Come sappiamo, il settore agroalimentare italiano rappresenta un volàno straordinario per l’intera economia nazionale. Il comparto ha un’importanza strategica per il Paese nel suo complesso, con un export in costante crescita: nel 2024 ha raggiunto il valore record di 69,1 miliardi di euro. A fronte di questi exploit, proprio la vitalità e la ricchezza del settore non mancano di suscitare l’interesse delle agromafie, che sempre più si insinuano in ogni varco attraverso cui incrementare i propri profitti. Il fenomeno delle agromafie si è andato strutturando e consolidando negli ultimi anni, investendo tutti gli anelli della filiera, dal settore primario a quello della distribuzione e della ristorazione, aumentando in modo esponenziale i propri introiti illeciti.
Da quando pubblicammo come Eurispes il primo Rapporto, nel 2011, il giro d’affari stimato delle agromafie è praticamente raddoppiato, passando da 12,5 miliardi di euro all’attuale stima di 25,2 miliardi di euro. Una crescita che è stata costante e che ha avuto una sola lieve e congiunturale battuta d’arresto nel 2021 in occasione della crisi pandemica, in cui si è passati dai 24,5 miliardi di euro del 2019 ai 23,5 del 2021. Superata la fase emergenziale, però, il business è tornato a volumi pre-pandemici, a dimostrazione del fatto che, come sempre accade nei periodi di crisi, le organizzazioni sono state pronte a sfruttare la ripresa, da un lato, e a trarre vantaggio dalle fragilità conseguenti all’emergenza, dall’altro.
Nel 2024 l’export agroalimentare italiano ha raggiunto il valore record di 69,1 miliardi di euro
Come già evidenziato in altre edizioni del Rapporto Agromafie realizzato dall’Eurispes in collaborazione con Coldiretti e Fondazione Osservatorio sulla criminalità nell’agricoltura e sul sistema agroalimentare, il fenomeno delle agromafie non è limitato solamente all’Italia ma sta assumendo sempre più rilevanza anche a livello europeo. Questo sia per la capacità delle organizzazioni criminali di replicare, adattando al contesto locale, un modus operandi già collaudato nel nostro Paese, sia per la scarsa consapevolezza di queste dinamiche a livello europeo. Il settore appare particolarmente attrattivo per le organizzazioni criminali, vista la facilità con cui è possibile riciclare denaro proveniente da altre attività illecite. L’attrattività deriva proprio da una apparente contraddizione: il comparto è florido, genera ricchezza e ha un ruolo consolidato grazie anche dalla sua proiezione internazionale, ma, al contempo, la parte più propriamente agricola della filiera è attraversata da una crisi multisistemica che ne erode in modo sostanziale la redditività. Lo scenario attuale, contraddistinto dal quadro internazionale estremamente instabile e volatile, da una minor capacità di accedere a crediti bancari e dagli effetti dei cambiamenti climatici sui raccolti, determina una fragilità del nostro sistema agroalimentare.
Il fenomeno delle agromafie non è limitato solamente all’Italia ma sta assumendo sempre più rilevanza anche a livello europeo
Le ridotte dimensioni delle aziende agricole, da sempre ossatura e risorsa di un Made in Italy basato sulla specificità e la diversità, diventano in questo contesto elemento di vulnerabilità: gli agricoltori si trovano oggi meno pronti ad affrontare i ripetuti shock, soprattutto in presenza di alti tassi d’interesse e di una generale riduzione dei crediti bancari concessi al settore agricolo. La liquidità di cui dispongono le organizzazioni criminali permette loro di offrire prestiti a tassi d’usura a quelle realtà che non riescono ad accedere a crediti attraverso i canali tradizionali e, sempre più spesso, comprare “a pacchetto” realtà agricole sane, ma in difficoltà. Se a ciò si aggiunge che la Grande distribuzione organizzata spesso impone prezzi d’acquisto per i prodotti alimentari che a malapena sono in grado di coprire le spese di produzione, si comprende perché ci sono le condizioni per un sensibile aumento del giro d’affari delle agromafie.
Dal 2011 al 2025 il giro d’affari stimato delle agromafie è raddoppiato, passando da 12,5 a 25,2 miliardi di euro
Oggi, dunque, mutuando l’esperienza del fenomeno del land grabbing, le agromafie sembrano allungare i propri tentacoli anche sulla terra e cioè sulla produzione primaria, approfittando dello stato di bisogno di agricoltori in crisi. Si tratta di una rilevante novità rispetto agli anni passati, quando la penetrazione delle organizzazioni illecite nella filiera agroalimentare era per lo più concentrata nel trasporto e nei canali di vendita, i mercati all’ingrosso e gli esercizi della grande distribuzione organizzata, e nella ristorazione. Acquisire terreni vuol dire riciclare denaro sporco, ma anche assicurarsi una presenza in tutti i processi della filiera, con accesso diretto ai fondi della Ue e ai contributi statali e comunali, alimentando il caporalato e una produzione senza norme. Così la criminalità organizzata investe sempre di più nell’acquisizione di terreni da gestire, operando in regime di legalità, con l’obiettivo di permeare il sistema quanto più possibile e aumentare il proprio giro d’affari.
