Cryptoasset, gli strumenti non regolamentati dalla Direttiva antiriciclaggio

cryptoasset

La definizione di “valute virtuali” riportata all’interno della V Direttiva antiriciclaggio è oggi vaga e a tratti incompleta: «una rappresentazione di valore digitale che non è emessa o garantita da una banca centrale o da un ente pubblico, non è necessariamente legata a una valuta legalmente istituita, non possiede lo status giuridico di valuta o moneta, ma è accettata da persone fisiche e giuridiche come mezzo di scambio e può essere trasferita, memorizzata e scambiata elettronicamente». Il Regolamento europeo MICA (Markets in Crypto-Assets), che verrà introdotto per regolare nello specifico questo mercato, è ancora una proposta, ma verrà presto sottoposto al voto del Parlamento europeo. Al di là di quelli che sono gli obiettivi e le prospettive di questo testo, che saranno affrontati in seguito, è fondamentale volgere l’attenzione ad su una delle maggiori novità, vale a dire la nuova definizione di cryptoasset.

Definizione di cryptoasset

Viene così finalmente scelta una terminologia armonizzata nel quadro legislativo europeo, dove finora sono stati utilizzati molti termini differenti per definire sia la nozione di criptovalute che di cryptoasset. Diversamente dalla V Direttiva, infatti, il Regolamento MICA definisce i cryptoasset (o cripto-attività, nella traduzione italiana) come «una rappresentazione digitale di valore o di diritti che possono essere trasferiti e memorizzati elettronicamente, utilizzando la tecnologia di registro distribuito o una tecnologia analoga». Questa definizione si focalizza due punti principali: la natura di rappresentazione di valore e la tecnologia sottostante a questo tipo di asset. Data l’ampiezza, inoltre, può includere alcune categorie di attività ancora  sfuggenti al campo di applicazione della legislazione europea, concentrando l’attenzione soprattutto sulla tecnologia utilizzata. Peraltro, questo sistema probabilmente riuscirà a sopravvivere meglio alle innovazioni del mercato, dato che, ai sensi dell’art.3 del Regolamento, la Commissione europea avrà il potere di adottare atti delegati per modificare ciascuna definizione in seguito ad eventuali rapidi cambiamenti nella tecnologia dei cryptoasset.

Cryptoasset: ICO, DeFi, DAO, NFT

In ogni caso, per comprendere quali strumenti presenti sui mercati rientrino attualmente nella categoria dei cryptoasset, si possono individuare tre tipologie principali: utility token, investments e currencies. Mentre quest’ultima è ampiamente nota, si analizzeranno prima le implicazioni dell’uso di token e investments. Quando si parla di strumenti di investimento in ambito cryptoasset, si può fare riferimento in particolare agli Initial Coin Offer (ICO), utilizzati principalmente per raccogliere capitali ed avviare un progetto su una piattaforma blockchain. L’approdo sempre più frequente di imprese tradizionali, consumatori, investitori a questa tipologia di investimento è cruciale e potenzialmente rivoluzionario, perché in grado di influenzare gli equilibri di mercato. Ed infatti, i governi nazionali stanno cominciando a notare che in questo momento molte persone ed enti si espongono a strumenti finanziari che a volte non comprendono appieno.  L’unica garanzia delle criptovalute e dei cryptoasset in genere, infatti, si basa sulla volontà dei singoli utenti di accettarla e riconoscerla come mezzo di scambio. Si dice spesso che le criptovalute in generale sono strumenti trustless, perché non si affidano alla fiducia in un istituto finanziario, come accade altrimenti con il denaro tradizionale. Al contrario, in questo senso, possiamo dire che una criptovaluta è digital trusted, proprio per il ruolo svolto dalla fiducia degli utenti nella determinazione del suo valore.

Per quanto riguarda gli utility token, vengono spesso definiti come dei token digitali di criptovaluta, emessi al fine di finanziare lo sviluppo della criptovaluta stessa, e che possono essere successivamente utilizzati per  acquistare un bene o servizio specifico offerto dall’emittente della criptovaluta. In taluni casi, possono essere utilizzati anche per servizi non collegati, dato che il vincolo ad una criptovaluta specifica è spesso solo occasionale e legato alla blockchain su cui operano. La complessità dell’insieme dei cryptoasset si apprezza ulteriormente se si analizzano altre categorie e mercati che fino ad ora sfuggivano alla regolamentazione antiriciclaggio; fino ad oggi, infatti, ad eccezione delle “valute virtuali”, non è mai stato chiarito cosa rientri nell’ambito della legislazione europea. Ed in particolare si farà poi riferimento alla Finanza Decentralizzata (DeFi), alle DAO e agli NFT.

