta sui temi più economici con il candidato a lui più vicino, l’ex Governatore della Banca Centrale Abdolnaser Hemmati. Ma se la rassegnazione nel campo riformista regna sovrana, non si gioisce nemmeno nel campo più oltranzista, dove per esempio era stato escluso dal partecipare alle elezioni il famigerato e noto ex Presidente Ahmadinejad.

Le elezioni hanno confermato il sessantenne Raisi

Il paese ha interpretato questa elezione più che altro come un passaggio interno, e nemmeno l’ultimo, nella successione al sempre più cagionevole Ayatollah Khamenei, la Guida Suprema della Repubblica Islamica. E, la scelta del sessantenne Raisi, da questo punto di vista, sembrerebbe rappresentare un punto di equilibrio, che non suscita gli entusiasmi di nessuno, ma rassicura molti, soprattutto all’interno del regime, su una linea di blanda e centrista continuità. Un esito che sembra non scontentare neppure Rohani, viste anche le difficoltà affrontate e i possibili rovesciamenti che ne potevano seguire, segnalata dall’immediato riconoscimento della vittoria di Raisi da parte di tutti gli altri candidati. Come a chiudere un dossier interno, sul cui consenso implicito si era già lavorato, e come suggerito dalla Guida Suprema Khamenei.

L’Iran ha scelto di non scegliere

Ma se il paese era rassegnato, in attesa di tempi migliori, e ha scelto di non scegliere definitivamente tra le due anime più vitali della politica interna (i riformisti e i reazionari,) l’interesse all’estero – e soprattutto tra i suoi vicini regionali – cresceva proprio per questo. Per questa linea centrista interna, che guarda certo ai conservatori e non ai riformisti, ma senza eccessi, è molto probabile che a guidare le mosse del nuovo Presidente sarà il più puro e cinico realismo politico.

Giochi di influenze in Iraq, Siria e Libano

Non pare infatti che vi sia consenso sufficiente per gli ultrareazionari alla Ahmadinejad per interrompere la ripresa dei negoziati già in corso a Vienna sulla ripresa dell’Accordo sul nucleare. Né, d’altro canto, per interrompere quel gioco di influenza che vede l’Iran più come Stato sciita che come regime, dare molte carte in Iraq, sostenere in Siria il sopravvissuto Assad, e influenzare in Libano le mosse esterne di Hizballah. Ulteriori conferme di questa continuità sono non solo le rassicurazioni del Ministro degli Esteri iraniano Zarif sul prossimo invio di un ambasciatore a Riad, ma anche le cautele dell’arcinemico saudita, che pare gradire. Il che significa anche nessuna escalation della tragica e già sanguinosa guerra nello Yemen.

In Iran sembra delinearsi un quadro di continuità

Tutto sommato, dunque, un quadro di continuità sembra delinearsi, in una sorta di pareggio in attesa del secondo turno dopo le eliminatorie, nel torneo tra Occidente e Iran. In questo passaggio, a voler essere cinici fino in fondo, in spregio al disilluso popolo astenutosi, l’Iran potrebbe essere perfino utile in Afghanistan, dove gli Usa si stanno ritirando, in un quadro di contenimento della possibile recrudescenza dei Talebani, soprattutto nella tutela della martoriata minoranza sciita degli hazara, recentemente uccisi a decine mentre dormivano dopo il loro lavoro con una Ong antimine occidentale. Ma questo significherebbe allargare lo spettro del confronto politico, ora settoriale e tecnico a Vienna solo sul nucleare, ed è probabilmente uno sviluppo ancora non maturo, soprattutto in Europa e negli Usa.

*Fabio Nicolucci, Senior Gulf Analyst, NATO Defence College Foundation.

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