Mafie e droga in Belgio ed Olanda

Dopo avere trattato in un precedente articolo il fenomeno del riciclaggio di denaro sporco in Germania, si segnalano i casi di altri due paesi del Nord Europa, il Belgio e l’Olanda, nei quali, contrariamente alle apparenze, si annidano rilevanti fenomeni di criminalità organizzata, con particolare riguardo al traffico internazionale di sostanze stupefacenti.

Lo spunto è offerto da De Morgen (quotidiano belga di lingua fiamminga) che nel numero del 9 gennaio 2020 (tradotto in lingua francese sul Courrier international del 23 gennaio), si occupa del Belgio e dei traffici internazionali di droga attraverso il porto di Anversa. A parlarne è un boss colombiano del traffico di cocaina, William Rodriguez-Abadia, divenuto collaboratore di giustizia. Il padre e lo zio erano componenti del cartello di Calì, che controllava intorno all’80% del traffico mondiale di cocaina. A lungo essi erano riusciti a dissimulare, davanti ai loro stessi familiari e all’intero paese, il fatto che non erano soltanto attivi nel settore bancario, quello immobiliare e dei mezzi di informazione, ma anche nel traffico di droga, almeno sino a quando lo zio non venne arrestato in Spagna nel 1984.
Da quel momento l’attenzione dei colombiani e, più ancora, quella della DEA e del FBI degli Stati Uniti si appuntarono sulla sua famiglia, che tuttavia ottenne il sostegno del governo colombiano, perché sostenendo il cartello di Calì, essi sostenevano la lotta del governo contro il cartello di Medellin guidato da Pablo Escobar. Da quel momento si scatenò – così prosegue il racconto del collaboratore – una spietata guerra tra i due cartelli, di inaudita brutalità, caratterizzata da terrore, attentati e violenza omicida, bombe contro ristoranti, durata per circa cinque anni, sino all’uccisione di Pablo Escobar nel 1993. Il cartello di Calì accrebbe la sua potenza e anche l’attuale collaboratore fu indotto dai familiari a entrare nel giro dei traffici di droga. La produzione di cocaina – afferma – ha iniettato miliardi di dollari nell’economia sommersa, subito riciclati attraverso banche e investimenti immobiliari. Fa anche presente che in Colombia 200.000 ettari di terreno erano dedicati alla coltivazione delle foglie di coca. Per rendere l’idea delle proporzioni del traffico aggiunge: «Gli Stati Uniti e l’Europa nuotano letteralmente nella polvere bianca. Ogni giorno tonnellate di droga sono trasportate in tutte le parti del mondo. La lotta alla droga è fallita. Bisogna passare a metodi alternativi».
L’uomo viene intervistato dal giornalista di De Morgen a proposito della cifra record di sequestri di cocaina da parte della dogana belga, nel corso del 2019 (ben 61,8 tonnellate), tanto da indurre le autorità doganali ad avviare un programma di controllo di tutti i containers che transitano nel porto di Anversa. Non esita ad affermare che «fin quando i controlli saranno disposti solo su una (piccola) parte dei containers, la droga continuerà ad arrivare a tonnellate in quel porto». Aggiunge che sono diversi i cartelli di droga che si sono impiantati stabilmente in Belgio e che «è impossibile che una mafia che si occupa di importazione di cocaina di tali dimensioni continua a passare inosservata. Ciò indica che vi sono delle connessioni all’interno del mondo politico, delle Forze di polizia, delle Forze armate e di altri settori». «Ciò che arriva ad Anversa è impressionante. Il Belgio riveste un’importanza fondamentale per i cartelli della droga. Solo il 2% dei containers viene controllato per insufficienza degli strumenti di controllo e per l’impossibilità di aprire tutti i containers, che trasportano frutta» (in prevalenza banane e altra frutta tropicale). Egli si fa una domanda: «da cinquant’anni l’uomo è arrivato sulla luna, possibile che non si riesca a controllare il contenuto dei containers?».
All’intervistatore che gli chiede come mai, da qualche tempo, Anversa rischia di scivolare in una spirale di violenza (esplosione di armi da fuoco, di granate), risponde che si tratta di manovre intimidatorie all’interno dei cartelli, manovre che non sono che all’inizio, ma che non arriveranno mai, né in Belgio né in Europa, al livello di violenza che vi è in Colombia o in Messico. «D’altra parte, il traffico di droga richiama tanto di quel denaro che non vi è alcuna difficoltà a corrompere i servizi di polizia e quelli di sicurezza. Con un solo carico di droga si guadagna quanto una persona normale in quarant’anni di lavoro».
Sin qui l’intervista a William Rodriguez-Abadia. Se in Belgio sono stati sequestrati quasi 62 tonnellate di cocaina (la cifra appare eccessiva ma è quella citata dal quotidiano fiammingo e mi limito a riportarla, ndr) in un solo anno, con controlli limitati al 2% dei containers giunti nel porto di Anversa, vuol dire che una quantità molto più alta è transitata liberamente ed è stata distribuita nel resto d’Europa dalle varie mafie che agiscono sul territorio europeo. Anversa, tuttavia, oltre al porto, presenta un’altra caratteristica che la rende interessante anche per il riciclaggio: è la capitale mondiale del taglio e della lavorazione dei diamanti. I preziosi possono quindi assolvere alla duplice funzione di mezzi di pagamento della droga acquistata nel Sud America dai cartelli colombiani e di bene di investimento, assai meno visibile degli investimenti immobiliari o di acquisto di quote azionarie in Borsa, che richiedono numerosi passaggi intermedi per renderne impossibile l’accertamento della provenienza.
Guardando una qualsiasi cartina geografica del Nord-Europa, salta agli occhi la breve distanza esistente da Anversa a Rotterdam, città dell’Olanda, sede del porto più grande e importante d’Europa (al secondo posto c’è Anversa!). Tra i due porti la distanza autostradale è di 100 chilometri e numerose indagini compiute dalle Autorità giudiziarie italiane hanno accerto che Rotterdam è anch’essa un porto di arrivo di grandi carichi di cocaina dal Sud America, sicuramente più di Anversa. Se così è, non v’è dubbio che i due più grandi porti d’Europa facciano sistema non solo per il commercio regolare ma anche per quello criminale.

