Il dubbio e il burattinaio. Complottismo all’italiana

complottismo

L’ultima occasione è stata quella dell’arresto di Matteo Messina Denaro, il sanguinario mafioso latitante da trent’anni e finalmente catturato dai Carabinieri. Era passata qualche ora dalla notizia del colpo inferto alla mafia che già venivano avanzati sospetti, ipotizzati scenari retrostanti, chiesti chiarimenti. Il tutto mentre la stampa estera (dalla BBC alla CNN, al New York Times) sottolineava seccamente, dando la notizia, che gli italiani hanno preso il capo della mafia, il più ricercato dei latitanti. Molteplici gli esercizi offerti dalla scienza dietrologica, basata sull’assunto pervicace dell’esistenza di un dietro-scena oltre ogni scena apparente, questa sempre di per sé fallace. La realtà non è mai quella che sembra. C’è sotto qualcosa. Le spiegazioni veritiere sono molteplici, magari contraddittorie, ma del resto nulla è mai chiaro. Anche stavolta qualcuno mente e non ci dice tutta la verità. Dunque. Cattura del latitante all’esito di indagini accurate? Piuttosto. Messina Denaro era malato e si è fatto catturare. C’è stata una trattativa, uno scambio di favori con lo Stato: l’arresto in cambio della liberazione di qualche detenuto eccellente ancora in buona salute. C’erano innumerevoli protezioni che gli hanno garantito la sopravvivenza (questo magari è veritiero). Qualcosa di inconfessabile è nascosto dietro la latitanza tanto lunga e indisturbata, a poca distanza da casa, sfacciatamente senza cautele. Non è possibile che un criminale supericercato potesse vivere una vita così normale: ricevere persone, frequentare bar e ristoranti, fare la spesa e scambiare quattro chiacchiere nei negozi, farsi selfie con altri pazienti, lasciare numeri di telefono in giro. Anche stavolta le cronache sono intrecciate, come in un gioco di specchi, agli intrighi e ai sospetti. Quel coacervo di illazioni su comportamenti anomali (deviati?) degli apparati statali. Ciò che ha avvelenato in questi anni la storia della Repubblica. Come risultato però, l’approccio intanto incrina la percezione dei risultati ottenuti, svaluta l’azione dello Stato e dei suoi operatori, sposta l’attenzione su altro. 

Anni di vicende oscure e mai chiarite completamente hanno lasciato il segno

Alla lunga, le teorie complottiste fanno perdere la distinzione tra ombre e realtà: è indubbio che Messina Denaro abbia goduto di appoggi a svariati livelli, non solo l’aiuto dell’autista, del medico, del prestanome nelle case. A cominciare da quell’omertà diffusa per cui in troppi hanno fatto finta di non vedere e sapere, finendo, qualche volta, per aggiungere alle omissioni contributi concreti. Su questo, è indispensabile approfondire, ma è un altro discorso. Si può comprendere come dubitare sia possibile, persino giustificabile e fondato. I precedenti nel Paese non garantiscono trasparenza e chiarezza, inducono spesso a mettere in discussione le cose. Non importa se a ragione o a torto. Del resto è comunque corretto non fermarsi a quanto viene esposto, andare oltre, scavare in profondità. Anni di vicende oscure e mai chiarite completamente hanno lasciato il segno. Solo in tema di mafia, basti ricordare la principale vicenda inquietante, ovvero la “trattativa Stato-Mafia”, supposto accordo sottobanco tra settori deviati dello Stato e parti della mafia per porre termine alla stagione delle stragi in cambio di tolleranza per le condotte diciamo “ordinarie”. Che sarebbero (solo) omicidi, estorsioni, rapine, traffici d’armi e rifiuti. Un tema emerso con forza dopo la mancata perquisizione del covo di Totò Riina che oggettivamente permise ai mafiosi di far sparire tracce importanti dopo l’arresto. Ma anche in altri campi, come a proposito dell’origine della pandemia e degli sforzi per contrastarla, o addirittura delle cause dell’invasione dell’Ucraina da parte di Vladimir Putin, non è mancata la ricerca delle trame occulte, che sarebbero nascoste all’evidenza. I disegni reali sono sempre tortuosi e perversi. Ecco i complotti delle multinazionali farmaceutiche o i propositi autoritari dei governi, o ancora le responsabilità storiche del colonialismo americano (che impedisce di riconoscere l’espansionismo violento russo).

