Nel 2014 è stato pubblicato in Russia il saggio dell’economista britannico Guy Standing, intitolato in modo premeditatamente scandaloso Il precariato è la nuova classe pericolosa. Essendo sociologo vorrei mettere in rilievo la novità di questo fenomeno sociale e alcuni tratti peculiari che esso ha nel mio paese, in Russia. Ritengo che per i sociologi le cose nuove sono innanzitutto interessanti mentre la parola “pericoloso” rientra nel linguaggio dei cosiddetti “poli-tecnologi”. Questo gruppo di professionisti, consulenti ed esperti, è molto influente in Russia dove ‒ diversamente dall’Italia e da altri paesi della Ue ‒ le élite politiche sono ignoranti nel campo delle scienze umanitarie. Noi, ricercatori, cerchiamo ‒ purtroppo invano ‒ di colmare questa lacuna per mezzo della divulgazione delle conoscenze, mentre i poli-tecnologi si approfittano della rozzezza dei dirigenti pubblici. Il mestiere del poli-tecnologo è di accorgersi in tempo di un fenomeno sociale nuovo e di fare un po’ di rumore mediatico su questo tema, dopodiché loro gridano: «Ecco un pericolo!». E subito propongono alle élite qualche rimedio con consulenze ad un prezzo conveniente.
Il fenomeno del lavoro precario significa che oggi nella società esiste un ceto sociale numericamente molto importante che subisce l’alienazione non solo del risultato del proprio lavoro (come accadeva prima, nell’Ottocento e nel Novecento). Adesso il ceto sociale del precariato è alienato rispetto alla società stessa e sottomesso ad uno sfruttamento particolarmente insidioso che sta viziando, oltre all’attività lavorativa, anche la qualità della vita.
Vediamo quali sono le componenti integranti del ceto sociale definito come “precariato”. Innanzitutto, c’è la componente dei lavoratori occupati in modo permanente in prestazioni di carattere temporaneo; questi lavoratori oggi, in Russia, rappresentano, secondo la valutazione degli esperti, circa il 30% della mano d’opera complessiva. Ovviamente, questa situazione è molto conveniente per i datori di lavoro, perché grazie alle leggi in vigore possono risparmiare grosse somme del denaro (il lavoratore occupato in modo stabile a tempo pieno, essendo tutelato, costa di più). La seconda componente del precariato è costituita dai lavoratori che sono occupati part-time o saltuariamente: sono numerosissimi in Russia. La terza componente del precariato è costituita dai disoccupati: la quantità reale dei disoccupati in Russia supera i dati statistici ufficiali di 3,5 volte, secondo le stime di esperti attendibili. Ritengo che la quarta componente del precariato sia costituita dai cosiddetti free-lancer, un gruppo numericamente consistente di lavoratori intellettuali occupati nel settore mediatico (pubblicità, informazione, promozione, culturale, ecc). Una quinta parte integrante del precariato è costituita dai lavoratori migranti (la stragrande maggioranza di questi lavora nel settore dell’edilizia). Infine, una sesta componente del precariato è costituita dagli stagisti, cioè dai giovani (molti sono studenti) i quali, aspirando ad ottenere un impiego fisso, sono pronti e disponibili a fare qualsiasi cosa negli uffici o nelle fabbriche. La precarizzazione del lavoro è un fenomeno nuovo in Russia, non esisteva in epoca sovietica. La base concettuale di questo fenomeno sociale sono le idee di stampo liberista che hanno prodotto: deregulation, flessibilità del mercato del lavoro, diffusione del lavoro autonomo, ecc.
Vorrei mettere in rilievo due fattori che caratterizzano attualmente l’aspetto peculiare del mercato e del mondo del lavoro in Russia. Primo: nel governo e nei centri di ricerca che operano nell’area del governo, la maggioranza dei funzionari e degli esperti sono sostenitori di orientamenti economici liberisti, dai quali possono venire affermazioni come quelle che in Russia oggi 38 milioni lavorano in condizioni non trasparenti (in parole povere, “lavorano in nero”). Coloro che la pensano così ritengono che ciascuno deve adeguarsi, a modo suo, al mercato del lavoro esistente in Russia (selvaggio, con scarse tutele e regole). Il concetto di giustizia sociale non esiste oggi nel linguaggio dei liberisti che orientano le maggiori decisioni pubbliche in Russia. I lavoratori russi, invece, sono scontenti e addolorati di questa carenza di giustizia sociale. In occasione di una indagine sociologica promossa dalla Università Statale Umanitaria di Mosca nel 2014 (1750 intervistati in 8 regioni della Russia) il 39,3 % dei rispondenti ha menzionato come fattore socio-culturale negativo appunto “l’assenza di equità” nella Russia post sovietica.
Un secondo tratto peculiare che caratterizza il mondo del lavoro di Russia e apre spazi di manovra all’arroganza dei liberisti è l’assenza di sindacati veri, incisivi, paragonabili a quelli europei. Un fenomeno sociale straordinario della Russia post sovietica, inesistente altrove nel mondo, è costituito dalla Federazione dei Sindacati Indipendenti di Russia (abbreviazione russa-FNPR). Come ho scritto sopra, cerco di non utilizzare valutazioni di carattere emotivo (pericoloso, cattivo, sovversivo, ecc.). La FNPR è, a mio avviso, una anomalia socio-culturale eccezionale, unica: un sindacato il cui gruppo dirigente dal 1993 (cioè nel corso di un periodo di 26 anni) fa soltanto dichiarazioni di principio e organizza nei capoluoghi delle regioni i cortei in occasione della ricorrenza del 1° maggio che è chiamato in Russia “La Festa del lavoro e della primavera”. I dirigenti della FNPR non hanno mai organizzato azioni dei lavoratori, non sanno che cosa sia la grinta rivendicativa, affermano di essere riformisti, ma con il riformismo vero non hanno niente a che fare. Il termine più adatto, a mio avviso, per definire la FNPR tale com’è oggi è il seguente: un simulacro del sindacato.
Dieci anni fa nel libro intitolato Sociologia del lavoro (Sociologhia truda) ho scritto: «In Russia solo il 5% delle imprese (prevalentemente quelle di grandi dimensioni) costituisce le realtà produttive dove i lavoratori sono tutelati dai contratti aziendali. Molti esperti ritengono che la FNPR non sia un sindacato, perché nel suo bilancio le quote degli iscritti non superano il 6%, mentre il 94% è costituito dal reddito proveniente dai beni immobiliari ereditati dal sindacato sovietico (alberghi, palestre, centri ricreativi, ecc,). I dirigenti sindacali (quelli della FNPR) si schierano solitamente dalla parte degli imprenditori anziché dei lavoratori» (p.289). Oggi, a distanza dieci anni, la situazione non è sostanzialmente cambiata.
Jean Terentievich Tosczenko è membro-corrispondente dell’Accademia delle Scienze di Russia. Eletto co-presidente della Associazione Sociologica Sovietica al primo (e ultimo) congresso di questa organizzazione nel gennaio del 1991. Nella Russia post sovietica è stato Direttore della rivista mensile Soziologhiceskie issledovania (Studi sociologici), preside e poi dirigente scientifico della Facoltà di sociologia della Università Umanitaria Statale di Mosca. È autore di molte pubblicazioni; gli ultimi libri sono Sociologia del lavoro (2009) e L’uomo-paradosso (2012).