Vittorio Rizzi, Vice Direttore Generale della Pubblica Sicurezza e Direttore Centrale della Polizia Criminale, interviene sui temi della corruzione, sia nella percezione della stessa in alcuni settori specifici, che nella Pubblica amministrazione, dove sono fondamentali le strategie operative a contrasto, come ad esempio il whistleblowing. Per Rizzi la sfida principale è, in particolare in alcuni settori sensibili come quello delle costruzioni, individuare gli eventuali soggetti occulti che si “celano” dietro imprese solo apparentemente sane, a tutela di tutti gli attori del comparto.
Come giudica gli attuali strumenti di cui il nostro Paese si è dotato nella lotta alla corruzione?
Per rispondere alla presente domanda, occorre fare una premessa. La corruzione, come sappiamo, è un male endemico che attanaglia la nostra società, per fronteggiare il quale il nostro legislatore, negli ultimi vent’anni, ha fatto ricorso a strumenti di tipo repressivo. Con la legge anticorruzione del 2012, si rafforza l’aspetto preventivo e si potenzia l’accountability dei pubblici ufficiali. Il primo strumento innovativo, introdotto dalla citata legge, è sicuramente la disciplina del whistleblowing, ovvero una tutela del dipendente pubblico che denuncia fatti illeciti di cui è venuto a conoscenza in ragione del rapporto di lavoro. Segue poi il Piano Nazionale Anticorruzione, ovvero le modalità attraverso le quali le Amministrazioni Pubbliche definiscono la valutazione del diverso livello di esposizione degli uffici a rischio di corruzione. Nel 2014 è stata poi istituita l’Autorità Nazionale Anticorruzione (A.N.A.C.), la cui mission si concretizza nell’attività di prevenzione della corruzione nella Pubblica amministrazione, attraverso l’attuazione della trasparenza in tutti gli aspetti gestionali e l’attività di vigilanza nell’ambito dei contratti pubblici. Infine, abbiamo i codici di comportamento, la rotazione del personale, l’obbligo di astensione nei casi di conflitto di interesse, la disciplina delle incompatibilità: disponiamo di strumenti preventivi che sono oggi una risposta molto incisiva alla corruzione.
A suo avviso, la percezione diffusa nel nostro Paese rispetto alla pervasività della corruzione nel settore delle costruzioni/infrastrutture rispecchia lo stato reale delle cose? Ritiene sia diffusa, in Italia, una sorta di criminalizzazione del settore?
È probabile che fino a diversi anni fa fosse così: i costi del fenomeno corruttivo, anche solo percepito, e non solo nel settore delle costruzioni, erano enormi; i costi diretti, legati ad esempio all’alterazione della concorrenza e alla perdita di una fetta degli investimenti esteri; quelli indiretti, correlati ai ritardi nella definizione delle pratiche amministrative e al cattivo funzionamento dell’apparato pubblico; quelli di sistema, come ad esempio l’uguaglianza e la fiducia nelle Istituzioni. Oggi, grazie anche all’introduzione dei già descritti strumenti preventivi, alla modifica di quelli repressivi e della normativa di settore ‒ basti pensare all’affidamento diretto ‒ penso che la percezione sia cambiata, ma ancora tanto c’è da fare. Un decisivo contributo potrebbe venire dalla digitalizzazione della macchina amministrativa e dal ricorso a strumenti informatici, come i registri distribuiti blockchain e gli smart contract, in grado di limitare fortemente il rischio corruzione.
Qual è, a suo avviso, il modo strategico ai fini di un efficace contrasto delle infiltrazioni criminali nel settore delle costruzioni?
Fermi restando gli efficaci strumenti messi a disposizione dal legislatore con il d.lgs. n. 159/2011 e ss.mm.ii., appare opportuno evidenziare che la sfida è quella di individuare gli eventuali soggetti occulti che si “celano” dietro imprese solo apparentemente sane: persone giuridiche, come per esempio società di progetto create ad hoc o persone fisiche che di fatto fungono da prestanome. È necessario, inoltre, porre costante attenzione ai flussi di capitali che rientrano dall’estero, alle società fiduciarie (quelle che, come noto, assumono l’impegno di amministrare i beni o l’organizzazione contabile di aziende appartenenti a terzi) e alle imprese finanziarie che dispongono di ingenti risorse.
Come ritiene si possa affrontare il problema della infiltrazione criminale nella gestione delle cave? Ritiene esista anche un problema di insufficienza dei controlli?
