Le opportunità, ma anche i pericoli, delle piattaforme digitali di condivisione che hanno introdotto modi nuovi di viaggiare; il settore dell’accoglienza in Italia e le prospettive di un comparto florido che si sta orientando sempre più verso un’offerta sostenibile e mirata; la necessità di tornare a governare questa industria con un Ministero dedicato per superare i “turismi regionali”. Sono alcuni dei temi che abbiamo approfondito con il Presidente di Federalberghi, Bernabò Bocca, che al Governo invia una ricetta possibile per sostenere il turismo in Italia: maggiore contrasto al sommerso turistico e una politica di sgravi fiscali agli operatori per rendere competitivo il settore.
Internet ha dato una propulsione alla diffusione della sharing economy, una realtà che sta modificando anche il turismo. Come potrà il settore alberghiero cavalcare le novità di un’economia sempre più digitale e condivisa?
In realtà lo stiamo già facendo, ma l’unico modo in cui il nostro settore potrà cavalcare tali novità sarà usando armi pari, evitando la concorrenza sleale. Cerco di spiegarmi meglio. Il nostro mondo ha occhi moderni, non può che assecondare le tendenze che i tempi impongono. Oggi, il fenomeno Airbnb è diffusissimo e, se posso osare, direi che ormai è quasi più legato ad un aspetto culturale che pratico. È molto divertente fare goliardicamente a gara tra amici per mostrare chi ha trovato l’appartamento più bello, ovvero la soluzione con maggiore appeal magari anche ad un costo relativamente basso. Ma chi guarda alle offerte, non conosce i rischi cui può andare incontro. Tutto si compie effettivamente attraverso Internet con formule di condivisione, su piattaforme online che mettono in vetrina miriadi di offerte relative a locazioni brevi. È, insomma, una nuova forma di accoglienza che viene pubblicizzata su Internet riguardo la quale non abbiamo pregiudizi a patto che le regole siano uguali per tutti. Tuttavia, noi albergatori conosciamo bene la storia, la viviamo ogni giorno sulla nostra pelle: la sharing economy – nata con l’intento di supportare l’economia di nuclei familiari attraverso la condivisione degli spazi della propria casa con ospiti occasionali e prezzi accessibili – si è via via trasformata in shadow economy, ovvero un modo di fare business, senza però dichiarare la natura di impresa ricettiva a tutti gli effetti e, soprattutto, senza pagare le tasse. Tornando al punto: noi cavalchiamo le novità di un’economia nuova e sempre più digitale, ma come albergatori siamo costretti a rispettare regole ferree e anche molto onerose. Nel momento in cui queste stesse regole saranno rispettate da tutti, le nuove forme di accoglienza saranno sempre viste da noi come una eccellente opportunità. Ci hanno accusato di essere una lobby per questo. Bene, sono fiero allora di essere parte della lobby dei pagatori delle tasse. Il dilagare del sommerso turistico non fa certo bene alla nostra economia. Non a caso il Ministro Centinaio, che dirige il Dicastero delle Politiche agricole, forestali, alimentari e del turismo, ha annunciato che presto sarà introdotto un codice identificativo che evidenzi le strutture regolari in modo che, per differenza, possa emergere il sommerso. Noi siamo fiduciosi che il codice venga presto definito e divenga operativo, per il bene del Paese. Quanto al resto, chi fa il nostro mestiere oggi non può certo ignorare o fare a meno di realtà come Booking. Il tema delle agenzie on line ci investe in pieno, nel bene e nel male. Noi siamo sempre molto attenti a non farci sopraffare da logiche che tolgano alle nostre strutture la possibilità di gestire le offerte con una certa autonomia.
L’importanza del turismo non si manifesta soltanto attraverso la dimensione dei flussi, ma anche attraverso la capacità della filiera di creare valore. Sempre più spesso infatti si parla anche di turismo sostenibile. A che punto è l’Italia in questo senso?
