Il Prof. Roberto Ricci è il Presidente dell’Invalsi dall’agosto del 2021, e ricopre ruoli nazionali e internazionali nell’ambito della misurazione degli apprendimenti. Autore di decine di pubblicazioni scientifiche, ha insegnato e insegna in diversi atenei.
L’11 luglio 2024, a Roma nella Sala della Regina della Camera dei Deputati, alla presenza del Ministro della Pubblica Istruzione e del Merito Giuseppe Valditara, è stato presentato il Rapporto Invalsi 2024. I dati come sempre hanno catturato l’attenzione immediata dei media, salvo poi non prendere atto del loro significato. Il Rapporto Invalsi rappresenterebbe, infatti, puntualmente un’occasione che invita a porre l’educazione al centro del dibattito culturale e politico del Paese, che è proprio l’intenzione dell’Osservatorio per le Politiche educative dell’Eurispes che a febbraio di quest’anno ha presentato il secondo Rapporto su Scuola e Università. Abbiamo incontrato il Presidente Roberto Ricci per una riflessione sulla situazione dell’educazione in Italia, partendo dal Rapporto Invalsi di luglio.
Prof. Ricci, quali sono gli aspetti di novità che emergono dal Rapporto di quest’anno?
Cominciando dagli aspetti positivi, si osserva una riduzione della dispersione scolastica implicita, ossia la quota degli allievi e delle allieve che terminano la scuola secondaria di secondo grado con competenze di base molto limitate. Per la prima volte tale quota (6,6%) scende al di sotto dei valori riscontrati prima della pandemia (7%). Un altro aspetto positivo è certamente la crescita dei risultati in Inglese in tutti i gradi scolastici osservati. Passando ai risultati che devono destare una certa preoccupazione, è importante sottolineare che, a fronte di rilevanti divari territoriali nella scuola secondaria, si osservano differenze non trascurabili anche nella scuola primaria. Tali differenze vanno affrontate con determinazione e sollecitudine poiché costituiscono la naturale premessa di problemi più rilevanti nei gradi scolastici successivi.
Che cosa risponde a chi critica le modalità di rilevazione dei dati del Rapporto?
Le critiche non mi preoccupano mai quando sono costruttive e volte alla ricerca di soluzioni migliori, specie quando si discute di temi così importante come la scuola e la formazione dei giovani. Tuttavia, non mancano critiche che paiono concentrarsi sullo strumento e negano aprioristicamente l’esistenza dei problemi che si intende mettere in luce. Se gli esiti delle prove Invalsi trovano riscontro in tutte le indagini, nazionali e internazionali, scientificamente solide, ritengo che ciò significhi che esse evidenzino problemi reali. Auspico quindi che la critica, fondamentale e sempre legittima, provi a formulare delle proposte alternative in grado di fare uscire la valutazione scolastica dall’autoreferenzialità. Pur con le dovute cautele e attenzioni, le misure standardizzate censuarie permettono di riflettere sulla dimensione sociale dell’apprendimento che è certamente un diritto, ma anche il prerequisito fondamentale per inserire la vita del singolo in un contesto di responsabilità collettiva e consapevole.
Perché c’è una differenza sempre rilevante tra studenti del Nord e studenti del Sud?
Non è semplice formulare una risposta seria a questo quesito che certamente coinvolge ambiti molto diversi. Ciò premesso, io ritengo che oltre all’innegabile ruolo penalizzante di un contesto socio-economico-culturale non favorevole, ci sia anche l’effetto di scelte o non-scelte che a tutti i livelli, non solo di sistema, ma anche di singola istituzione scolastica, penalizzano la scuola del Mezzogiorno. Nelle regioni meridionali si riscontrano già a partire dalla scuola primaria fenomeni di segregazione surrettizi che necessiterebbero, in primo luogo, una presa di coscienza a tutti i livelli e poi azioni concrete attraverso un sistema di incentivi e disincentivi che favoriscano azioni positive per l’intera collettività. Inoltre, ritengo che la mancanza di servizi per l’infanzia (spazio 0-6) adeguati sia una delle cause maggiormente rilevanti che bloccano lo sviluppo e la rinascita del sistema scolastico meridionale.
Che cosa si intende per dispersione scolastica implicita?
Per dispersione scolastica implicita si intende la quota di diplomati/e che in tutte le quattro discipline osservate attraverso le prove Invalsi (Italiano, Matematica, Inglese-ascolto, Inglese-lettura) conseguono risultati attesi al termine della scuola secondaria di primo grado o al più del primo biennio di quella di secondo grado. Si tratta quindi di giovani che, almeno rispetto agli apprendimenti di base, sono molto simili a coloro che la scuola l’hanno abbondonata prima di conseguire il diploma.