L’attività estrattiva di cava è un’attività economico-produttiva alla base del ciclo del cemento, ovvero di tutte quelle attività preliminari alla realizzazione di costruzioni civili e industriali che costituiscono le infrastrutture del Paese. La materia, che ricade sotto una normativa quadro europea ‒ in particolar modo per quanto attiene alle valutazioni di impatto ambientale ‒ dal punto di vista amministrativo è di competenza delle Regioni e degli Enti locali, come stabilito dall’art. 11, comma 2 del d.lgs. 112/1998, che legiferano sulle modalità, i tempi e i requisiti soggettivi e tecnici che le imprese e i loro titolari devono rispettare al fine di ottenere il rilascio dei provvedimenti autorizzativi. Per quanto attiene alla certificazione antimafia delle suddette imprese, questa segue le disposizioni previste dagli artt. 67 e 83 del d.lgs. 159/2011. I controlli propedeutici al rilascio delle autorizzazioni sono sicuramente efficaci nell’intercettare eventuali tentativi di infiltrazione mafiosa, ma trattandosi di provvedimenti autorizzativi che hanno durata anche decennale, si pone la questione dell’opportunità dei controlli nel lungo periodo, che non sono attualmente previsti dalla normativa nazionale vigente. Diversamente avviene, per esempio, nel caso dell’iscrizione di un’impresa alle white list, là dove i controlli vengono effettuati ogni anno al rinnovo dell’iscrizione e comunque l’impresa stessa è obbligata per legge a comunicare eventuali variazioni societarie; oppure nel caso degli appalti pubblici, ove volta per volta si procede alle verifiche antimafia prima di stipulare, approvare o autorizzare i contratti e subcontratti relativi a lavori, servizi e forniture pubblici. Ovviamente, il legislatore ha previsto più stringenti controlli nei casi delle white list e degli appalti pubblici, per scongiurare il rischio che il denaro pubblico possa confluire nelle casse di un’impresa in odore di mafia. L’esperienza maturata nel contrasto all’infiltrazione mafiosa nell’ambito delle attività collegate al ciclo del cemento, ci fa accendere i riflettori proprio sul momento iniziale e fondamentale della produzione dei materiali necessari a costruire. Stiamo valutando l’opportunità, quindi, di un monitoraggio attivo su tutte le attività estrattive di cava di cui, peraltro, il nostro Paese è ricco. Un primo passo è stato fatto con la mappatura delle cave presenti nella regione Piemonte. Il progetto è tutt’ora in corso e sta procedendo con l’analisi di tutte le imprese che gestiscono l’attività di cava. Per dare un’idea della consistenza numerica del comparto produttivo, nella sola regione Piemonte insistono 254 imprese di piccola e media grandezza che gestiscono 323 siti estrattivi, da cui vengono prodotte 27 tipologie di materie prime. Le risultanze di detta analisi consentiranno di valutare l’opportunità di estendere tale progetto di verifica anche in altre aree del Paese.
Le organizzazioni mafiose riescono a garantirsi gli appalti più appetibili, aggirando i requisiti fissati dai bandi per la partecipazione alle gare, grazie all’escamotage della partecipazione a “Consorzi di imprese”. Come si può contrastare il fenomeno?
Il fenomeno può essere contrastato attraverso due strumenti: uno normativo, l’altro pattizio. Per ciò che concerne il primo, recentemente è stato modificato l’art. 85 del Codice Antimafia, il quale ha previsto che la verifica antimafia sia effettuata anche nei confronti della governance e dei consorziati che detengano nei consorzi e nelle società consortili una quota di partecipazione, anche indiretta, pari almeno al 5%, abbassando così la soglia che, prima della modifica, era del 10%. Per quanto riguarda il secondo strumento, di sicuro interesse sono i “protocolli di legalità”, stipulati a livello locale, i quali possono escludere qualsiasi tipo di soglia, come ad esempio accade per le opere connesse alla realizzazione della TAV Torino-Lione, e quindi tutti i relativi lavori ‒ che siano essi appalto, subappalto, affidamento, etc. di qualsiasi valore ‒ vengono sottoposti a verifica antimafia da parte del locale Gruppo Provinciale Interforze e, nello specifico a livello centrale, dal Gruppo Interforze Centrale, costituito recentemente presso la Direzione Centrale della Polizia Criminale.
Secondo lei, il progresso e lo sviluppo di nuovi strumenti di controllo (ad esempio il BIM) nel settore informatico in che modo possono contribuire alla lotta contro la criminalità per tutelare il comparto edile/infrastrutturale, ma non solo quello?
