Perché il sindacato in Russia è un simulacro? Un appello ai sindacati italiani

Trent’anni fa, nell’aprile del 1989, fu costituito a Mosca un sindacato nuovo e autonomo dal Partito comunista, denominato Unione dei sindacati di Russia Sozprof, che è stato popolarissimo prima in Urss e poi nella Russia post-sovietica. Il fondatore di questa organizzazione, Serghej Kramov, ricercatore dell’Istituto di Oceanologia della Accademia delle Scienze dell’Urss dal 1975 al 1989, è stato presidente del Consiglio di coordinamento della Sozprof fino al febbraio del 2008. Attualmente è ispettore generale della sicurezza del lavoro della Unione dei sindacati di Russia. Sulla base di trent’anni di attività sindacale e di riflessioni sul sindacalismo russo, Serghej Kramov spiega per il magazine L’Eurispes.it alcune peculiarità della mentalità dei lavoratori russi e del sindacato nella società russa contemporanea, concludendo la riflessione con un appello ai sindacati italiani.

Nei paesi europei, come Germania, Francia e Italia, i sindacati apparvero nella seconda metà dell’Ottocento. Com’è noto, accanto ai cosiddetti “sindacati rossi” di ispirazione socialdemocratica e anarchica, furono costituiti anche i “sindacati bianchi” di ispirazione cristiana. Questo dualismo era tipico per la maggior parte dei paesi europei all’inizio del Novecento.
In Russia, invece, dove la Chiesa ortodossa era parte integrante dello Stato, cioè dell’impero dei Romanov, la gerarchia ecclesiastica anziché reagire alla scottante “questione operaia” decise ‒ diversamente da papa Leone XIII per la Chiesa cattolica ‒ di non immischiarsi in tale problematica. Il prete ortodosso Gherghij Gapon, il quale voleva organizzare una associazione cristiana degli operai a San Pietroburgo, chiese invano la benedizione del vescovo della capitale dell’Impero Russo (questo fatto è stato raccontato dal celebre scrittore Massimo Gorkij). Gapon dovette chiedere il sostegno organizzativo al Ministero degli Affari Interni, dove per fortuna incontrò funzionari illuminati. Il tragico giorno del 9 gennaio 1905 l’Unione degli operai di San Pietroburgo riuscì a organizzare un corteo di oltre 100mila operai con le loro mogli e i figli. Come è noto, la monarchia reagì con estrema crudeltà: oltre mille persone, comprese molte donne e ragazzi, furono uccise quel giorno sulle strade e nelle piazze di San Pietroburgo. Non si saprà mai quanti cadaveri furono poi buttati dai poliziotti nel fiume Neva.
Dopo il 1905, a causa della politica del regime zarista, lo spazio per le organizzazioni sindacali di stampo riformista nel mondo del lavoro in Russia fu molto esiguo. Così, quando la rabbia degli operai e dei contadini russi si scatenò nel 1917, i bolscevichi seppero approfittare di questa esplosione sociale.
Dopo la rivoluzione dell’ottobre 1917, il partito bolscevico, seguendo le indicazioni di Vladimir Ilic Lenin (1870-1924), fece del sindacato la sua “cinghia di trasmissione”. Questa metafora esprime molto bene il senso dei documenti approvati nell’aprile 1920 dal IX Congresso del partito bolscevico che contenevano la descrizione dettagliata dei compiti del sindacato e del suo meccanismo di subordinazione al partito. Questo ruolo subalterno è stato percepito come un fatto perfettamente normale prima dai bolscevichi stessi, e poi anche da tutti i lavoratori sovietici iscritti al sindacato.
Nel 1933 il gruppo dirigente del Partito comunista ritenne opportuno promuovere la fusione del Commissariato (Ministero) del lavoro e del Consiglio centrale dei sindacati sovietici. Per aumentare il numero degli iscritti al sindacato, il partito decise che, in caso di malattia, i lavoratori sovietici iscritti al sindacato avrebbero percepito una somma pari a 100% del salario, mentre gli altri lavoratori, non iscritti al sindacato, soltanto il 50%. In questo modo, in Urss si raggiunse un tasso di sindacalizzazione degli operai e degli impiegati pari a circa il 96-98%, un fatto senza precedenti nella storia sociale.
Occorre inoltre tener presente che dopo la collettivizzazione degli anni Trenta in Urss, il Partito-Stato divenne di fatto l’unico datore di lavoro. Tutti i cittadini sovietici adulti erano lavoratori salariati. Le scuole e le università erano le strutture di formazione generale e professionale, oltre che di educazione ideologica. Nei programmi delle università era stata inclusa una specifica disciplina: la teoria scientifica del marxismo-leninismo.