Le agromafie allungano i propri tentacoli anche sulla produzione primaria, approfittando dello stato di bisogno di agricoltori in crisi
Nell’8°Rapporto Agromafie, si segnala l’intrusione delle agromafie in ogni singolo anello, sia attraverso le indagini delle autorità ispettive e di pubblica sicurezza, sia attraverso lo strumento dell’Indice di permeabilità alle agromafie. Questo Indice, che misura la vulnerabilità delle singole province rispetto alle agromafie indipendentemente dal livello attuale con cui esse si manifestano, mostra come diverse province del Nord Italia presentino una pericolosa predisposizione alla permeabilità, ossia hanno caratteristiche per le quali la presenza delle agromafie, se non ancora avvenuta in modo conclamato, è probabilmente destinata a verificarsi nel prossimo futuro, in assenza di una politica di monitoraggio, di prevenzione e di contrasto. C’è poi un fenomeno ancora più nuovo: la nascita di organizzazioni ramificate tra l’Italia e vari paesi extra-europei che si occupano della gestione della manodopera agricola e che si configurano come gigantesche agenzie informali di brokeraggio e intermediazione illecita per i lavori nelle campagne. Il fenomeno mostra la grande flessibilità di adattamento delle agromafie e l’indubbia capacità che esse hanno nel costruire alleanze trans-nazionali, di mettersi in rete con organizzazioni criminali anche in contesti molto diversi e lontani e operare nel mutuo e illecito interesse.
Nell’8°Rapporto Agromafie si segnala l’intrusione criminale in ogni singolo anello della filiera e le alleanze trans-nazionali
Un altro dato va messo in evidenza: se il giro d’affari delle agromafie si attesta sui 25,2 miliardi di euro, quello dell’Italian sounding e del falso Made in Italy è di circa 120 miliardi di euro, pari a quasi il doppio di quello dell’export agroalimentare totale. Si tratta di una cifra gigantesca, che danneggia il Made in Italy sia in termini di mancata redditività sia in valore reputazionale. Sarebbe quantomai utile produrre strumenti normativi, al momento assenti, per vietare o limitare la commercializzazione di prodotti che ricordano nel nome le eccellenze dell’agroalimentare italiano ma che sono fatti altrove e in modo diverso. Il Made in Italy deve essere tutelato. Ciò è possibile solo facendo in modo che la tracciabilità delle materie prime sia indicata per legge in etichetta per tutti i prodotti. Emerge con forza anche la necessità di garantire l’applicazione di un principio di reciprocità in base al quale i beni alimentari importati devono rispettare le stesse normative, in primis i requisiti di sicurezza alimentare, di quelli prodotti all’interno dell’Unione europea.
Il giro d’affari dell’Italian sounding e del falso Made in Italy è di circa 120 miliardi di euro, quasi il doppio dell’export agroalimentare totale
Non bisogna poi dimenticare che il tema della concorrenza sleale si intreccia con quello della sovranità alimentare: oggi nel nostro Paese si importa il 64% del grano per il pane, il 44% di quello necessario per la pasta, il 16% del latte, il 49% della carne bovina e il 38% di quella suina. Nell’attuale contesto internazionale risulta evidente come non si possa dipendere così tanto dalle importazioni, soprattutto se da paesi esterni all’Ue. Politiche di collaborazione e di alleanza tra i diversi anelli della filiera ‒ il settore produttivo, quello della trasformazione industriale e quello della commercializzazione ‒ rappresentano un passaggio obbligato non solo per remunerare adeguatamente i produttori, ma anche per evitare di essere eccessivamente dipendenti dall’estero per l’approvvigionamento di materie prime in un contesto così volatile.
Se il Made in Italy alimentare va a gonfie vele, lo stesso non può dirsi per tante aziende agricole schiacciate dall’aumento dei costi
In conclusione, la difficile congiuntura internazionale, sommata agli effetti devastanti dei cambiamenti climatici, sta facendo emergere gli elementi di criticità di una filiera agroalimentare che, sia pure vitale, appare pesantemente sbilanciata a favore della distribuzione e a svantaggio del comparto produttivo. Se il Made in Italy alimentare va a gonfie vele, lo stesso non può dirsi per la condizione di tante aziende agricole, schiacciate dall’aumento dei costi, dai cali delle rese e dai prezzi imposti dalla grande distribuzione organizzata. Questa vulnerabilità favorisce la penetrazione di interessi criminali, che appaiono sempre più interessati a colonizzare territori nuovi, come appunto quello della produzione primaria. Tutelare le imprese agricole promuovendo una più equa distribuzione di valore lungo la filiera, oltre che normative atte a difenderle dalla concorrenza sleale di prodotti e materie prime importate dall’estero, appare un’azione da svolgere con la massima urgenza.
Contro le agromafie servono politiche integrate di filiera e ridistribuzione del valore tra tutti i soggetti operanti nel comparto agroalimentare
Se il giro d’affari delle agromafie è in costante crescita ‒ in modo anche più significativo rispetto all’incremento di fatturato dell’agroalimentare italiano nel suo complesso ‒ è perché negli ultimi anni queste organizzazioni si stanno internazionalizzando e stanno occupando in modo pervasivo tutti gli anelli della filiera, in una specie di processo di integrazione verticale. Parallelamente all’azione repressiva efficacemente messa in atto dalle Forze di autorità ispettiva e di pubblica sicurezza, è necessario attuare un’azione preventiva, che passa per la promozione di politiche integrate di filiera e per la ridistribuzione del valore tra tutti i soggetti operanti nel comparto agroalimentare.
*Gian Maria Fara, Presidente dell’Eurispes.