Gli scioperi di Stradella, la “città del libro”, incrociano i temi dei diritti con quelli del mercato editoriale odierno. Circa un mese fa i lavoratori dello stabilimento di Stradella (Pavia), il principale hub in Italia per la distribuzione libraria, hanno intrapreso una serie di scioperi sindacali. La richiesta dei lavoratori riguardava garanzie su licenziamenti, temuti sia per l’imminente sblocco degli stessi post-Covid che per l’introduzione di un macchinario di nuova generazione, “Shuttle”, in grado di automatizzare una parte delle attività compiute dall’uomo. I lavoratori chiedevano inoltre maggiori diritti su malattia e buoni pasto, ritenuti insufficienti in relazione allo sforzo produttivo richiesto.
Gli scioperi sono terminati in un accordo con l’azienda, me non è la prima volta che assistiamo a uno scenario del genere. Già nel 2019 altri scioperi avevano bloccato la distribuzione libraria per riconsiderare gli accordi tra lavoratori e azienda.
Distribuzione centralizzata e mercato del libro
Fermare un hub di tale portata significa bloccare la distribuzione dei libri in tutta Italia e a tutti i livelli: editori grandi e piccoli, librerie di catena e indipendenti, libri in uscita, ristampe, o in coincidenza con importanti premi e manifestazioni (ad esempio il Premio Strega), appuntamenti che spingono i titoli in concorso favorendone diffusione, visibilità e vendite. Campagne stampa, iniziative di marketing, programmazioni commerciali andate in fumo per uno stabilimento in agitazione sindacale. Per un mercato già in perenne affanno è un duro colpo, che deve far riflettere su un dato molto importante, ovvero la realtà centralizzata e il regime di monopolio che caratterizzano la distribuzione nell’editoria libraria.
Gli hub della logistica nell’ingranaggio editoriale
Il settore della logistica è uno dei più travagliati degli ultimi tempi in quanto a diritti e negoziazioni sindacali. La pandemia ha inciso con l’espansione dell’e-commerce, l’incremento dei volumi di vendita e la pressione sui lavoratori per adempiere alle consegne. Basti pensare ai recenti fatti di cronaca, che hanno provocato la morte del sindacalista Adil Belakhdim che stava partecipando a un picchetto davanti alla Lidl di Biandrate. La vicenda risulta ancora più drammatica in quanto Belakhdim è stato investito da un altro lavoratore della logistica, forse anch’egli stritolato da orari, richieste e meccanismi disumani. L’altra faccia dell’e-commerce, una risorsa imprescindibile nel periodo di lockdown, risiede proprio nell’esercito dei lavoratori che lo sostengono. È quanto denuncia Sorry we missed you, la pellicola di Ken Loach – Palma d’oro a Cannes nel 2020 – che racconta cosa vuol dire consegnare i pacchi per Amazon, aprendo un inquietante scenario sui lavoratori della logistica.
La bibliodiversità è a rischio col monopolio della distribuzione
L’editoria non è lontana da meccanismi di disumanizzazione del lavoro, che spesso sono imputati esclusivamente ai giganti dell’e-commerce. Ci si sorprende del fatto che il nobile settore della cultura sia assuefatto a pratiche lesive della dignità dei lavoratori, ma non potrebbe essere altrimenti. Non potrebbe, innanzitutto perché il settore della logistica coinvolge ogni attività commerciale ed economica. E perché i costi di distribuzione e promozione di un libro oggi equivalgono a più del 50% del suo prezzo di copertina, in un regime di monopolio detenuto da pochi attori in campo. Ciò crea essenzialmente due effetti: il primo è una chiusura del mercato ai piccoli editori che vengono schiacciati da meccanismi distributivi imposti da grandi distributori (che oggi coincidono con i grandi editori). Un altro effetto è che la bibliodiversità non venga favorita da una distribuzione che premia i grandi editori e relega i piccoli alla marginalità. Se un piccolo editore deve dare più del 50% del prezzo di copertina al distributore per essere sul mercato, quante copie dovrà stampare e vendere per raggiungere il punto di pareggio e ricavarne profitto?
Filiera del libro etica, diritti per i lavoratori della logistica
Il discorso di filiera etica e solidale dovrebbe coinvolgere più settori produttivi, e non solo quello agricolo o manifatturiero. La ricomposizione di un tessuto economico “a chilometro zero” dovrebbe farsi spazio anche nella filiera editoriale, e ciò andrebbe a favorire anche realtà ed economie locali, librerie di quartiere, piccoli editori con tutto il loro indotto. Molti editori, per sostenere i costi, stampano i propri libri all’estero, a costi più competitivi e a discapito delle tipografie del proprio territorio, ad esempio. Realtà distributive alternative si stanno facendo strada, ma non basta opporsi agli antagonisti dell’e-commerce: bisogna ripensare l’intera filiera del libro. Così come bisogna sostenere i lavoratori della logistica per far crescere tale settore anche sul fronte dei diritti e delle garanzie, oggi che sappiamo quanto esso rappresenti una risorsa fondamentale per ogni attività commerciale, anche una volta fuori dalla pandemia.