Il Presidente dell’Anac, Giuseppe Busia, ha tenuto questa mattina alle 11 presso la Camera dei deputati la Relazione annuale dell’attività dell’Autorità Nazionale Anticorruzione. L’intervento è stato preceduto dai saluti istituzionali del Vicepresidente della Camera dei Deputati Sergio Costa, il quale ha posto l’attenzione su alcuni dati. La corruzione ha un costo annuo, in Italia, che si aggira intorno ai 7 miliardi di euro: l’equivalente di 1.300 euro per cittadino all’anno, oppure il 13% del Pil su base annua. Nell’Unione europea, il costo degli eventi corruttivi su base annua si aggirerebbe, invece, sui 900 miliardi di euro.
Pnrr, trasparenza e controllabilità come precondizioni
Tra i temi affrontati dal Presidente Anac, invece, figurano il Pnrr e la necessità di una sua rinegoziazione, l’eccessivo utilizzo di deroghe e soglie alte nel nuovo Codice appalti “scorciatoie meno efficienti e foriere di rischi”, i pericoli del subappalto a cascata, i freni dell’ingresso di donne e giovani negli appalti Pnrr, la non introduzione nel Codice dell’obbligo di dichiarare il titolare effettivo, come richiesto da Anac. Al momento, sono state erogate solo il 14% delle risorse contemplate dal Piano europeo. Sul Pnrr sarà dunque decisiva la rinegoziazione di alcune misure secondo il Presidente Busia. «Non tutti gli investimenti hanno la medesima urgenza. Per questo possono essere utilmente spostati su altri finanziamenti europei. Il Pnrr deve essere terreno condiviso, sottratto alla dialettica politica di corto respiro. Precondizione di tutto ciò è la massima trasparenza e controllabilità dei progetti e dello stato degli investimenti». Sul Pnrr, il Presidente Anac ha inoltre posto l’accento su trasparenza e controllabilità quali precondizioni irrinunciabili degli investimenti.
Codice Appalti, il 90% delle gare esclude la qualificazione delle stazioni appaltanti
In riferimento al nuovo Codice Appalti, Busia ha ripetuto: «La deroga non può diventare regola, senza smarrire il suo significato e senza aprire a rischi ulteriori. Nel tempo in cui, grazie all’impiego delle piattaforme di approvvigionamento digitale e all’uso di procedure automatizzate, è possibile ottenere rilevantissime semplificazioni e notevoli risparmi di tempo, accrescendo anche trasparenza e concorrenza, sorprende che per velocizzare le procedure si ricorra a scorciatoie certamente meno efficienti, e foriere di rischi. Tra queste, l’innalzamento delle soglie per gli affidamenti diretti, specie per servizi e forniture, o l’eliminazione di avvisi e bandi per i lavori fino a cinque milioni di euro». Forte il richiamo del Presidente Anac alla qualificazione delle stazioni appaltanti, indispensabile per la modernizzazione dell’Italia e raggiungere standard europei. «Le potenzialità insite nella riforma – ha aggiunto il Presidente Anac – sono state, tuttavia, limitate innalzando a 500.000 euro la soglia oltre la quale è obbligatoria la qualificazione per l’affidamento di lavori pubblici, col risultato di escludere dal sistema di qualificazione quasi il 90% delle gare espletate». «Non possiamo più sostenere un’architettura istituzionale in cui tutte le 26.500 stazioni appaltanti registrate possano svolgere qualunque tipo di acquisto, a prescindere dalle loro capacità. Occorre una drastica riduzione del loro numero, unitamente alla concentrazione delle procedure di affidamento in alcune decine di centrali di committenza specializzate, diffuse sul territorio, che diventino centri di competenza al servizio delle altre stazioni appaltanti. Si tratta di una necessità, non solo per rispondere all’obiettivo posto dal Pnrr, ma anche per assicurare procedure rapide, selezionare i migliori operatori e garantire maggiori risparmi nell’interesse generale».
Subappalto a cascata, Anac: “il Legislatore colmi tale mancanza”
Busia ha poi messo in guardia sui rischi del “subappalto a cascata”. «Il nuovo Codice appalti – ha detto – ha eliminato il divieto del “subappalto a cascata”. Non possiamo dimenticare che tale istituto, per poter conservare una ragione economica, quasi sempre porta con sé, in ogni passaggio da un contraente a quello successivo, una progressiva riduzione del prezzo della prestazione. E questa necessariamente si scarica o sulla minore qualità delle opere, o sulle deteriori condizioni di lavoro del personale impiegato. Quando il ricorso al subappalto non è giustificato dalla specificità delle prestazioni da realizzare, mentre può risultare vantaggioso per il primo aggiudicatario, si rivela il più delle volte poco conveniente per la stazione appaltante, per i lavoratori e per le stesse imprese subappaltatrici, che vedono via via compressi i propri margini di profitto, rispetto a quanto avrebbero ottenuto come aggiudicatarie dirette». Quanto all’obbligo di dichiarare il titolare effettivo nelle gare pubbliche, Busia ha rimarcato: «Purtroppo, si è persa l’occasione di introdurre nel Codice, nonostante i numerosi solleciti, l’obbligo per gli operatori economici di dichiarare il titolare effettivo dell’impresa, rafforzandolo con adeguate sanzioni per l’omessa o la falsa dichiarazione. Gli enti pubblici devono conoscere i soggetti con cui intrattengono rapporti contrattuali, al di là degli schermi societari. Speriamo che il legislatore voglia presto colmare tale mancanza, in linea con quanto richiesto dalla normativa internazionale, anche in materia di antiriciclaggio».
Anac impegnata su parità generazionale e di genere
Sul lavoro di donne e giovani negli appalti Pnrr, il Presidente Anac ha sottolineato l’impegno, da parte di Anac, per la migliore implementazione della disciplina sulla parità generazionale e di genere nei contratti pubblici. Tuttavia, i dati confermano che quasi nel 60% degli appalti sopra i 40.000 euro e nel 44% di quelli sopra i 150.000 euro, le stazioni appaltanti non hanno inserito, nei bandi, le relative clausole. Per quanto riguarda il Decreto sul Ponte dello Stretto, Busia ha ribadito: «Rileviamo uno squilibrio nel rapporto tra il concedente pubblico e la parte privata, a danno del pubblico, sul quale finisce per essere trasferita la maggior parte dei rischi. Il recente decreto-legge, sulla base di un progetto elaborato oltre dieci anni fa, ha riavviato l’iter di realizzazione del ponte tra Sicilia e Calabria. Sono stati, da parte di Anac, proposti alcuni interventi emendativi volti a rafforzare le garanzie della parte pubblica, non accolti, tuttavia, dal Governo in sede di conversione del decreto».