Vedo il bicchiere mezzo pieno. Fino ad una decina di anni fa il tema in Italia era poco sentito. Ma con la nostra consueta capacità di rimonta, oggi ci stiamo via via adeguando al trend che si respira da tempo a livello europeo. Il turismo sostenibile è un’opportunità di crescita: ormai questo è un concetto acquisito nella nostra categoria. Esso non può che produrre strutture efficienti dal punto di vista energetico, accessibili e sostenibili anche dal punto di vista economico, che si innovano tutelando i territori nei quali vivono, che riducono i rifiuti, che agevolano il contatto con la natura per creare anche beneficio agli ospiti e relazione con l’ambiente. Molti dei nostri associati si stanno adeguando ai nuovi standard e addirittura si stanno specializzando in questo genere. Di strada ce ne è ancora tanta da fare, ma quando ci dedichiamo per bene alle cose, noi italiani riusciamo sempre ad eccellere.
Da tempo si dice che il nostro Paese non riesce a mettere a frutto l’immenso patrimonio artistico, culturale e paesaggistico, ma anche enogastronomico, di cui dispone. Secondo lei una maggiore gestione pubblico/privato dei nostri beni, attraverso ad esempio strumenti di project financing, potrebbe portare benefici?
L’idea di coinvolgere soggetti privati nella realizzazione e nella gestione di un progetto riguardo opere, iniziative e restauri del nostro patrimonio culturale e paesaggistico mi ha sempre trovato d’accordo. Ma da noi non è cosa semplice a causa di una burocrazia oppressiva. Un’operazione molto celebre si è compiuta proprio a Roma con l’ingresso del gruppo di Della Valle nel restauro del Colosseo. Il problema è che nel nostro Paese le persone facoltose sono malviste. I ricchi sono demonizzati, nei loro riguardi si è diffidenti per principio, senza capire che attraverso grossi imprenditori che osano ed investono, si creano opportunità per l’occupazione. Ciò detto, ritengo che al nostro turismo porterebbe grandi benefici soprattutto la definizione di una governance, una cabina di regia che sappia articolare e coordinare tutte le eccellenze della filiera che caratterizzano il meglio del nostro Paese, mettendole a sistema con il loro grande potenziale.
Non abbiamo saputo creare in campo turistico un “sistema Italia” e oggi ci troviamo di fronte ad una serie di sottosistemi regionali, quando non addirittura provinciali, strutturati in maniera spesso totalmente difforme fra regione e regione, con altrettante strategie di marketing che inevitabilmente portano alla competizione fra di loro sui mercati internazionali. È possibile uscire da questo empasse?
Temo che questo sia il nostro grande problema. Non riusciamo a centralizzare, siamo frammentati dalle politiche e dai budget delle varie Regioni che decidono sui territori. Da quando, nel 1993, il Ministero del Turismo è stato soppresso in seguito al referendum popolare, non vi è stata la possibilità di governare a livello centrale un settore che, invece, avrebbe assolutamente diritto e necessità di un dicastero dedicato. Noi lo andiamo dicendo da sempre. Direi che dovrebbe finire il tempo in cui, in contesti di fiere internazionali, sventolino sparute bandierine che pubblicizzano una regione piuttosto che un’altra. Siamo a dir poco obsoleti. È il brand Italia che deve avere appeal e richiamare una platea mondiale. È il Made in Italy il marchio vincente.
Quali misure si sentirebbe di suggerire al nuovo Governo come più urgenti per mettere mano al settore e rilanciarlo?
Non mi stanco di ripeterlo: in primis, la lotta all’abusivismo. Ne guadagnerebbe il Paese in termini di crescita e sviluppo ma ne avrebbero beneficio anche le tasche dello Stato; incentivare gli investimenti garantendo una politica di sgravi fiscali per chi opera nel settore; destinare risorse ai grandi eventi e far in modo che diventino la leva per creare circuiti virtuosi e duraturi per l’economia del territorio. Ma, soprattutto, tenere costantemente al centro dell’agenda governativa iniziative dedicate al settore. Perché il turismo fa bene all’Italia.
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