Un altro importante passo per sconfiggere una delle più note “malattie rare”: la fibrosi polmonare idiopatica – FPI. Sono stati identificati, infatti, nuovi biomarcatori che si possono modificare nel corso della terapia dei pazienti affetti da questa patologia. E i malati di FPI possono finalmente trarre beneficio da nuove terapie, in particolare nintedanib e pirfenidone, che, per la prima volta dopo molti anni, hanno dimostrato di rallentare la progressione della malattia e sono disponibili anche in Italia.
Lo studio, coordinato da Unimore – Università degli Studi di Modena e Reggio Emilia e in particolare dal prof. Luca Richeldi, attualmente in forza all’Ateneo inglese di Southampton, e dal prof. Andrea Cossarizza, Direttore della Cattedra di Patologia Generale e Immunologia presso il Dipartimento Chirurgico, Medico, Odontoiatrico e di Scienze Morfologiche dell’ateneo emiliano, fondatori del Centro Interdipartimentale per le Malattie Rare del Polmone presso la Facoltà di Medicina e Chirurgia, ha suscitato l’interesse della comunità scientifica internazionale tanto che la rivista BMC Medicine ne ha pubblicato i risultati.
Lo studio, finanziato dalla Agenzia Italiana del Farmaco (AIFA 2012) e guidato dalle dott.sse Sara De Biasi e Stefania Cerri di Unimore, ha coinvolto numerosi ricercatori italiani dell’Arcispedale Santa Maria Nuova di Reggio Emilia, dell’ Università “Federico II” di Napoli, dell’ Università di Catania ed internazionali dell’Università di Southampton in Inghilterra, che hanno valutato e seguito nel tempo un totale di 67 pazienti con questa grave patologia, che è una fibrosi cronica, progressiva ed irreversibile del parenchima polmonare dalle cause ancora sconosciute.
Lo studio ha consentito di identificare nuovi biomarcatori che si possono modificare nel corso della terapia, quali particolari molecole presenti sulle cellule endoteliali circolanti, sui loro precursori e sui fibrociti circolanti. “Per analizzare tali molecole – dice il prof. Andrea Cossarizza di Unimore – sono state utilizzate le più avanzate tecnologie di citometria a flusso, con strumenti, unici in Europa, capaci analizzare fino a 40.000 cellule al secondo. Abbiamo perciò scoperto che sulla membrana delle sopraccitate cellule dei pazienti con FPI, la concentrazione di alcune molecole, quali i recettori per le chemochine e il recettore per il fattore di crescita endoteliale-vascolare, si modificano dopo la terapia e sono correlabili con il successo terapeutico“. Il prof. Luca Richeldi conclude sottolineando che “sono questi i primi biomarcatori identificati in questa grave patologia e la loro identificazione apre la possibilità di nuove strategie di follow up e cura per questi pazienti“.
“E’ motivo di grande soddisfazione per la nostra Facoltà – dice il Presidente della Facoltà di Medicina e Chirurgia prof. Giovanni Pellacani di Unimore – vedere che i risultati dei nostri ricercatori vengano così apprezzati e trovano sbocco su importanti riviste internazionali (ricordo anche che il collega. Cossarizza ha partecipato ad uno studio sulla genetica dell’infezione da HIV, i cui risultati sono stati appena pubblicati dai Proceedings of the National Academy of Science – PNAS – USA). Ma mi piace anche sottolineare come Unimore sia sempre all’avanguardia su argomenti di grande interesse scientifico“.
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