ICO, possono considerarsi valute virtuali?

Partendo da un concetto già affrontato, non è attualmente chiaro se le ICO, cui accennavamo in precedenza, debbano essere considerate valute virtuali. Anche se l’acronimo significa letteralmente “Offerta iniziale di monete”, non sono sempre strettamente intese come valute. Si basano anch’esse sulla tecnologia DLT, ma le caratteristiche della loro emissione presentano alcune differenze sostanziali. Difatti, mentre in generale una criptovaluta può essere creata per facilitare determinate transazioni, le ICO sono token (solo a volte intese come monete/mezzo di pagamento) ottenuti attraverso lo scambio di valute virtuali. Questi token rappresentano un valore digitale espresso come un registro di identità digitale; a volte un diritto di voto, in alcuni casi un diritto di conversione in un’altra valuta finanziabile, o ancora come chiave di accesso al software della piattaforma blockchain di riferimento. Pertanto, alcune di queste funzioni potrebbero rientrare nell’attuale definizione europea di valute virtuali, ma molti altri le sfuggirebbero, portando a una discrepanza di trattamento tra strumenti finanziari in realtà molto simili.   

La DeFi, il crypto-mercato di maggiore crescita negli ultimi anni

La DeFi (Decentralized Finance – Finanza decentralizzata) ha rappresentato probabilmente il crypto-mercato di maggiore crescita negli ultimi anni. Gli strumenti forniti in tale sistema hanno lo scopo di facilitare gli scambi tra gli utenti del mercato che non hanno bisogno di un provider o di altro genere di intermediario, consentendo scambi diretti tra gli utenti privati e rendendo più difficile un controllo sul movimento delle risorse. Si tratta di un settore che ha visto una crescita enorme negli anni pandemici, per poi decrescere, rimanendo tuttavia su valori altissimi rispetto a quelli di partenza. Nel 2020, infatti, il valore globale di questo mercato era stimato intorno ad 1 miliardo di dollari; nel 2021 ha toccato il picco di 236 miliardi di dollari ed oggi oscilla intorno ai 50 miliardi di dollari. Il successo degli strumenti di scambio (prevalentemente smart contracts) che si possono utilizzare sulle relative piattaforme deriva dalla rapidità di esecuzione e dall’assenza di intermediari, a differenza di quanto normalmente accade con la tradizionale finanza centralizzata; inoltre, per gli utenti che vi ricorrono, la tecnologia blockchain sottostante rappresenta una garanzia ulteriore. 

DAO, più di un semplice software

Una DAO (Organizzazione Autonoma Decentralizzata) è, in realtà, più di un semplice software. Si tratta di un’avanzata intelligenza artificiale in grado di regolare e far funzionare in modo totalmente autonomo da interventi umani tutti gli scambi effettuati utilizzando il suo codice. Le DAO sono decentralizzate perché sono costruite su una rete blockchain; non esiste una struttura verticale o top-down basata su gerarchie di azionisti, manager o dirigenti. L’esercizio del potere  decisionale all’interno dell’organizzazione è collettivo e regolato orizzontalmente secondo i criteri operativi degli smart contract che vengono attivati e della blockchain stessa. Anche in questo caso, la possibilità di operare in assenza di intermediari tradizionali ha determinato il successo dello strumento. È difficile fare una stima accurata del valore complessivo di questo mercato, ma si stima che sia passato dai 6 miliardi del 2021 ai 21 miliardi di dollari del 2022. Una delle caratteristiche salienti risiede nella capacità di coordinare un numero molto elevato di persone, evitando strutture gerarchiche rigide e affidando le decisioni manageriali direttamente a tutti gli utenti. Il decentramento digitale e operativo corrisponde a un decentramento geografico. Le DAO operano in rete, tramite blockchain, e gli asset sottostanti sono normalmente costituiti da criptovalute; la blockchain notoriamente non opera su base territoriale ma è virtualmente localizzata in ogni nodo della rete, potenzialmente in tutto il mondo. Inoltre, sono dette “autonome”, in quanto le regole operative si basano esclusivamente su algoritmi e smart contract. Al verificarsi delle condizioni  da questi codificate, la DAO agisce in modo indipendente e svolge le azioni previste e codificate dall’utente per la singola operazione.

