L’isolamento domiciliare imposti dal Coronavirus ha riversato il bisogno di socialità, di affettività, di intimità interamente sulla Rete. Roberto De Vita pubblica su Skill On Air una riflessione sulla scoperta del più grande network italiano di revenge porn e pedopornografia su Telegram.
Il revenge porn è un fenomeno in rapida crescita ed evoluzione: nel mondo occidentale una persona su dieci è vittima di pornografia non consensuale. Sono vittime sempre più piccole e sono, soprattutto, donne. Nove su dieci sono ragazze: quest’ultime, oltre ad essere esposte nei loro volti e nei loro corpi, sono spesso anche colpite nelle loro identità. Si tratta di identità digitali sempre più fragili: nomi, cognomi, numeri di telefono, indirizzi di posta elettronica, profili Facebook o Instagram accompagnano la diffusione delle immagini, affinché rimanga indelebile la cicatrice di quella esposizione, di quella gogna.
Tutto ciò non origina esclusivamente da quella che era una coppia, un luogo protetto ma, molto spesso, nasce anche attraverso la condivisione di queste immagini tra amici: come se, in un grande esercizio ludico, non si stesse giocando con la vita e le delicatezze maggiori delle persone, con la parte più esposta dell’anima.
Nello stesso tempo, spesso, si rimane vittima dei grandi predatori. Non è un caso che l’FBI ed il Dipartimento di Giustizia mettano in evidenza come la pornografia non consensuale è legata, ed intimamente collegata, alla pedopornografia.
E, soprattutto, alla pedopornografia dinamica: qui, la cattura di un minore – attraverso l’utilizzazione e la strumentalizzazione di un’immagine trovata in chat o in Rete – si realizza con il ricatto sessuale, utile per produrre ulteriori immagini, ulteriori video. Un vero e proprio meccanismo estorsivo che diventa un grande alimento delle nuove forme di pedopornografia, trasformando un numero sempre maggiore di minori in schiavi sessuali nella disponibilità di grandi predatori.
Se questo poteva essere il racconto dell’orrore, ma proiettato all’immaginifico, la realtà cruda, descritta oltre i numeri dalla rivista Wired (https://www.wired.it/internet/web/2020/04/03/revenge-porn-network-telegram/?refresh_ce=), porta ad avere una immediata verificabilità di come, ahinoi, accanto alla pornografia non consensuale si consumino fatti ancor più gravi, spesso anche non raccontabili.
I segni che lasciano queste violenze sono talmente profondi, che il 50% delle vittime ha pensato in modo serio ed importante al suicidio. E, nella scala dei grigi, dal 50% per arrivare al 100% ci sono milioni di modalità, così come per farsi del male perché qualcuno ci ha ferito profondamente.
Purtroppo, in questi ultimi mesi – in cui l’emergenza sanitaria ha costretto il mondo, soprattutto quello dei più piccoli, ad una quarantena e ad un isolamento domiciliare collettivo – quel bisogno di socialità, di affettività, di intimità e di condivisione sessuale si è interamente riversato sulla Rete, in un esercizio di condivisione digitale senza paracadute e, per questo, capace di esporre il lato più fragile, lasciando cicatrici permanenti nel tempo.
Roberto De Vita è avvocato penalista e Presidente dell’Osservatorio Cybersecurity dell’Istituto Eurispes