Si è creato un riflesso condizionato per cui dietro ogni fatto deve esserci una trama occulta

Si è creato un riflesso condizionato per cui, indipendentemente dal fondamento, dietro ogni fatto deve esserci una trama occulta, un piano di qualcuno contro altri, una minaccia latente per ciascuno di noi. Questa sindrome che rimanda alla figura costante del puparo nel teatrino siciliano, del burattinaio onnipresente in svariati accadimenti, non ha nulla in comune però con l’esigenza del dubbio come misura del pensiero e guida dell’azione. Senza andare troppo indietro, sino a Cartesio e da lì in poi, possiamo convenire che il dubbio, con il meccanismo di ipotesi e confutazioni, è l’abito mentale della scienza e della cultura tutta. Si procede sottoponendo a vaglio qualsiasi “verità” proposta, che rimane un’ipotesi finché non venga sperimentata, salvo rimanere esposta a smentita in base a nuova valutazione. Così è un dovere deontologico della stampa verificare ogni informazione, cercare conferme. La politica tutta non può arrestarsi alle versioni ufficiali, accontentarsi di quanto è pubblicamente proposto. È un monito per la maggioranza perché non abusi della sua posizione (pur legittimamente) dominante, una missione di controllo per l’opposizione. Ma, per rimanere al tema dell’arresto di Messina Denaro, il dubbio è il metodo di ogni buona indagine penale, perché l’indizio va riscontrato, e le prove devono essere sottoposte al processo di eventuale invalidazione, attraverso argomenti od elementi di fatto. 

L’arresto di Messina Denaro ha generato un sospetto aprioristico e slegato dalla realtà dei fatti

Si può pensare che, proprio da questo approccio tipico dell’azione pubblica (e privata) in un paese democratico, nasca il bisogno dei singoli di saperne di più, di andare fino in fondo, di ottenere più informazioni su fatti cruciali della vita sociale. Non solo una forma di curiosità spicciola, quasi ricerca del pettegolezzo dietro le quinte, ma desiderio di informazioni per orientarsi e decidere. L’ansia di verità dell’opinione pubblica rappresenta il migliore antidoto contro l’opacità dei comportamenti delle istituzioni. E contro la menzogna dei rappresentanti. Questo riconoscimento implica tuttavia anche una sottile distinzione, che separi il giudizio da altro: il pregiudizio, l’avversione preconcetta, il sospetto aprioristico. Un esercizio non facile quello di individuare il confine. C’è sempre il rischio di attardarsi, di scegliere il silenzio, di non misurarsi con il dovere civico della responsabilità. Insomma di fare meno del necessario e del dovuto. Allo stesso modo, c’è anche il pericolo opposto. Trasformare il necessario senso critico in scetticismo aprioristico. Porsi sempre alla ricerca del puparo di turno che abbia manovrato alle nostre spalle per far danni.

Teorie bizzarre e complottismo riflettono il solco storico che si è creato tra cittadini e Stato

Quando tutto induce a dubitare, in qualche occasione anche a ragione, dovremmo prenderci un po’ di tempo, fermarci e riflettere senza fretta. Dobbiamo interrogarci sul perché di questa tendenza che spazia dall’ossessione della dietrologia al complottismo, intrisa di sfiducia e diffidenza. Perplessità tanto estese, a parte casi particolari, sono spesso mal riposte, o formulate in modo inappropriato. Teorie bizzarre e sospetti fantomatici non hanno giustificazione nella realtà. Piuttosto riflettono il solco storico che si è creato tra cittadini e Stato, tra le vicende che hanno modellato il corso della storia recente e l’azione quotidiana dei rappresentanti politici. È un’altra delle conseguenze della crisi delle istituzioni e della incapacità di dare voce agli interessi e alle esigenze delle persone. Il senso di estraneità è l’antefatto di ogni estremismo, nella forma dell’incredulità sistematica e distruttiva, oppure all’opposto del dogmatismo ideologico, cioè dell’eccesso di sicurezze. Ma se più volte siamo riusciti ad evitare catastrofi che sembravano inevitabili, bombe, terrorismo, svolte autoritarie, stragi mafiose, possiamo trarne una rassicurazione utile: il senso critico non è un miraggio ma una possibilità concreta.

 

*Angelo Perrone, è giurista e scrittore. È stato pubblico ministero e giudice. Si interessa di diritto penale, politiche per la giustizia, tematiche di democrazia liberale. È autore di pubblicazioni, monografie, articoli.

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