Che anche l’Olanda sia interessata da questi movimenti criminali si deduce dalla blanda politica di contrasto alle organizzazioni mafiose che hanno messo le basi in quel paese (e analoga considerazione va fatta per il Belgio, paese nel quale la mafia italiana è presente da oltre mezzo secolo). Un fatto di cronaca, avvenuto ad Amsterdam il 18 settembre dello scorso anno ha fatto emergere l’inquietante realtà di un piccolo paese nel quale la criminalità organizzata, che ruota intorno al traffico di droga, ha raggiunto elevati livelli di pericolosità del tutto inusuali nel paese dei tulipani. Quel giorno, alle sette e trenta del mattino veniva ucciso ad Amsterdam per strada il noto avvocato olandese Derk Wiersum, con alcuni colpi di pistola. Secondo la polizia, a fare fuoco sarebbe stato un giovane di età compresa tra i 16 e i 20 anni riuscito, subito dopo, a far perdere le proprie tracce.
Il movente dell’omicidio era quello di essere difensore di Nabil Bakkali, principale teste di accusa (“testimone della Corona”, figura simile a quella del collaboratore di giustizia in Italia) in un processo a carico di 16 persone accusate di almeno 5 omicidi, collegati a traffici di droga, avvenuti tra il 2015 e il 2017 nei Paesi Bassi. I due principali imputati erano Ridouan Taghi, il più pericoloso ricercato dei Paesi Bassi, re della cocaina e della “micro-mafia” di origine marocchina e il suo braccio destro, Saïd Razzouki, entrambi latitanti all’epoca dell’omicidio, ma il processo si tenne egualmente a porte chiuse per motivi di sicurezza.
Prima dell’avvocato, era stato ucciso da un sicario anche il fratello del super-testimone, come vendetta trasversale, in tipico stile mafioso. Wiersum ricopriva anche il ruolo di giudice onorario nella regione Zelanda-Brabante Occidentale. Egli aveva già segnalato, nel giugno del 2018, l’inadeguatezza della protezione offerta al testimone Nabil B., ma aveva rifiutato le misure di protezione a suo favore che gli erano state proposte.
Il paese rimase sotto shock dopo l’assassinio, una nuova perdita dell’innocenza, così come accadde in Germania dopo la strage di Duisburg.

«Con il porto di Rotterdam e altri punti di distribuzione l’Olanda attira trafficanti di droga praticamente da tutte le principali mafie del mondo» commentò lo scrittore e giornalista di AD Koen Voskuil. «La polizia deve affrontare gruppi criminali olandesi, olandesi-marocchini, italiani, albanesi, russi, colombiani e messicani, solo per citarne alcuni. La cocaina è un affare talmente redditizio che ciascun gruppo può coesistere accanto all’altro e collaborare. Gli olandesi-marocchini hanno iniziato a diventare potenti all’inizio degli anni Duemila e nessuno sembrava notarlo. La polizia doveva combattere i criminali olandesi. Intanto i marocchini diventavano sempre più forti. Un po’ come è successo con la ’Ndrangheta cresciuta all’ombra di Cosa nostra negli anni Novanta».
Più severo il commento di Roberto Saviano sulle pagine de L’Espresso del 30 settembre 2019: «Con l’omicidio di Derk Wiersum la società civile olandese dovrà fare i conti, una volta per tutte, con un dato oggettivo: l’Olanda ha deciso di diventare un porto franco per i più grossi narcotrafficanti del mondo e di essere un paradiso fiscale all’interno dell’Europa. L’irresponsabilità, mascherata dietro il paravento dell’ipocrita inflessibilità nei confronti dei Paesi del Sud-Europa, ha alla fine presentato il conto, che sarà salatissimo se questo tema non si affronterà con la necessaria consapevolezza. L’Olanda è territorio pieno di mafie, riciclaggio e crimine; chiunque si occupi di questi temi lo sa da decenni» (…) «L’Olanda è al centro dei traffici delle organizzazioni italiane, serbe, albanesi, marocchine e caraibiche, che stringono alleanze con criminali autoctoni. L’Olanda è uno snodo importante nel narcotraffico perché è una delle porte europee della cocaina, è un hub per la droga che proviene dall’America Latina: qui arriva ‒ in grandi quantità attraverso il porto di Rotterdam ‒ e in piccola parte si ferma, ma tutto il resto prende la via per gli altri paesi europei. Il porto di Rotterdam è la ferita principale attraverso cui passa la droga che giunge in Olanda; il motivo è che si tratta del più grande porto europeo e di uno scalo efficiente dove vigono controlli antidroga, ma non su ogni container perché la velocità è tutto: sfruttando questa logica i narcotrafficanti vincono, sono le regole del capitalismo stesso che permettono al narcotraffico di realizzarsi».

