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La prevenzione è il pilastro sul quale costruire il rilancio del SSN: intervista al Prof. Francesco Cognetti

di
Antoni Alizzi

Pubblichiamo l’intervista a Francesco Cognetti, Presidente della Confederazione Oncologi, Cardiologi, Ematologi (FOCE) e Professore di Oncologia presso l’International Medical University UniCamillus.

Professor Cognetti, qual è lo stato attuale del Servizio Sanitario Nazionale (SSN)?

Il SSN è stato istituito con la legge 833/1978, basato sui princìpi di uguaglianza, equità e universalità, e rappresenta una conquista fondamentale per garantire a tutti i cittadini il diritto alla salute, come previsto dall’articolo 32 della Costituzione. Tuttavia, oggi ci troviamo di fronte a una crisi senza precedenti. Negli ultimi 10-15 anni, abbiamo assistito a un costante definanziamento del sistema, che ha ridotto significativamente la capacità del SSN di rispondere adeguatamente alle esigenze della popolazione. Attualmente, la spesa sanitaria pubblica rappresenta solo il 6,2% del Pil, rispetto al 6,9% della media Ocse e al 6,8% della media europea, con un forte ritardo rispetto a Paesi come la Germania, che spende il 10,1% del suo Pil, o la Francia, che investe il 9,8%. Questo gap ha portato a un progressivo aumento della spesa sanitaria privata, con i cittadini che devono coprire di tasca propria circa 41 miliardi di euro all’anno, ovvero il 21,4% della spesa sanitaria complessiva. In confronto, i cittadini francesi pagano solo l’8,9% e i tedeschi l’11%. La conseguenza diretta di questo sottofinanziamento è la difficoltà per molti italiani di accedere alle cure necessarie: oggi circa 4,5 milioni di cittadini rinunciano alle cure per problemi economici o di accesso, aggravando ulteriormente le disuguaglianze tra le diverse regioni del Paese.

Quali sono le cause principali di questo declino?

Il declino del SSN è il risultato di una serie di scelte legislative e politiche che hanno modificato radicalmente l’organizzazione e il finanziamento del Sistema sanitario. Già con la legge 502/1992, si è avviato il processo di aziendalizzazione del Sistema sanitario, seguito da altre riforme, come la legge 229/1999 e la Riforma del Titolo V della Costituzione, che hanno dato maggiore autonomia alle Regioni nella gestione della sanità. Questo ha portato a una frammentazione del sistema, con disparità significative nella qualità e quantità dei servizi offerti tra le diverse aree del Paese. Un altro fattore cruciale è stato il progressivo taglio dei fondi destinati alla sanità pubblica. Tra il 2012 e il 2015, sono stati tagliati circa 25 miliardi di euro per far fronte alla crisi economica, e ulteriori 12 miliardi sono stati limati negli anni successivi. Questi tagli hanno inciso profondamente sulla capacità del SSN di rispondere alle necessità della popolazione, riducendo il numero di posti letto, il personale sanitario e i servizi offerti, soprattutto nelle aree più critiche come i pronto soccorso e la medicina di emergenza.

Qual è l’impatto del sottofinanziamento sulla qualità del servizio?

Il sottofinanziamento ha portato a una serie di effetti devastanti sulla qualità del servizio sanitario. Le liste di attesa per esami diagnostici e trattamenti sono cresciute a dismisura, mettendo a rischio la salute dei pazienti, soprattutto quelli con patologie gravi come i tumori o le malattie cardiovascolari, dove la diagnosi precoce è fondamentale. Questo ha reso il sistema pubblico sempre meno efficiente, spingendo molti cittadini a rivolgersi al privato, dove i costi sono però insostenibili per una larga fascia della popolazione. Un altro effetto è stato il progressivo depotenziamento delle strutture sanitarie e la carenza di personale. Ad oggi, il nostro sistema ospedaliero è in affanno a causa della mancanza di specialisti, infermieri e operatori sanitari, con molti di questi professionisti che lasciano il pubblico per migrare verso il privato, dove le condizioni lavorative e salariali sono migliori, o all’estero. In particolare, il numero di medici di medicina generale è in costante diminuzione, aggravando ulteriormente la crisi dell’assistenza primaria.

Quali soluzioni concrete propone per risolvere la crisi del personale sanitario?

La prima soluzione è l’adeguamento delle retribuzioni per il personale sanitario, che oggi sono tra le più basse in Europa. Medici, infermieri e altri operatori sanitari italiani sono pagati molto meno rispetto ai loro colleghi di Paesi come Germania, Francia o Regno Unito, e questo li spinge a lasciare il SSN per il settore privato o per l’estero. Per trattenere i nostri professionisti e attirare nuovi talenti, è necessario implementare un piano di incentivi economici, soprattutto per quelle specialità considerate “disagiate” o “neglettate”, come l’emergenza-urgenza, la radioterapia o l’anatomia patologica. Un’altra priorità è aumentare il numero di borse di studio per le scuole di specializzazione, che attualmente non riescono a coprire la domanda di nuove iscrizioni, soprattutto in quelle aree critiche per il SSN. Serve inoltre una riforma dei contratti di lavoro, con una maggiore flessibilità e percorsi di carriera più chiari, per rendere il settore pubblico più attrattivo. Infine, è fondamentale snellire le procedure di reclutamento e migliorare la formazione del personale, investendo anche in nuove figure professionali, come i data manager e i biostatistici, per far fronte alle crescenti esigenze della medicina moderna.