Quanto “merito” c’è nella scuola italiana leggendo i dati del Rapporto Invalsi?
Non abbastanza e bisogna impegnarsi di più, ovviamente evitando che ciò vada a discapito delle fasce più deboli. A oggi gli allievi e le allieve con risultati più elevati ottengono un’attenzione molto limitata da parte dell’opinione pubblica e del mondo dell’accademia e della ricerca. È invece dovere di tutti e di ciascuno sostenere il merito, inteso come tensione al miglioramento individuale e collettivo e non in una accezione meramente competitiva.
Come potrebbe essere impostate nel futuro le prove Invalsi?
La sfida è la transizione digitale e il ruolo dell’Intelligenza Artificiale. Io ritengo che si tratti di una occasione straordinaria, anche se non priva di rischi, per introdurre nella valutazione la dimensione cooperativa. Essa però non va intesa come una sorta di deriva facilistica deresponsabilizzante, ma per osservare e misurare cosa un individuo sa fare, apprendere, capire e modificare lavorando in gruppo e non solo individualmente. Ci stiamo lavorando.
Nella sua esperienza, che cosa è cambiato nell’apprendimento degli studenti italiani negli ultimi anni?
È una domanda oggettivamente complessa alla quale, però, cerco di dare una risposta, necessariamente parziale e provvisoria. Secondo me è cambiato ancora troppo poco e questo ritengo che sia un fatto negativo poiché non corrisponde a un mantenimento di ciò che si apprendeva fino alla fine degli anni Ottanta del Novecento. Sostanzialmente si stanno riducendo gli apprendimenti tradizionali, ma si vedono ancora poco quelli propri della società di oggi. La tecnologia può consentire un apprendimento aumentato, ma mi pare che siamo ancora troppo lontani da questa situazione. Ci troviamo in una sorta di guado in cui la riva dalla quale si è partiti si vede sempre meno bene e l’altro versante pare ancora avvolto dalla nebbia.
In un Paese avanzato come il nostro, con una diffusione delle tecnologie molto pronunciata, che cosa apprendono realmente a scuola gli studenti?
Se la didattica non saprà adattarsi a questo cambiamento, guidandolo e utilizzandolo al meglio, gli allievi e le allieve apprenderanno sempre meno. Rispetto a molte prassi didattiche del passato, ancora oggi molto frequentate, la tecnologia favorisce un apprendimento rituale e superficiale. Serve un cambiamento di prospettiva in cui la tecnologia divenga strumento per apprendere di più e meglio, sviluppando pensiero critico e autonomia di giudizio. Tuttavia, per raggiungere questo traguardo così importante servono maggiori e migliori apprendimenti di base. Pertanto, a mio giudizio, qualsiasi deriva facilistica mette a repentaglio la sopravvivenza stessa delle nostre società.
Secondo lei quanto e come l’Intelligenza Artificiale sta incidendo sull’istruzione?
Io credo che stia incidendo molto, ma che la consapevolezza di ciò sia veramente inadeguata, spesso assente, a tutti i livelli. Se non ci sarà un rapido cambiamento di rotta, il rischio che l’intelligenza Artificiale amplifichi le differenze (culturali, sociali, economiche, di esercizio della cittadinanza, ecc.) è tutt’altro che remoto.
Ultima domanda. Il Rapporto è dedicato ad Adele, Caterina, Clarissa, Enea e Gioia, i cinque bambini nati nell’anno scorso figli di dipendenti dell’Invalsi. Pensando a loro, quali possibili proposte concrete ritiene di avanzare per migliorare l’educazione in Italia?
Coerenza, trasparenza e coraggio. Queste bambine e questi bambini ci hanno dato a prestito la loro scuola e noi dovremo restituirgliela al meglio. È giunto il momento di effettuare delle scelte coraggiose che rendano il sistema scolastico coerente con la nostra società e che quindi abbia la generosità e la lucidità di effettuare scelte in grado di proporre a tutti e a tutte soluzioni diverse e flessibili, ma non per questo derubricando la qualità dell’insegnamento e dell’apprendimento. Serve una riflessione pedagogica, metodologica e politica, ampiamente intesa, che guardi alla luna e non al dito delle micro-esperienze che, a mio giudizio, sono utili se e solo se sono scalabili in una dimensione collettiva sostenibile. Ad Adele, Caterina, Clarissa, Enea e Gioia dobbiamo consegnare una scuola responsabile che riesca a rispondere alle esigenze dei più fragili, ma che sappia sostenere la generalità della popolazione scolastica e gli allievi e le allieve con maggiori potenzialità.
*Prof. Mario Caligiuri, Direttore Osservatorio Politiche educative dell’Eurispes.