Il secondo dopoguerra è stato in Urss un periodo di formidabili successi nel campo economico (il volo di Gagarin nel 1961) e politico (la sconfitta degli americani in Vietnam nel 1975) e di un fatale immobilismo nel campo delle idee. La critica dei “crimini staliniani” da parte di N. Krusczev è stata nient’altro che la miscela di ingiurie grossolane, prive di qualsiasi valore teorico-concettuale. Comunque tutti i cittadini sovietici ‒ operai e agricoltori dei kolchoz, insegnanti di scuola e docenti universitari, funzionari pubblici e ufficiali dell’esercito ‒ erano convinti della giustezza della gerarchia esistente tra le istituzioni; al vertice stava il Partito, al di sotto c’era lo Stato (il potere esecutivo stava al di sopra del potere legislativo), quindi, più in basso, stava la Gioventù comunista (komsomol) e al pianterreno il Sindacato.
Il gruppo dirigente della più grande confederazione sindacale di Russia, la Fnpr, di fatto ha seguito questa concezione leninista anche nel corso degli ultimi tre decenni, del cosiddetto periodo “dopo l’Urss”, in un contesto politico ed economico del tutto diverso rispetto a quello dell’epoca sovietica. Il risultato è palese: oggi, trent’anni dopo il crollo del sistema sovietico, in Russia la stragrande maggioranza dei cittadini ‒ in modo spontaneo, senza riflettere ‒ condivide ancora la suddetta concezione del ruolo subalterno del sindacato nella società moderna.
Mi ricordo l’estate del 1989 e l’esplosione degli scioperi dei minatori nella regione di Kemerovo in Siberia, nella regione di Donezk in Ucraina, nella regione di Vorkuta al nord della Russia.
Dappertutto la motivazione degli operai più attivi era la medesima: chi sale prima degli altri sul palco del comizio e grida più forte degli altri sarà premiato con il mandato di deputato sia del Soviet (Consiglio) regionale, sia del Soviet distrettuale (la prima tappa della carriera politica). Da giovane ho lavorato come ricercatore; ho quindi l’abitudine di osservare i processi e di analizzare i risultati. Il comitato direttivo dello sciopero eletto nel luglio 1989 a Donezk aveva 42 componenti (2 rappresentanti per ciascuna delle 21 miniere). Un anno dopo, mi ricordo bene, la metà di questi compagni erano deputati del Soviet regionale. Una situazione simile è accaduta anche in altre regioni dove i minatori sovietici hanno organizzato gli scioperi.
Del movimento operaio sovietico emerso nel 1989 il sottoscritto è stato protagonista e analista. In quel periodo emersero due tendenze opposte: quella segnata da un certo rinnovamento del linguaggio ma dal mantenimento delle stesse pratiche e degli stessi costumi dell’epoca precedente; e quella segnata dalla costituzione di un sindacato nuovo, alternativo rispetto al sindacato sovietico. La maggioranza dei dirigenti sindacali sovietici ha imboccato la strada del rinnovamento del linguaggio che ha portato nel marzo del 1990 al congresso dei sindacati sovietici e alla costituzione di una nuova organizzazione, la Federazione dei sindacati indipendenti di Russia (Fnpr). Nello stesso periodo, la costituzione della Unione dei sindacati di Russia (Sozprof) è stata il tentativo di sostituire il sindacato sovietico con un sindacato democratico moderno, adeguato alla economia sociale di mercato.
La situazione attuale in Russia dimostra che la società e lo Stato, l’economia nazionale e il mondo del lavoro, tali come sono oggi, non hanno niente a che fare con le promesse dei riformatori liberali che hanno assunto il potere dopo il crollo del sistema sovietico.
Alcuni noti sociologi russi, come Jean Tosczenko, definiscono giustamente la Fnpr “un simulacro del sindacato”. I lavoratori russi ‒ ho sentito più volte ‒ utilizzano solitamente delle espressioni più forti del gergo popolano, non riproducibili in un testo destinato alla stampa.
Il gruppo dirigente della Fnpr insediatosi nel 1993 apparentemente è stabile, ma in realtà è molto debole, a causa della eccessiva subalternità rispetto allo Stato e al padronato.
In conclusione, vorrei approfittare della opportunità di questa pubblicazione per rivolgermi ai dirigenti delle confederazioni sindacali italiane Cgil, Cisl e Uil e ricordare che in Russia esiste ‒ nonostante tutto ‒ il pluralismo sindacale, e che oltre alla Fnpr esistono anche altri sindacati. Il mondo del lavoro d’Italia ci interessa moltissimo, ma ne sappiamo ben poco. Rispetto agli anni Novanta del secolo scorso quando, grazie alla disponibilità dei sindacalisti italiani, il Sozprof appena nato ha potuto stabilire dei primi contatti con la Cgil e la Cisl e anche con la Ugl (allora si chiamava la Cisnal), la mancanza di dialogo tra i sindacati di Russia e d’Italia continua ormai da molti anni; è una situazione anomala da superare.

Serghej Kramov è il fondatore e dirigente della Unione dei sindacati di Russia Sozprof

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