Come affrontare il problema delle liste d’attesa?

Le liste d’attesa sono uno dei sintomi più evidenti della crisi del SSN, e non possono essere risolte con interventi a breve termine. Il problema è strutturale e richiede un intervento su più fronti. Innanzitutto, è necessario rivedere i tetti di spesa per il personale e le strutture sanitarie, che oggi sono tra i più bassi in Europa, e aumentare il numero di posti letto disponibili, soprattutto nei reparti di emergenza e nelle specialità critiche. Inoltre, occorre potenziare la medicina territoriale, garantendo una maggiore integrazione tra ospedale e territorio, per evitare che i pazienti si riversino nei pronto soccorso per prestazioni che potrebbero essere gestite altrove. Il modello Hub and Spoke, già utilizzato in alcune regioni, potrebbe essere esteso a livello nazionale per migliorare l’efficienza del sistema, con centri di alta specializzazione che fungono da riferimento per le strutture di minori dimensioni. Anche la diagnostica deve essere potenziata: oggi, solo il 34-55% della popolazione partecipa ai programmi di screening oncologici, ben al di sotto del 90% richiesto dall’Unione europea. Investire in programmi di prevenzione e diagnosi precoce è essenziale per ridurre la pressione sugli ospedali e migliorare gli esiti clinici.

Lei ha parlato della necessità di un aumento dei finanziamenti. Di quanto stiamo parlando e come verrebbero utilizzati questi fondi?

Per rilanciare il SSN, è necessario un investimento significativo. Il nostro obiettivo è ottenere uno stanziamento iniziale di almeno 10 miliardi di euro nella prossima manovra finanziaria, con aumenti progressivi che dovrebbero portare a un incremento complessivo di 40-50 miliardi nel medio termine. Questi fondi dovrebbero essere utilizzati per potenziare le strutture sanitarie, migliorare le condizioni lavorative del personale, aumentare i posti letto e aggiornare le tecnologie diagnostiche e terapeutiche. Un’altra priorità è l’aggiornamento dei Livelli Essenziali di Assistenza (LEA), che non vengono aggiornati da oltre 26 anni. Oggi, ben 8 regioni italiane non raggiungono nemmeno il 60% delle prestazioni previste dai LEA, e questo crea gravi disparità tra le diverse aree del Paese. È necessario uniformare i livelli di assistenza su tutto il territorio nazionale, eliminando le differenze che penalizzano soprattutto le regioni del Sud e le aree interne più svantaggiate.

Un altro capitolo su cui lavorare riguarda l’accesso ai farmaci innovativi.

L’accesso ai farmaci innovativi rappresenta una delle sfide più importanti per il nostro Sistema sanitario. Attualmente, l’Italia è al decimo posto per i tempi di autorizzazione all’immissione in commercio dei nuovi farmaci, con una media di 424 giorni, un tempo troppo lungo per patologie che richiedono interventi tempestivi, come i tumori o le malattie rare. Una soluzione potrebbe essere l’introduzione di un modello di “accesso precoce”, simile a quello francese, che permetta ai pazienti di accedere rapidamente a terapie innovative per le quali non esistono alternative valide, prima che il farmaco sia completamente approvato e negoziato. È anche fondamentale eliminare le lunghe attese dovute ai prontuari regionali, che oggi creano disuguaglianze inaccettabili nell’accesso alle cure tra le diverse regioni. AIFA deve agire in stretta collaborazione con il mondo clinico-scientifico per accelerare il processo di approvazione dei farmaci e garantire che siano resi disponibili ai pazienti il prima possibile.

Qual è il ruolo della prevenzione nel rilancio del SSN?

La prevenzione deve essere il pilastro sul quale costruire il rilancio del SSN. Attualmente, solo il 6% dei fondi pubblici viene destinato alla prevenzione, con una riduzione del 18,6% rispetto al 2022. Questo è un errore gravissimo, perché investire in prevenzione significa ridurre il carico di malattie e abbattere i costi del trattamento delle patologie in stadio avanzato. La prevenzione primaria, attraverso la promozione di stili di vita sani e la diffusione di campagne educative, deve essere potenziata, così come la prevenzione secondaria, con programmi di screening per la diagnosi precoce delle principali patologie oncologiche e cardiovascolari. Oggi, le adesioni ai programmi di screening sono ancora troppo basse, con una media nazionale del 34-55%, ma in alcune regioni si scende addirittura sotto il 30%. È fondamentale migliorare la comunicazione e semplificare l’accesso ai programmi di screening, per aumentare la partecipazione e ridurre la mortalità associata a queste patologie.

L’intevista al Prof. Cognetti è inserita nel 3° Rapporto sulla Salute e il Sistema sanitario realizzato da Eurispes-Enpam.

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