I nuovi strumenti di controllo nel settore informatico e la possibilità di incrociare tra loro le informazioni si inseriscono a pieno titolo tra le fonti primarie di acquisizione dati per la lotta alla criminalità. Il BIM (Building Information Modeling) in particolare, introdotto dal legislatore nel 2016 con il d.lgs. n. 50/2016, contenente le norme sul nuovo Codice degli appalti, rappresenta un punto cardine dell’era digitale nei settori dell’architettura, dell’industria e della ingegneria delle costruzioni. Siamo nella edilizia 4.0, i tempi di costruzione sono ridotti e certi, i costi di gestione e manutenzione sono inferiori, le risorse vengono utilizzate in modo efficiente. Si tratta, nella sostanza, di un modello informatico digitalizzato di contrasto al disallineamento, finalizzato a garantire la interoperabilità tra i diversi linguaggi informatici e di gestione delle conoscenze relative all’ambiente costruttivo. In tale contesto, in cui entro il 2025 tutte le opere edili nel settore pubblico dovranno progressivamente allinearsi, risulterebbe auspicabile dotare questo modello standardizzato per la gestione, ai fini del contrasto alla criminalità organizzata, anche dei Grandi Eventi.
Ritiene che in Italia esista un efficace dispositivo di contrasto ai tentativi di infiltrazioni della criminalità organizzata negli appalti pubblici con particolare riguardo al settore delle costruzioni nei territori colpiti da calamità naturali e per le grandi opere? (quali ad esempio la linea ferroviaria TAV Torino-Lione e/o le prossime Olimpiadi invernali)
Ritengo che in Italia esista un efficace dispositivo di contrasto ai tentativi di infiltrazione della criminalità organizzata negli appalti pubblici, con particolare riguardo al settore delle costruzioni, ai territori colpiti da calamità naturali e alle grandi opere. Posso citare il Codice degli appalti, i già menzionati protocolli di legalità, la normativa speciale: basti pensare al Regolamento dei Contratti annesso all’accordo Italia-Francia per la realizzazione della sezione transnazionale della Torino-Lione del 9 giugno 2016 che, mutuando in parte le disposizioni del nostro Codice antimafia, prevede che l’emissione di un provvedimento interdittivo o la liberatoria antimafia scaturiscano da una decisione condivisa del prefetto di Torino e del suo omologo francese. A tal proposito, mi fa piacere sottolineare che i cugini transalpini utilizzano una legislazione antimafia nell’ambito degli appalti pubblici, su chiaro e collaudato esempio del sistema italiano. Altro strumento è il già citato G.I.C. (Gruppo Interforze Centrale), che opera attività di monitoraggio, raccolta e analisi delle informazioni antimafia, nonché fornisce il supporto specialistico all’attività di prevenzione amministrativa dei prefetti, anche in relazione alla realizzazione di opere di massimo rilievo e al verificarsi di qualsivoglia emergenza che ne giustifichi l’intervento. Più in generale, il contrasto ai tentativi di infiltrazione negli appalti e quindi nell’economia viene assicurato anche da attività di monitoraggio e analisi condotte a livello nazionale e internazionale. Ricordo che in Italia l’8 aprile 2020 è stato costituito un “Organismo permanente di monitoraggio e analisi del rischio di infiltrazione nell’economia da parte della criminalità organizzata”, da me presieduto, al quale partecipano le Forze di Polizia. Tale Organismo si avvale, tra l’altro, dei contributi informativi forniti dalla rete degli esperti per la sicurezza operativi in tutto il mondo. L’esperienza maturata in Italia è stata replicata a livello internazionale nell’ambito di Europol con la creazione, nel giugno 2020, del Working group on Covid-19 criminal threats and law enforcement responses. Questo gruppo di lavoro, co-diretto dall’Italia e da Europol, rappresenta una cabina di regia che mira a rafforzare la cooperazione internazionale di polizia al fine di evitare i rischi d’infiltrazione della criminalità organizzata nell’economia dei paesi europei ed ha avuto il merito di accrescere la consapevolezza sull’esigenza di “mettere a fattor comune” le nostre migliori energie e professionalità, soprattutto ora che i primi fondi del Next EU Generation sono in via di erogazione agli Stati Membri. Il 21 e il 22 settembre scorsi è stato organizzato, su iniziativa italiana, a Roma un Law Enforcement Forum al quale hanno partecipato i rappresentanti delle Forze di Polizia degli Stati Membri al fine di condividere le best practice in materia di controlli sui fondi Next EU Generation. L’obiettivo perseguito è stato proprio quello di sviluppare una strategia comune di contrasto alla minaccia di infiltrazioni delle organizzazioni criminali rispetto alle ingenti risorse economiche che saranno disponibili con la fase operativa del programma comunitario Next Generation EU.