Concludiamo con la citazione di un articolo, sempre a commento dell’omicidio Wiersum, a firma di Stéphane Quéré, pubblicato sul quotidiano on line Atlantico del 22 dicembre 2019, del quale si riportano alcuni brani: «Il 59% degli olandesi ora crede che l’economia del loro paese dipenda da quella delle droghe, a causa delle sue leggi liberali in materia di droghe e della sua vicinanza ai mercati più redditizi di queste sostanze, attirando trafficanti da tutto il Pianeta. La corruzione nei porti, le minacce contro gli avvocati e la violenza contro i giornalisti, per non parlare degli omicidi, sono diventate frequenti negli ultimi anni. (…). L’omicidio Wiersum è stato indirettamente indirizzato a un “collaboratore di giustizia”, a cui Wiersum aveva assicurato la difesa. Più in generale, è un attacco al sistema giudiziario e un avvertimento contro coloro che sono tentati di collaborare. Nel 2018, anche il fratello del testimone è stato ucciso e diversi membri della sua famiglia sono stati rapidamente trasferiti e messi sotto protezione».
«Questa testimonianza ha messo in luce numerosi aspetti sul principale meccanismo della delinquenza olandese (più precisamente sulla “mocro-mafia”, il nome dato a quella delinquenza principalmente composta da persone di origine marocchina): Ridouan Taghi, implicato nel traffico di stupefacenti e numerosi conflitti fra bande diverse, in particolare nei Paesi Bassi, in Belgio e in Marocco. Taghi è stato recentemente arrestato a Dubai ed è ora in carcere nei Paesi Bassi. Il suo processo sarà senza dubbio un momento chiave nella lotta contro la criminalità organizzata nei Paesi Bassi».
«Questo paese (l’Olanda) è chiaramente “sotto tensione” a causa della forte presenza di criminalità organizzata sul suo territorio (la mocro-mafia, le delinquenze tradizionali, le bande di motociclisti, le mafie turche, cinesi, italiane, albanesi o russe…). Ciò si spiega grazie ad una cosiddetta politica lassista sulle droghe leggere che ha attratto e incrementato il business; molti criminali (o hippy sognanti che si sono trasformati in spietati criminali capitalisti) dagli anni Settanta».
«La spiegazione più ovvia è la posizione strategica dei porti di questa parte centrale dell’Europa: in primo luogo Rotterdam nei Paesi Bassi o Anversa in Belgio e, in misura minore ma in via di crescita, i porti tedeschi e quello di Le Havre, in Francia. Anche i Paesi Bassi “beneficiano” della presenza dei loro territori nelle Antille (Antille olandesi) o della loro ex colonia della Guyana olandese, Suriname, zona di transito della cocaina, proprio come la Guyana francese per la Francia…Tutto ciò rende l’area olandese, più le Fiandre belghe, un “narco-Hub” europeo: produzione di cannabis (con un’esportazione soprattutto in Spagna), importazione di resina di cannabis (grazie ai criminali della “mocro-mafia” sfruttando la forte comunità di immigrati marocchini del paese), produzione di droghe sintetiche (nei Paesi Bassi e in Belgio, con alti rischi ambientali), importazione di eroina (grazie alla presenza della mafia turca). Tutto ciò porta a un’infiltrazione nell’economia legale o nello sport, con pressioni sui media: attacco armato contro il settimanale Panorama, un’auto incendiata e scagliata a mo’ di ariete contro il giornale “De Telegraaf ” (due casi del giugno 2018)».
Il quadro che ne risulta è allarmante, per certi versi inedito, ma utile per far comprendere come paesi connotati da apparente assenza di fenomeni criminali, siano divenuti, nell’arco di pochi decenni, centri di traffici di droga e dei connessi fenomeni di corruzione, guerra tra bande, violenza diffusa ed economia inquinata dal denaro sporco.
Non si può che concludere ripetendo quanto detto a proposito delle enormi dimensioni del riciclaggio in Germania: solo una forte politica europea di contrasto, fatta di omogeneità normativa, coordinamento investigativo e giudiziario, armonizzazione fiscale e confisca dei patrimoni illecitamente acquisiti, potrà ottenere risultati utili. Resta il problema, da ripetere sino alla noia, della revisione a livello comunitario, delle politiche proibizioniste in materia di droga.

*nel quadro dell’attività dell’Osservatorio Sicurezza dell’Eurispes
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