La distribuzione è uno dei nodi fondamentali dell’editoria odierna, non solo perché in continua evoluzione (anche il colosso Amazon è entrato recentemente nella distribuzione), ma perché rappresenta il costo maggiore per un editore in termini di percentuale sul prezzo del libro. La distribuzione, ovvero la possibilità di accedere ai canali di vendita per un editore, attualmente ha un peso del 50-60% sul prezzo di copertina, opportunamente ripartito tra libraio (che guadagna tra il 28-33%) e distributore stesso (che si occupa anche della promozione, ovvero di fornire rappresentanti fisici nelle librerie che presentino al libraio i prodotti).
La distribuzione, per un editore, rappresenta la possibilità di essere vivo e reperibile sul mercato, e per questo le dinamiche distributive possono decretare la fine o il successo di un marchio, di un progetto, di un libro. Il rischio è che le storture distributive (che risentono delle dinamiche monopolistiche dei gruppi editoriali) distorcano la vivacità e oscurino la “bibliodiversità” dell’industria editoriale in Italia. Ad oggi, la distribuzione è gestita principalmente dagli stessi gruppi editoriali che controllano per intero la filiera, e da editori arrivano direttamente alle librerie di catena, che si impongono per reperibilità, capillarità, e l’unione che fa la forza.
Ma i dati Istat 2017 sorprendono, in quanto fanno un altro racconto della situazione distributiva, portando in primo piano la realtà delle librerie indipendenti, ovvero di quelle che non appartengono a catene o marchi. Si distinguono dalla grande distribuzione e dalle librerie di catena non solo per dimensione, ma soprattutto perché hanno un legame speciale col contesto urbano, ovvero nascono come emanazione del territorio e con la volontà di integrarsi nel tessuto sociale e urbanistico del quartiere e della città in cui sorgono. Benché i dati ci raccontino soprattutto le difficoltà delle librerie indipendenti, ovvero quelle che chiudono ogni anno per insolvenze e debiti, i dati Istat le segnalano come canale preferenziale degli editori, non solo piccoli, ma anche medi e, con molta sorpresa, grandi. Un risultato interessante e di sicuro in crescita, ma che non deve distrarre dal dato che le librerie indipendenti occupano circa il 23% del mercato, mentre il 70% della torta se lo spartiscono librerie di catena ed e-commerce. Seguono gli store online italiani (i principali sono legati al maggiore distributore italiano, Messaggerie), e le librerie di catena che sono preferite, come immaginabile, dai grandi editori e molto meno dai piccoli, che non trovano qui lo spazio espositivo e la promozione giusta. Si segnalano, come canale di commercializzazione, gli eventi diretti ‒ che mettono in comunicazione l’editore coi lettori ‒ quali fiere di settore, manifestazioni, mercatini. I piccoli e medi editori le preferiscono in misura minore (3,9 e 4,7 rispettivamente) rispetto ai grandi editori (5,4), forse per i costi proibitivi che molto spesso queste manifestazioni hanno, in termini di affitto degli stand e degli allestimenti, e che sono davvero difficili da coprire per un editore piccolo. Il Salone del Libro, Più Libri Più liberi, BookPride, Bookcity: fiere di settore molto diverse tra loro per costi e caratteristiche, ma che rappresentano una possibilità di contatto e promozione diretta che abbatte i costi della distribuzione (escludendo le spese di partecipazione alla fiera). Altro dato interessante emerso dall’indagine, il tramonto della grande distribuzione organizzata, ovvero la notizia che finalmente i libri non si vendono più nei supermercati, ma hanno bisogno di un loro spazio specifico debitamente organizzato e studiato, come dimostrano gli esempi virtuosi delle Librerie.coop.
Negli ultimi anni, insieme a tante librerie indipendenti che hanno chiuso i battenti, altre ne continuano a nascere, e assomigliano sempre di più alla realtà editoriale indipendente italiana; potremmo, anzi, dire che le due cose procedano in parallelo. Così come i piccoli editori si specializzano per creare la propria nicchia di mercato e resistere, allo stesso modo le librerie si inseriscono nel tessuto sociale non solo con la pretesa di vendere libri, ma con la volontà, nella maggioranza dei casi, di diventare un presidio culturale, punto di riferimento, di dibattito e di aggregazione. Nascono per un pubblico di lettori per nulla generalista, ma specifico e legato alle caratteristiche sociali e abitative del quartiere. Altro punto fortemente caratterizzante delle librerie indipendenti è che molte prediligono, laddove possibile, il rapporto diretto con l’editore, abbattendo di fatto i costi della distribuzione e consentendo maggiori guadagni per libraio ed editore; inoltre, vi si riscontra una conoscenza profonda dei cataloghi di case editrici indipendenti, alternative al mercato mainstream.
Le librerie di quartiere, dunque, nel migliore dei casi, sono luoghi di incontro per eventi culturali, iniziative di lettura e approfondimento; in alcuni casi esse divengono realtà aggregative che si sostituiscono a quelle del passato, finite e rimpiazzate da nessuna alternativa, soprattutto nella provincia e nella periferia cittadina. In conclusione, possiamo affermare che l’interesse degli editori per le librerie indipendenti è la conferma che c’è ancora bisogno dei librai, e non tutto può essere delegato a una piattaforma online.