La peculiarità delle DAO si apprezza proprio in ordine a quest’ultimo aspetto: la teorica assenza di qualsiasi gestione umana a cui delegare la decisionesu uno specifico atto gestionale e la successiva esecuzione dello stesso.
Tuttavia, bisogna comprendere che una DAO è autonoma e indipendente nel modo di operare fintanto che la sua programmazione lo consente; il che significa che una vulnerabilità interna (voluta o derivante da errore) può essere sfruttata per alterarne il funzionamento e rubare fondi all’organizzazione. Pertanto, una corretta progettazione è vitale per il successo e la sopravvivenza di una DAO.

NFT e opere d’arte

Gli NFT (Non-fungible token) sono a loro volta asset crittografici basati su una blockchain; sono infungibili perché ognuno di essi è unico sulla piattaforma. Vengono utilizzati come identificativi e certificati di proprietà rispetto a qualsiasi genere di bene, da immagini fino a beni immobili. Finora, gli NFT che hanno avuto il maggior successo sono opere d’arte, con le relative e conseguenti difficoltà nell’attribuzione oggettiva di valore. Per di più, il loro mercato – come gli altri cryptomarket – soffre di una enorme volatilità, ed è facile per chiunque creare nuova arte in forma di NFT e comprarla da sé per prezzi esorbitanti, conferendogli un valore di mercato elevato con una operazione autogestita; fornendosi così un asset dal valore apparentemente giustificato per successivi scambi di cryptoasset. Rivolgendo l’attenzione al quadro normativo esistente, la V Direttiva affronta solo superficialmente la questione del riciclaggio attraverso i trasferimenti di opere d’arte. Infatti, molte opere d’arte tradizionali possono virtualmente generare un dubbio simile sulla legittimità del suo commercio. Anche il mercato dell’arte tradizionale solleva spesso il problema della volatilità dei prezzi e del frequente anonimato degli acquirenti, ma le modifiche apportate dalla V Direttiva per estendere la client due diligence alle persone che compravendono o agiscono come intermediari nel commercio di opere d’arte (tra cui gallerie d’arte e case d’asta) non è sufficiente per regolamentare l’arte in forma di NFT.

Tuttavia, non esiste al momento una definizione di ciò che costituisce un’opera d’arte ai sensi della V Direttiva, e anche se alcuni NFT sono attualmente venduti presso famose case d’asta (Sotheby, per esempio) la stragrande maggioranza si trova su cryptomarket come OpenSea; la direttiva, infatti, non fa alcun riferimento agli NFT o all’arte digitale. Bisogna considerare, difatti, che all’epoca in cui quel testo è stato redatto, l’urgenza di affrontare questi strumenti non esisteva, né questi strumenti erano abbastanza diffusi da creare un dibattito pubblico. L’incertezza che influisce sulla regolamentazione dell’arte digitale è stata finora una gigantesca lacuna all’interno del quadro AML/CFT in Europa, che può essere facilmente aggirata tramite cryptoasset, che fino ad oggi devono essere considerati non regolamentati.  Le autorità degli Stati Uniti hanno trovato alcune soluzioni per le ICO negli ultimi anni (trattandole come IPO secondo le leggi federali), ma le NFT hanno sollevato molti allarmi (principalmente dal Dipartimento del Tesoro) per le loro caratteristiche sfuggenti ai controlli antiriciclaggio e la loro rapida crescita di popolarità tra i consumatori. Un problema diverso da quelli esposti, infatti, è incarnato dalla protezione dei consumatori, facilmente spinti a investire in questi strumenti, senza probabilmente comprendere appieno il loro funzionamento e i rischi di perdita del capitale. 

Il difficile inquadramento e la deregolamentazione nei mercati di cryptoasset hanno aumentato i rischi 

In conclusione, il difficile inquadramento e la deregolamentazione fin qui osservata nei mercati di cryptoasset da un lato hanno complicato per molto tempo l’intervento delle autorità statali e, dall’altro, hanno aumentato i rischi di investimento per persone ed enti, favorendone l’utilizzo per scopi illeciti da parte della criminalità. Nonostante la manifestazione illecita dell’utilizzo dei cryptoasset, come si vedrà, sia fortemente minoritaria, l’esponenziale aumento di impiego in un contesto non controllato (e non protetto) rende fondamentale la conoscenza delle eventuali patologie, sia per gli attori istituzionali, sia per la platea dei potenziali investitori.

*Prof. Avv. Roberto De Vita, Presidente Osservatorio Cybersecurity dell’Eurispes.

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